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«Accolta con favore». Il “day after” della proposta italiana che punta a mobilitare fino a 200 miliardi di euro di investimenti privati per la difesa facendo leva su uno strumento di garanzia europeo e senza contrarre nuovo debito, ha visto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti incassare il sì di molti suoi colleghi titolari delle Finanze. Al termine di una due giorni di intensi confronti a margine dell’Ecofin di Bruxelles, con un obiettivo principale: trovare le risorse per sostenere la nuova corsa agli armamenti dell’Europa e definire il perimetro – alla fine piuttosto limitato – delle eccezioni al Patto di stabilità. «Il tempo delle illusioni è finito. È l’ora del coraggio e del riarmo», ha suonato la carica nelle stesse ore la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, intervenuta nell’emiciclo del Parlamento europeo di Strasburgo per illustrare il pacchetto “Rearm Europe”.
I FONDI
In risposta al disimpegno strategico degli Usa dalla sicurezza del Vecchio continente, il piano vuole mettere nel cantiere della difesa Ue 800 miliardi nei prossimi quattro anni, tra fondi nazionali (650 miliardi) “liberati” dai vincoli del Patto di stabilità consentendo investimenti militari in deficit, e uno schema europeo di prestiti (per 150 miliardi) per «acquistare armamenti di manifattura europea, così da sostenere la nostra industria», ha precisato von der Leyen. Un’apertura, per la prima volta netta, all’idea del “Buy European” che è portata avanti da Parigi, determinata a investire di più sì, ma non più comprando armi americane (che rappresentano oltre il 60% delle commesse militari europee).
«Non possiamo concepire finanziamenti per la difesa a scapito della spesa sanitaria e dei servizi pubblici», ha avvertito Giorgetti all’Ecofin, presentando i contorni dell’iniziativa italiana con cui vuole inserire nel programma InvestEU una nuova garanzia pubblica di 16,7 miliardi di euro con un moltiplicatore di 12x tale da innescare investimenti industriali aggiuntivi fino a 200 miliardi di euro. Il riscontro è stato «positivo», raccontano a Bruxelles. E ha unito Francia e Polonia, e incassato aperture da Grecia e Paesi Bassi. Se per il francese Éric Lombard la proposta «è molto interessante perché mira a mobilitare il risparmio privato con la garanzia della Commissione», per Andrzej Domanski, ministro dell’Economia di Varsavia e presidente di turno del Consiglio, la palla ora passa nel campo della Commissione. La quale, da parte sua, con il titolare dell’Economia Valdis Dombrovskis, ha detto chiaro e tondo che «far leva per gli investimenti privati» rientra tra le soluzioni al vaglio dell’esecutivo. Anche quello dell’indebitamento-monstre sembra uno scenario da evitare il più possibile, fanno notare alcune delegazioni nazionali, spaventate dal rialzo dei rendimenti del debito tedesco in seguito al bazooka di investimenti pubblici annunciati dal prossimo governo di Berlino. E proprio la Germania sembra essere rimasta con il cerino in mano, unica a chiedere una riforma del Patto di stabilità a meno di un anno dalla sua entrata in vigore. «L’inchiostro non è ancora asciutto…», hanno puntato i piedi a più riprese gli olandesi, ex sodali nel campo frugale.
LA FLESSIBILITÀ
Né i rigoristi né i Paesi ad alto debito sembrano sostenere l’opzione tedesca di riaprire il Patto per esentare in maniera stabile la spesa per la difesa dal calcolo del deficit. Passa, semmai, l’ipotesi più “mirata”, cioè l’attivazione di esenzioni su scala nazionale per gli Stati che lo chiedono. Una bozza in questo senso dovrebbe essere presentata dalla Commissione già la prossima settimana, in vista del summit dei leader del 20 marzo, con precise caratteristiche: una «flessibilità» limitata «in termini di tempo e di volume. Quattro anni e 1,5% del Pil», ha detto Dombrovskis. La Francia, però, ha già escluso la possibilità di avvalersi della “clausola”: «Non abbiamo il margine di manovra per farlo». E su ciò che si potrà considerare spesa per la difesa ai fini di deroghe e investimenti, il commissario ha detto che Bruxelles ha scelto «la definizione “Cofog”»: copre tutte le spese per la difesa, inclusi equipaggiamenti e infrastrutture militari, ma anche gli stipendi (non le pensioni) dei soldati.
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