Professione e volontariato: l’impegno di Giorgia Melis, odontoiatra tra Sardegna e Guatemala | Sardegna che cambia

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Unire la propria professione al desiderio di dare il proprio contributo in contesti che necessitano supporto. Per Giorgia Melis, odontoiatra di Iglesias, tutto è iniziato da bambina ascoltando i racconti dello zio missionario. Un piccolo seme – quello del volontariato – piantato sin dalla tenera età e nutrito dalla passione per i viaggi e l’incontro con nuove culture, oggi cresciuto fino a portarla alla sua prima missione. La sua è una storia che inizia qualche anno fa: grazie anche alla collaborazione con l’associazione dei dentisti italiani ANDI, Melis entra in contatto con la Onlus Sulla Strada, che si occupa di interventi in Guatemala.

Un’esperienza di volontariato che però non si è limitata alla sola missione, anzi. Dopo il suo ritorno Giorgia Melis ha continuato a supportare il progetto in vari modi, organizzando raccolte fondi, acquistando materiali difficili da reperire in Guatemala, per poi prepararsi per una nuova partenza. Questa volta partirà insieme al suo compagno, che collaborerà con altre figure presenti nel villaggio nel mettere in sicurezza le abitazioni, migliorare gli impianti fognari e occuparsi di tutte le necessità pratiche che il contesto richiede.

Un’esperienza che offre spunti di riflessione su come ciascuna persona, consapevole di far parte di una comunità globale, possa contribuire in vari modi, favorendo anche la nascita di una visione più ampia e pragmatica del mondo e decisamente meno egoriferita. Un processo che inoltre porta a un cambiamento di prospettiva che si riflette nella vita quotidiana, seminando nuove consapevolezze e aprendo la strada a un approccio meno individualista e più orientato alla collettività.

In che modo l’associazione Sulla Strada opera in Guatemala?

Sulla strada si snoda su vari ambiti. Ad esempio è stata costruita di recente una casa famiglia, che va intesa come un luogo educativo in cui i bambini che affrontano periodi stressanti possono alloggiare, dietro consenso dei genitori. La situazione in alcune zone del Guatemala richiede un tamponamento su più fronti, per cui qualsiasi intervento è necessario: vengono messe in campo diverse iniziative oltre l’ambito sanitario ed educativo, come la costruzione di impianti fognari o la messa in sicurezza delle abitazioni, per quanto possibile.

Quanto è durata la prima missione di volontariato e in cosa consisteva?

In Guatemala è stato costruito un ambulatorio aperto a tutti e tutte coloro che necessitano di cure. Sono presenti vari reparti, per cui ogni anno una serie di specialisti di varia natura partecipa alle missioni in cui ognuno dà proprio contributo. La mia è durata due settimane, ho lavorato come dentista generica, anche perché gli interventi di cui c’è necessità principalmente sono estrazioni, devitalizzazioni e otturazioni. Si fa una sorta di odontoiatria di emergenza, nel senso che l’obiettivo è cercare di mantenere i denti più a lungo possibile, ma considerando sempre che non si sarà presenti tutto l’anno bisogna ridurre al minimo le possibilità che successivamente al mio intervento il paziente possa incorrere in complicazioni dolorose.

Nelle nuove generazioni la mentalità sta cambiando, c’è un crescente interesse a impegnarsi

Spesso si sente dire che le persone giovani non fanno abbastanza volontariato, ma non sempre si considera che sono il frutto di un processo culturale collettivo, educato dalle generazioni precedenti. Se molti giovani non si avvicinano al volontariato, può dipendere dal fatto che non viene loro proposto come valore fondamentale nell’educazione o nella crescita?

Penso che il ruolo delle generazioni precedenti nei confronti del volontariato sia determinante: noto un certo scetticismo tra la generazione più adulta rispetto alle missioni, che spesso è legato all’idea del “paese del terzo mondo” come luogo pericoloso. Certo, il rischio può esistere come in altre parti del mondo, ma credo che affidandosi alle persone giuste e a organizzazioni serie, non debba essere visto come un pericolo insormontabile. Talvolta lo scetticismo è accompagnato anche da un atteggiamento di diffidenza verso le associazioni, come se ci fosse uno scopo di lucro nascosto.

Però devo dire che ho notato come nelle nuove generazioni questa mentalità sta cambiando, c’è anzi un crescente interesse a impegnarsi e una volontà di comprendere come funzionano davvero questi progetti. Ad esempio, lo scorso anno, prima di partire, ho deciso di creare una raccolta fondi in occasione del mio compleanno per acquistare strumentazioni mediche. Grazie alla solidarietà di colleghi e delle persone che mi stanno intorno, sono riuscita a raccogliere circa 4.000 euro.

Anche in occasione di una cena sempre finalizzata a una raccolta fondi, a Iglesias, sono rimasta stupita dalla partecipazione non solo dei miei coetanei, ma soprattutto nel vedere come i racconti che si sono tenuti durante l’evento abbiano sensibilizzato anche partecipanti di età superiore che in un primo momento apparivano scettici.

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Foto di Sulla strada Onlus
Ricollegandomi al concetto di collettività educante, ci sono esperienze o le figure che hanno fatto anche involontariamente da guida durante questo percorso?

In famiglia ho avuto l’esempio di uno zio che ha passato la sua vita come missionario in Sud America. Nell’ascoltare i suoi racconti fin da piccola ho sognato di poter viaggiare e vivere esperienze simili, di poter partecipare a missioni e aiutare concretamente. Non credo infatti sia un caso che la mia prima missione sia stata proprio in Sud America. Inoltre la mia professione, sebbene non sia stata scelta per agevolare questa mia passione, ha comunque contribuito a rendere possibile e più accessibile far parte di attività di volontariato.

Noi odontoiatri poi spesso lavoriamo come liberi professionisti con partita IVA, il che ci dà una maggiore flessibilità dal punto di vista lavorativo e rende più propensi a partecipare a iniziative di volontariato. Per chi invece lavora in ospedale, come assistenti alla poltrona o medici, è molto più complicato partire, perché devono prendere ferie e gestire una serie di altre difficoltà logistiche. 

Come si possono raccontare le esperienze di volontariato affinché spingano anche altri e altre a partecipare?

È un racconto complicato, quasi intimo, difficile da descrivere a parole. Mi verrebbe da raccontare di come io abbia trovato una sorta di “mia dimensione” nel fare il mio lavoro in un modo diverso rispetto a come lo faccio qui. Non voglio dire che non si tratti di lavoro, ma è un tipo di impegno che ripaga in modo completamente diverso. Nello svolgere l’attività lavorativa a volte subentra il pensiero poco piacevole di ricevere un compenso per una prestazione, mentre quando fai volontariato ricevi “solo” gratitudine: è un tipo di ricompensa che non si misura in denaro, ma è comunque una forma di appagamento.

In conclusione, in che modo il volontariato può essere un motore di cambiamento e trasformazione sociale?

Si tratta di un’esperienza che ti cambia profondamente. Ti permette di vedere le cose da prospettive diverse: se prima affrontavi le situazioni in un determinato modo, quando ti confronti con realtà completamente differenti inizi a cogliere nuovi punti di vista. È vero che non possiamo cambiare il pensiero delle persone, ma ho notato che anche coloro che inizialmente sono più scettici, quando ascoltano certe storie o vivono esperienze di volontariato, tendono a cambiare la loro visione delle cose. Quindi, in qualche modo, è una pratica che riesce a cambiare sia chi fa volontariato, che le persone che le stanno intorno. 



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