Armi. Vola l’export di USA e Italia: +21% e +138%

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NICOLA BORZI

Il commercio mondiale delle armi ha messo il turbo dopo il 24 febbraio 2022, quando la Russia ha invaso l’Ucraina, ma ha avuto, ha e avrà sempre più come perno gli Usa. Lo testimonia l’ultimo studio del Sipri, l’Istituto di ricerca internazionale di Stoccolma sulla pace che ha analizzato i trasferimenti internazionali dei principali sistemi d’arma nel periodo 2020-24. Se l’ultimo quinquennio ha visto una contrazione del commercio mondiale (-0,6% rispetto al 2015-19), l’export degli Stati Uniti ha segnato +21% portando la quota di mercato globale di Washington dal 35% al 43%. Più di quattro volte la fetta del secondo Paese, la Francia che pure ha segnato +11%.

E mentre l’Europa è sempre più dipendente dagli Usa, nella classifica planetaria l’Italia balza al sesto posto con +138% e una quota del 4,8%. Nello stesso periodo invece Mosca ha segnato -64%, perché la produzione russa è quasi tutta destinata alla guerra contro Kiev. Per lo stesso motivo l’Ucraina è diventata il maggiore importatore di armi al mondo, con l’8,8% globale e un aumento di 100 volte da 35 Paesi, soprattutto Usa (45%), Germania (12%) e Polonia (11%). Ma i dati testimoniano che la corsa globale al riarmo è solo all’inizio.

Il trend più impressionante è quello dei Paesi europei che fanno parte della Nato: non solo negli ultimi cinque anni hanno più che raddoppiato le importazioni di armi, ma a beneficiarne, ancor prima dei diktat di Trump, sono stati come sempre proprio gli Stati Uniti hanno rappresentato il 64% dell’import rispetto al 52% del 2015-19. Così, spiega il Sipri, per la prima volta in vent’anni la quota maggiore di armi statunitensi è andata all’Europa anziché al Medio Oriente. Un trend destinato a crescere ulteriormente, ha affermato il ricercatore senior del Sipri Pieter Wezeman intervistato da France Presse: “Gli stati europei della Nato hanno ordini per quasi 500 aerei da combattimento e molte altre armi dagli Usa”. Tra queste ci sono gli F35 e i sistemi di difesa antiaerea Patriot commissionari dall’Italia. Roma intanto vende la quota maggiore del suo export (71%) in Medio Oriente: è il secondo esportatore di armi in Olanda, Turchia, Qatar, Kuwait ed Egitto, il terzo in Israele, Polonia, Norvegia e Brasile. Cambiare questa situazione “richiederebbe un enorme investimento finanziario e politico, come pure molti anni”, ha affermato Wezeman. Da qui la decisione della scorsa settimana dei leader dei 27 membri della Ue che, dopo le tensioni crescenti con Washington, hanno approvato prestiti per 150 miliardi per finanziare le proposte di Bruxelles sulla difesa, mentre la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen ha presentato un discusso piano per mobilitare addirittura 800 miliardi.

Ma quello che i dati non dicono, spiega Francesco Vignarca, cofondatore dell’Osservatorio Milex sulla spesa militare e coordinatore delle campagne di Rete pace disarmo, è che “questa fotografia è in parte antecedente al riarmo seguito alla guerra in Ucraina: alcune tendenze si vedono già, ma l’impatto sulla produzione e soprattutto sulle vendite estere di armi, in un quadro di riarmo generalizzato, emergerà solo tra qualche anno. D’altronde i grandi sistemi di arma richiedono anni tra l’ordine e la consegna. Paradossalmente dunque si nota subito un aumento dei dati Usa perché gli Stati Uniti avevano sistemi immediatamente producibili, come i sistemi Javelin e Himars e altri munizionamenti, ma i dati su aerei e navi spunteranno tra qualche tempo e si vedrà un aumento importante”. Inoltre, continua Vignarca, “questi dati sul commercio internazionale non evidenziano le produzioni per i mercati nazionali, ad esempio i sistemi d’arma che l’Italia compra da Leonardo”.

Ma quello che non viene evidenziato è soprattutto un dato politico: “Per tanti anni a noi pacifisti è stato spiegato che non dovevamo essere così idealisti da non volere che le nostre aziende vendessero all’estero perché, ci dicevano, con l’export delle armi ‘si fa politica estera’. Adesso invece non solo emerge che l’Italia, come l’intera Europa, è influenzata dagli Usa, ma pure che Roma fa il contrario del suo interesse perché, ad esempio, stiamo esportando know how sui droni,

come in passato quello sugli elicotteri in Turchia, ma prima o poi Ankara se li produrrà in casa senza più dipendere da noi. L’analisi di Sipri dimostra infine che è falso quanto sostiene il governo quando chiede di modificare la legge 185 sulla trasparenza dell’export di armi. Secondo Meloni e i suoi le norme attuali porrebbero paletti troppo stringenti, ma nell’ultimo quinquennio non solo non c’è stata alcuna riduzione delle vendite estere di armi italiane, c’è stato invece il boom dell’export dall’Italia che ha segnato +138%”, conclude Vignarca.

in “il Fatto Quotidiano” del 11 marzo 2025



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