Dazi, capitali e cannoni, protezionismo imperiale

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#finsubito


«C’è un aggressore e c’è un aggredito». Lo slogan più martellante degli ultimi anni vive una seconda giovinezza. Applicato fino a ieri al solo tema della guerra, oggi viene riciclato nel campo delle politiche commerciali. L’odierno aggressore è infatti Trump, che si è messo a brandire l’arma dei dazi anche contro l’Unione europea. Che provocata reagisce, approvando uguali e contrarie misure protezioniste a danno di una lunga lista di prodotti made in Usa.

A prima vista sembra una classica reazione da manuale. Persino Adam Smith, precursore della dottrina del libero scambio, ammetteva la rappresaglia protezionista contro provvedimenti restrittivi stranieri.

Smith però si premurava di aggiungere che la risposta dell’aggredito dovesse puntare alla «rimozione dei dazi o delle proibizioni che l’hanno originata». La contemplava cioè quale arma tattica, per indurre l’aggressore a ravvedersi e a ripristinare i liberi commerci. Gli sherpa dell’Ue insistono a dire che questo è esattamente l’obiettivo della reazione protezionista europea: metter paura a Trump, per indurlo a più miti consigli. La speranza è che il nuovo presidente americano torni al vecchio friend shoring: imporre dazi a tutti, tranne agli amici europei.

Ma nelle stanze del potere gli scettici ormai sgomitano. Mario Draghi è tra questi. A suo avviso, l’Ue deve elevare barriere commerciali e finanziarie non come tattica contingente ma come strategia di lungo periodo. Il motivo è che l’onda protezionista che viene dall’atlantico non è il capriccio di un altro pazzo al potere ma è la conseguenza di gravi problemi strutturali dell’economia americana, di competitività e di debito verso l’estero. Per questa ragione, la guerra economica mondiale è destinata a durare e si annuncia come una lotta di tutti contro tutti. In un tale scenario, l’Europa aggredita deve imparare a diventare potenza aggressiva, attraverso i dazi e non solo.

Ecco perché ormai lo slogan dell’aggressore e dell’aggredito suona male anche in tema di guerra. Con l’attacco all’Ucraina, la Russia si è macchiata dell’onta di avere inaugurato un’epoca di nuovi e ancor più intensi massacri globali: negare questa evidenza vorrebbe dire passare dalla padella dei pugilatori a pagamento atlantisti alla brace delle majorettes putiniane. Ma l’idea che von der Leyen e i suoi intendano riarmare l’Europa per difendersi da una possibile invasione russa è l’ennesima semplificazione di comodo.

La vera spiegazione del riarmo europeo è un’altra. Per lungo tempo i paesi Ue hanno agito da vassalli dell’impero americano. Dove l’America muoveva le truppe, lì si creavano occasioni di profitto per aziende statunitensi in primo luogo, ma subito dopo anche per imprese britanniche, francesi, tedesche, italiane. Dall’Est Europa, all’Africa, al Medio oriente, così l’imperialismo atlantico ha agito per decenni. Ma nel momento in cui la crisi del debito forza l’impero americano a ridimensionare l’area d’influenza e a caricare di dazi anche i vassalli, il problema delle diplomazie europee diventa uno solo: progettare un imperialismo autonomo, in grado di accompagnare la proiezione del capitalismo europeo verso l’esterno con una potenza militare autonoma. Ancora una volta, Draghi riconosce il punto. Macron, Merz e Meloni non lo ammettono apertamente, ma l’obiettivo è quello.

Vista sotto questa angolazione, la difesa dell’Ucraina diventa un tipico caso di scuola per il progetto imperialista europeo. Non si tratta di proteggere i confini dell’Unione da una futura invasione cosacca. Piuttosto, si tratta di riannodare con la forza i fili dell’accordo di «associazione Ue-Ucraina» iniziato nel lontano 2008. Una lunga serie di intese con un già implicito profilo imperiale, che mirava a estromettere le aziende russe dagli affari nell’area e da cui tutti i guai sono iniziati. Naturalmente, ciò che vale per il fronte insanguinato dell’Ucraina vale anche per tutte le altre linee di confine: i più grandi profitti saranno preda di chi saprà scortare i capitali con le truppe e i cannoni.

Il «momento» del nuovo imperialismo è dunque giunto. Occorre proteggere l’esportazione di capitali europei con milizie europee. Con buona pace delle bandiere blu e oro che verranno agitate in piazza, questo è lo scopo ultimo di ReArm Europe.



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