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Il giorno dopo la decisione della Cassazione di disporre un nuovo processo in appello per il delitto di Serena Mollicone, a Rainews24 parla la figlia di Santino Tuzi, brigadiere della Caserma dei carabinieri di Arce, morto suicida 7 anni dopo la scomparsa e il ritrovamento del corpo senza vita della ragazza.
“Se uscirà la verità su Serena uscirà anche su mio padre”, afferma Maria Tuzi che si è commossa appena ha saputo che i giudici supremi avevano accolto l’istanza della Procura generale della Corte d’Appello di Roma contro l’assoluzione dell’ex comandante della caserma di Arce, Franco Mottola, della moglie Anna Maria e del figlio Marco.
“Contenta per la sentenza, è stata una decisione giusta da parte della Cassazione- ha detto ancora Tuzi- Le prove ci sono ma sono state sottovalutate o non valutate nel modo giusto. Speriamo che ora qualche testimone si svegli e dica le cose come stanno”. In una sentenza della Cassazione che non archiviasse il caso “ci speravo ma ero preparata al peggio. Appena il mio avvocato mi ha dato la notizia il mio primo pensiero è andato a Guglielmo. Ora tutto il tempo necessario per arrivare alla verità. Non vogliamo ‘un’ colpevole ma ‘il’ colpevole, come diceva anche Guglielmo”.
La testimonianza di Santino Tuzi
Il brigadiere Tuzi è la persona che ha cambiato il corso delle indagini ad Arce. Pochi giorni prima della sua morte, Santino Tuzi aveva rivelato che Serena era stata nella Caserma di Arce e, fino a quando lui era rimasto in servizio, non ne era più uscita. La sua rivelazione dirottò le indagini verso la caserma, fino ad allora rimasta fuori dalle ricerche degli inquirenti.
Il militare, morto suicida nel 2008, pochi giorni prima di togliersi la vita viene intercettato dai colleghi mentre dialoga con il luogotenente Quatrale. La registarzione per anni non è stata mai inserita negli atti ed è ricomparsa misteriosamente nel 2016.
“Tuzi devi dirmi la verità. Perchè da qualche giorno non mi fanno più salire in Procura. Sei stato ascoltato dalla Perna, che hai detto?” chiede Quatrale al collega. Le risposte di Tuzi sono quasi sempre vaghe, come se avesse ben compreso che dietro quel sollecito al parlare ci possa essere altro. Un’ora di “non ricordo, forse, boh, non so’ e poi il colpo di scena: “Quel giorno ho visto una ragazza ma non l’ho detto a nessuno”. Tuzi al collega non rivela il nome di Serena, ma lo rivelerà poi al magistrato Maria Perna, sostituto procuratore. A lei rivelerà dettagli e circostanze che porteranno Perna a disporre un confronto tra Tuzi e Franco Mottola. Ma i due non si incontreranno più perchè 3 giorni dopo l’intercettazione il brigadiere si toglierà la vita.
Su quella registrazione la figlia di Santino, Maria Tuzi dirà: “Mio padre dal tono di voce si evince che è deluso, preoccupato, diffidente. Lui che è sempre stato un uomo pieno di certezze e che trasmetteva certezze, sembra un bambino spaventato e chiaramente non dice tutta la verità al collega- Perchè non si fidava”.
La reazione dei parenti di Serena
Dopo 24 anni di ipotesi investigative, processi, colpi di scena, la Corte di Cassazione apre dunque un nuovo capitolo sul caso.
“Il mio pensiero va a mia sorella che non rivedrò più nella mia vita così come mio padre. Noi confidiamo nella giustizia che attendiamo da 24 anni. Da oggi abbiamo speranza”, ha detto Consuelo, sorella di Serena Mollicone, dopo la decisione della Cassazione. “Si riapre una possibilità per noi familiari e per la comunità intera. Quando si maltratta e si riduce una bambina in quelle condizioni non possiamo far finta che non ci interessa. Siamo contenti proprio per questo senso di apertura alla ricerca ancora della verità”, ha aggiunto Antonio Mollicone, zio di Serena.
La motivazione del Procuratore generale: “Sentenza carente”
A motivare la decisione del procuratore generale il “macro vizio” della sentenza per mancanza di motivazioni: è “una sentenza totalmente carente” che ha “atteggiamento pilatesco”. Il pg ha affermato inoltre che quanto cristallizzato dalla Corte d’Assise di appello nella Capitale “omette di motivare sulla presenza di Mollicone quella mattina nella caserma di Arce. Non sono stati valutati in maniera unitaria una pluralità di indizi”.
