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L’attuale panorama geopolitico è «caratterizzato da forte incertezza e complessità che non possono che essere fronteggiate articolando una risposta coerente da parte degli Stati membri dell’Unione europea».
Questa l’opinione del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti espressa durante il question time alla Camera, che ha ribadito che «l’Italia ha salutato positivamente la proposta della Commissione Ue di attivare la clausola di salvaguardia nazionale del Patto di Stabilità e Crescita, per le spese legate alla difesa».
Il governo tuttavia ha ben presente la necessità che la flessibilità concessa dall’attivazione della clausola nazionale di salvaguardia «non comprometta la sostenibilità delle finanze pubbliche e non comporti un aumento significativo del debito pubblico». Questo, infatti ha spiegato il titolare del Mef, «lascerebbe i Paesi ad alto debito in una posizione di debolezza, aumenterebbe la frammentazione e rischierebbe di compromettere la stabilità finanziaria dell’area euro».
Ecco perché «l’Italia ha elaborato una proposta con l’obiettivo di colmare il divario di investimenti dell’Europa nel settore della difesa e della sicurezza e migliorare significativamente le sinergie tra risorse nazionali e a livello Ue, ma cercando per quanto possibile di minimizzare l’impatto sul debito pubblico».
In ogni caso, ribadisce ancora Giorgetti, i finanziamenti per la spesa militare «non potranno avvenire a scapito di settori fondamentali per i cittadini, quali ad esempio la sanità e i servizi pubblici».
La valutazione del Piano Ue
La valutazione del Piano di riarmo a livello europeo «potrà essere fatta solamente alla fine di un ragionamento» complessivo che tenga conto dei dettagli del piano stesso e questi «saranno forniti soltanto nelle prossime settimane, anche con la pubblicazione di un libro bianco sulla difesa che è fondamentale per delineare le strategie future e le priorità in materia di difesa a livello europeo».
Quel che è certo è che «prima di tutto l’Italia deve rispettare gli impegni internazionali» ha aggiunto Giorgetti. Difatti «fa parte di un’alleanza e questa alleanza se richiede un impegno del 2% siamo tenuti a rispettarlo». La seconda dimensione è che «invece di sparare cifre a priori dobbiamo sapere quali sono le vere necessità per quelli che sono gli investimenti militari, una volta determinato questo, e ci sta lavorando il ministro Crosetto, si stabilirà il tipo di impegno e l’ammontare dell’impegno che il governo italiano dovrà sostenere». Inoltre «questo sforzo non potrà non contemplare una valutazione di politica industriale con riferimento all’industria della difesa che dovrà produrre un beneficio in termini di crescita economica e di occupazione» ha sottolineato il ministro.
Quanto all’aggiornamento del piano industriale di Leonardo, Giorgetti ha fatto i complimenti alla società, aggiungendo che «sono fortunati in questo momento come le aziende energetiche quando l’energia era andata alle stelle o quelle che facevano i farmaci durante il Covid. Sono un’azienda e Io faccio parte del governo e faccio un altro tipo di lavoro».
L’incognita dazi
Altra fonte di incertezza in termini geoeconomici e geopolitici è sicuramente «la politica di introduzione di dazi annunciata dall’amministrazione americana che rischia di danneggiare l’economia italiana come quella europea e con effetto a catena il commercio globale».
Però, precisa Giorgetti, forse «ci dimentichiamo che arriviamo da decenni di concorrenza totale a livello globale, la mitica globalizzazione, senza regole spesso; con i rispettivi danni che ha subito l’economia italiana e tante imprese e imprenditori scomparsi grazie alla concorrenza sleale rispetto a una teoria del free trade che in qualche modo si considerava ineluttabile».
Quindi pur nella convinzione, «come ho già sostenuto al G7 e G20, che la guerra commerciale non conviene a nessuno» forse questo momento può trasformarsi nell’occasione di «rimettere a posto le cose», rendendo anche il Wto più trasparente e a parità competitiva tra «imprese che rispettano le normative ambientali e sociali rispetto a quelle, magari sussidiate dallo Stato, che sono in grado di spazzarti via dal mercato senza colpo ferire».
Il golden power sulle banche è un obbligo
Rispondendo poi a questioni nazionali, il ministro ha sottolineato che l’Ops lanciata da Unicredit su Bpm e quella di Mps su Mediobanca sono «in corso di valutazione» da parte del gruppo di valutazione interministeriale «al fine di verificare gli impatti di queste operazioni sull’interesse generale dello Stato nel settore finanziario». Difatti lo strumento del golden power nel settore finanziario «non è attivabile a mia discrezionalità ma è un obbligo».
Nello specifico, ha spiegato il numero uno del Mef, «la normativa golden power impone l’obbligo di notifica – indipendentemente dalla nazionalità italiana o straniera del soggetto acquirente – nel caso in cui l’operazione di acquisizione abbia a oggetto attivi di rilevanza strategica e nel settore finanziario sono ritenuti tali tra l’altro, banche, società assicurative e altre società finanziarie che generino un fatturato annuo superiore a 300 milioni e che occupino 250 dipendenti».
Le valutazioni sulle offerte lanciate da Unicredit su Bpm e da Mps su Mediobanca «saranno effettuate in conformità con quanto previsto dalla legge e quindi in modo proporzionato, ragionevole e nel rispetto del principio di non discriminazione», nonché in seguito a «un’approfondita istruttoria che coinvolge le imprese interessate». Anche nel caso di esercizio di poteri di golden power la gamma di possibili soluzioni comprende «l’adozione di misure di monitoraggio e prescrittive pienamente idonee a contemperare gli interessi in gioco». Laddove, conclude Giorgetti, il veto alle operazioni esiste «solo come estrema ratio».(riproduzione riservata)
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