Operai, diplomati e laureati, provenienti dal Nord: chi sono i giovani che scappano all’estero. E chi resta in Italia è scoraggiato

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Negli ultimi dodici anni 550mila giovani italiani tra i 18 e i 34 anni hanno lasciato l’Italia per andare a lavorare all’estero. A partire non sono più solo i ragazzi del Meridione ma sono soprattutto quelli del Nord, delle regioni più ricche: uomini e donne diplomati (36,5%), laureati (33,2%) e anche tante persone senza nemmeno un titolo di studio di secondaria (oltre il 30%). I dati arrivano dal rapporto “La nuova emigrazione italiana” pubblicato dalla Fondazione “Nord Est”. Numeri che sono pari a quelli del passato. “Se ne vanno – spiega il direttore scientifico Luca Paolazzi – i ricercatori che in Italia non trovano spazio negli atenei; i laureati di diverse facoltà che vengono maggiormente valorizzati all’estero ma anche tanti ragazzi (138 mila) che con coraggio partono e trovano occupazione come operai qualificati, tecnici, impiegati. Il vero problema è che da noi essere giovane è penalizzante. Altra questione: su 8,5 ragazzi che abbandonano l’Italia ne arriva solo uno dai Paesi più avanzati”.

Un’emorragia che ha delle conseguenze gravissime. Secondo la Fondazione “Nord Est” l’impatto dell’uscita di questo capitale umano porta una perdita di 133,9 miliardi di euro nell’arco dei 12 anni: 22,9 miliardi per la Lombardia, 14,5 per la Sicilia e 12,5 per il Veneto. Nel biennio 2021-2022 il valore annuo del capitale umano uscito dall’Italia è stato di 8,4 miliardi di euro che però beneficiano i Paesi di destinazione: “Quest’ultima cifra – cita Paolazzi – è da intendersi come il “costo” di chi se n’è andato. Abbiamo calcolato, infatti, quanto si è speso per ciascuno dalla nascita fino ad oggi”. Ma i danni non sono da osservare solo con le percentuali: “È chiaro – spiega il direttore – che avremo sempre una minore natalità; la rivoluzione verde e digitale diventerà sempre più difficile e alla sostenibilità del debito pubblico fischiano già oggi le orecchie”. Ma proviamo ad andare un po’ più a fondo e a guardare il rapporto con la lente d’ingrandimento.

Chi sono i giovani che fuggono dall’Italia? – Non sono tutti laureati. Anzi, la maggior parte non ha in tasca il titolo di studio più alto. Infatti, se nei tredici anni 2011-2023 oltre 550mila giovani hanno lasciato il Bel Paese, poco più del 30% è perfino senza diploma di scuola media superiore e un altro 35% possiede al più tale attestato. Nell’ultimo triennio la distribuzione si è spostata verso i laureati, che però rimangono minoranza. Questo dato è importante perché getta una luce diversa sulla fuga dei giovani italiani: non si tratta di un fenomeno elitario ma coinvolge anche chi non viene da contesti famigliari agiati. Se ne vanno, insomma, i due estremi: le persone con un tenore di vita dichiarato nella media, provenienti da piccoli centri e con genitori con basso titolo di studio che ricoprono profili professionali di operaio o sono pensionati e i ricchi, quelli che lasciano la metropoli e con i genitori dirigenti o impiegati, entrambi con almeno il titolo di studio secondario, spesso laureati.

Cosa fanno all’estero? – Il diverso background di provenienza – segnala il rapporto – influenza gli stessi sbocchi professionali degli expat: in particolare tra coloro che sono partiti contando su condizioni più vantaggiose è più ampia la quota di chi svolge una professione intellettuale (23,1% rispetto a 4,9% di chi ha origini svantaggiate) o impiegatizia (40,2% rispetto al 30%). Viceversa, tra coloro che sono partiti per necessità è più significativa la percentuale di persone che lavorano nei servizi (17,6% rispetto a 10,4%) e di quanti sono operai specializzati o semi-specializzati (21,6% rispetto a 2,6%) o hanno impieghi non qualificati (8,1% rispetto a zero).

Sono felici della loro scelta? – Pare proprio di sì. Quasi nove giovani expat su dieci ritengono che il futuro sia frutto del proprio impegno e sette su dieci che sarà felice e ricco di opportunità; infine, due su tre ritengono che sarà migliore. Quote che cadono nettamente se a rispondere sono i giovani rimasti a vivere al Nord: meno di sei su dieci credono che il futuro dipenda dal loro impegno e comunque meno di cinque su dieci pensa che sarà felice e solo tre su dieci che sarà ricco di opportunità. Resta, infine, da capire perché i giovani europei non vengano nel nostro Paese. Il rapporto “La nuova emigrazione italiana” parla chiaro: l’assenza di lavoro, i servizi di welfare e le infrastrutture digitali sono tra le principali motivazioni per cui l’Italia è bocciata. Il nostro Paese si salva solo per la cultura. Ma non basta.



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