Nel corso del suo intervento il rappresentante dell’accusa ha detto di “condividere e sostenere il ricorso della procura generale di Roma” contro una sentenza che presenta “plurime violazioni di leggi”.
La difesa: “Contro i Mottola prove illogiche e forzate”
Il Pool Difesa Mottola ha invece ribadito quanto già affermato il 5 novembre 2024, in occasione del ricorso per cassazione da parte della Procura generale.
“Aspettiamo le motivazioni della sentenza. Ci sono comunque elementi a discarico dei Mottola che non potranno mai essere messi in discussione anche all’esito di un altro dibattimento”, ha poi dichiarato l’avvocato Mauro Marsella, che insieme a Francesco Germani e Piergiorgio Di Giuseppe, difende la famiglia Mottola.
“Premesso che se il lavoro investigativo fosse stato fatto bene non ci troveremmo di fronte agli errori investigativi “Carmine Belli” e “Famiglia Mottola”, ribadiamo che ci troviamo di fronte all’innamoramento del sospetto e dell’intuizione sbagliati. Siamo certi che gli inquirenti stiano insistendo nell’errore…seguendo il nulla mischiato col niente: illazioni, pettegolezzi, forzature ed errori congetturali. Si sono basati su prove scientifiche illogiche, forzate e sballate, ipotesi investigative senza valore, su nessuna ricostruzione logica di movente, di motivazioni, di circostanze, di situazioni e di cronologie temporali. Non hanno indizi contro gli imputati, non hanno prove, tutto è a favore della tesi della difesa. Stanno sprecando tempo, risorse, piste investigative e i soldi del contribuente. Ci troviamo di fronte a un sistema investigativo che se ‘errorifico’ difende i propri errori. Tale sistema si scatenò contro l’innocente Carmine Belli, oggi si è rinnovato contro la Famiglia Mottola. Quelli che 20 anni accusarono il carrozziere Belli oggi accusano i Mottola senza portare nulla di concreto, se non illogicità e contraddizioni”, scrive in una nota, il criminologo Carmelo Lavorino, coordinatore del pool della difesa dei Mottola.
Roma, all’esterno della Cassazione in attesa della sentenza per l’omicidio di Serena Mollicone, 11 marzo 2025 (Ansa)
Striscioni Giustizia per Serena davanti alla Cassazione
A Roma in piazza Cavour, era stato organizzato un presidio per chiedere giustizia per Serena Mollicone proprio davanti alla Corte di Cassazione.
In piazza sono stati esposti due striscioni, uno con su scritto “24 anni di verità e giustizia negata, ora Serena non merita di essere archiviata” e uno di Telefono Rosa di Frosinone su cui si legge: “Giustizia per Serena, mai più storie di ordinaria violenza”.
Un delitto brutale pieno di ombre
Era il 1 giugno 2001 quando Serena uscì di casa per una visita dal dentista e non fece più ritorno. Due giorni dopo, il suo corpo fu ritrovato in un bosco, con mani e piedi legati, la testa avvolta nel nastro adesivo. L’autopsia rivelò che era stata colpita violentemente alla testa e poi soffocata.
Un delitto brutale, che fin dall’inizio si rivelò pieno di ombre e depistaggi. Le prime indagini si concentrarono su un carrozziere del paese, Carmine Belli, arrestato e poi assolto. Ma nel 2008 emerse una testimonianza inquietante: il brigadiere dei carabinieri Santino Tuzi dichiarò di aver visto Serena entrare nella caserma dei carabinieri di Arce la mattina della scomparsa. Pochi giorni dopo, Tuzi fu trovato morto: suicidio, secondo la versione ufficiale, ma con troppi dubbi e coincidenze.
Le indagini ripresero slancio nel 2011, quando una perizia stabilì che il colpo alla testa subito da Serena poteva essere compatibile con un impatto contro una porta della caserma. La pista portò alla famiglia Mottola, all’epoca residente proprio all’interno della struttura. Secondo l’accusa, Serena sarebbe stata uccisa dopo una lite con Marco Mottola e il suo corpo sarebbe stato portato via per inscenare un depistaggio. Nel 2019, dopo anni di indagini, la procura di Cassino portò a processo i tre Mottola e due carabinieri, Francesco Suprano e Vincenzo Quatrale. Ma il dibattimento, durato anni, non ha portato alla verità sperata: la Corte d’Assise di Cassino prima e la Corte d’Appello poi hanno assolto tutti gli imputati per insufficienza di prove. Ora l’ultimo verdetto spetta alla Cassazione.
La famiglia di Serena e la procura di Cassino sperano ancora in un ribaltamento della sentenza, ma se l’assoluzione saraà confermata, il caso potrebbe restare uno dei più grandi misteri irrisolti della cronaca italiana.
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