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Resta diffusa in Italia la violenza domestica, legata a dinamiche culturali e normative. La giustificazione della violenza è collegata al tempo trascorso in coppia e alle difficoltà di separazione. Qual è stato l’effetto della riforma del divorzio del 2014.
La violenza domestica in Italia
La violenza domestica è un fenomeno diffuso e radicato, che incide profondamente sulla vita delle vittime e sulla società. In Italia, secondo l’Istat, il 31,5 per cento delle donne tra i 16 e i 70 anni ha subito violenza fisica o sessuale almeno una volta nella vita. Dai dati della Direzione centrale polizia criminale, emerge che nel 2024 l’86 per cento degli omicidi con vittima femminile è avvenuto in ambito familiare o affettivo. Ma i numeri, da soli, non bastano. La percezione della violenza, il contesto normativo e le dinamiche culturali giocano un ruolo chiave nell’influenzare la possibilità di uscire da una relazione pericolosa.
Due miei recenti studi, finanziati dalla Fondazione GRINS, affrontano il tema da prospettive diverse. Il primo si concentra sull’influenza della cultura dell’ipermascolinità nelle dinamiche di coppia, analizzando il legame tra la giustificazione della violenza e il tempo trascorso con il partner. Il secondo esamina gli effetti della riforma del divorzio del 2014, mostrando come la semplificazione delle procedure di separazione possa aver avuto conseguenze inattese sulla sicurezza delle donne.
Cultura e tempo trascorso con il partner
Per capire quanto la cultura influenzi la violenza domestica, ho analizzato il comportamento di mille donne residenti in Emilia-Romagna, tutte conviventi con almeno un figlio sotto gli 11 anni. Il campione è stato scelto per la stabilità delle dinamiche familiari, che rendono particolarmente rilevante il tempo trascorso con il partner.
Alle partecipanti è stato chiesto di esprimere la propria opinione su scenari ipotetici di violenza domestica, per misurarne il livello di giustificazione. Parallelamente, hanno registrato il tempo quotidiano trascorso con il partner, attraverso l’utilizzo di diari sull’uso del tempo.
Dall’analisi è emerso un dato significativo: esiste una correlazione tra la tendenza di una donna a giustificare la violenza e il tempo trascorso con il partner. Il dato potrebbe indicare un’associazione tra la normalizzazione della violenza e una minore propensione a interrompere relazioni potenzialmente pericolose, con una conseguente maggiore esposizione a situazioni di controllo e tensione.
Questa evidenza solleva una questione cruciale: l’accesso a informazioni istituzionali sui diritti delle donne e sulle conseguenze della violenza domestica può modificare tali atteggiamenti e comportamenti? Per rispondere alla domanda, un gruppo di partecipanti, selezionato in modo casuale, ha ricevuto materiale informativo sui diritti delle donne e sulle conseguenze della violenza domestica. La loro propensione a giustificare la violenza è diminuita e, nelle settimane successive alla ricezione delle informazioni, il tempo trascorso con il partner si è ridotto di quattro ore settimanali. L’effetto è stato più marcato tra le donne che, all’inizio dello studio, riportavano livelli elevati di stress causato dalla relazione con il partner (figura 1).
I risultati confermano che la violenza domestica non è solo un problema di episodi isolati, ma anche di dinamiche quotidiane influenzate da norme culturali. La giustificazione della violenza è associata a più strette interazioni potenzialmente violente con il partner, mentre una maggiore consapevolezza aiuta le donne a ripensare le proprie abitudini e a ridurre la dipendenza dalla relazione.
Divorzio più rapido, ma anche più sicuro?
Se la cultura, intesa come giustificazione della violenza, è associata alla permanenza in relazioni violente, il quadro normativo ne influenza le modalità di uscita. Nel 2014, una riforma ha reso il divorzio più rapido e meno oneroso, ma ha mantenuto un vincolo critico: il consenso reciproco. Significa che entrambi i coniugi devono essere d’accordo sulle condizioni del divorzio affinché la procedura possa progredire senza contenziosi.
Confrontando i dati sulle chiamate ai centri antiviolenza e i femminicidi nei giorni immediatamente precedenti e successivi alla riforma, il risultato è inaspettato: le richieste di aiuto al 1522 sono diminuite del 19 per cento, mentre i femminicidi perpetrati dai mariti sono aumentati del 26 per cento. Poiché l’analisi si concentra su un periodo di tempo specifico, molto ravvicinato alla riforma, è improbabile che questi effetti siano dovuti a fattori diversi dal cambiamento normativo (figura 2).
Una spiegazione possibile è che la prospettiva di una separazione più semplice abbia scatenato reazioni violente da parte degli uomini, che hanno percepito la fine del matrimonio come una minaccia al proprio controllo sulla partner. Inoltre, le donne potrebbero aver avuto meno incentivi a denunciare la violenza, temendo che il divorzio non offrisse una protezione sufficiente.
Il vincolo del consenso potrebbe aver contribuito a questa dinamica. Se da un lato la riforma ha ridotto i tempi e i costi della separazione, dall’altro ha lasciato le vittime di violenza in una posizione negoziale debole, concedendo al partner violento un potere di veto. Senza adeguate misure di protezione, molte donne si sono trovate intrappolate in relazioni pericolose, senza una via di uscita realmente sicura.
Quali soluzioni?
L’evidenza raccolta mostra che non basta facilitare il divorzio se non si garantisce protezione alle vittime. Una riforma più efficace dovrebbe prevedere misure che impediscano agli aggressori di sfruttare il processo di separazione come strumento di controllo.
Una possibile soluzione è l’introduzione del divorzio unilaterale per le vittime di violenza, eliminando il vincolo del consenso nei casi di maltrattamenti accertati. Anche il sostegno economico e abitativo alle donne in relazioni violente è essenziale per offrire loro un’alternativa concreta. Come mostrano Marina Della Giusta e Maria Laura Di Tommaso, le variabili economiche non solo contribuiscono al fenomeno della violenza maschile contro le donne, ma possono anche giocare un ruolo chiave nel ridurne l’incidenza o mitigarne gli effetti. Politiche di supporto finanziario, accesso agevolato alla casa e misure di inserimento lavorativo possono rappresentare strumenti fondamentali per aiutare le donne a sottrarsi a situazioni di abuso e a ricostruire la propria indipendenza. Infine, programmi educativi mirati potrebbero ridurre la normalizzazione della violenza, agendo in ottica preventiva.
Affrontare il problema della violenza domestica richiede un intervento su più livelli. Le soluzioni devono integrare strumenti giuridici, sociali ed educativi per garantire alle donne non solo la possibilità di uscire dalla violenza, ma anche le condizioni per farlo in sicurezza. Solo così sarà possibile costruire una società in cui la violenza non sia più tollerata.
Figura 1
Figura 2

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