De Felice (Intesa Sanpaolo): «Il 2025 sarà un anno di forte discontinuità, ma possiamo reagire»

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«Il 2025 è un anno di forte discontinuità con il passato ma le imprese di questi territori hanno la forza per cogliere le opportunità del cambiamento anche grazie alla riduzione dei tassi di interesse della Bce».

Così Gregorio De Felice, capo economista e responsabile della direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo.

Gregorio De Felice sarà uno dei protagonisti del Festival Treviso Città Impresa, previsto dal 14 al 16 marzo nel capoluogo veneto, e presenterà un “Focus economie Veneto e Friuli Venezia Giulia” da cui emergono le luci e le ombre di un anno che, dice l’economista, «separerà un mondo dall’altro».

Cosa emerge dalla vostra indagine sul sentiment delle imprese del Veneto e del Friuli Venezia Giulia?

«Le due aree registrano mediamente un indice di fiducia più basso della media nazionale: sul totale dei settori, Friuli Venezia Giulia e soprattutto Veneto hanno un sentiment negativo. Questo a fronte del moderato ottimismo della media italiana. Diversamente gli imprenditori dei settori del turismo e dei servizi, pure più prudenti dei colleghi del resto d’Italia, prevedono fatturati in crescita. Anche nell’ambito del manifatturiero, del commercio al dettaglio e delle costruzioni il sentiment risulta inferiore alla media. Per i settori dell’agricoltura e del commercio all’ingrosso le previsioni divergono: negative per le due regioni del Triveneto, positive per il totale del Paese».

Uno dei principali timori delle nostre imprese manifatturiere, notoriamente esposte sui mercati internazionali, sono i dazi annunciati da Donald Trump. Quale impatto possono avere sul nostro sistema?

«Il Veneto e il Friuli Venezia Giulia sono rispettivamente la quarta (con il 7,6% del totale dell’export italiano in Usa) e la nona (con il 2,3%) regione italiana per valore delle esportazioni nazionali negli Stati Uniti nel 2023.

Complessivamente si tratta di poco meno del 10% degli oltre 67 miliardi di euro esportati quell’anno. Vedo meno esposti alcuni settori come il farmaceutico, dove la presenza di investitori statunitensi è significativa, e l’agroalimentare, i cui consumatori hanno mediamente una capacità di spesa in grado di assorbire, almeno parzialmente, gli aumenti.

Per quanto riguarda la parte core del nostro manifatturiero, e cioè la meccanica di precisione, la produzione di macchinari e così via, la specializzazione raggiunta negli anni garantisce il vantaggio di una domanda internazionale poco elastica alle fluttuazioni dei prezzi: lo dimostra la crescita dell’export anche di fronte agli aumenti dei prezzi degli anni scorsi. E tuttavia il rischio insito nella crescita dell’incertezza globale potrebbe essere anche di diversa natura».

«Sappiamo che l’incertezza non è un buon viatico per gli investimenti. Questo vale per le imprese del territorio come per le altre in tutto il mondo. E qualora la propensione agli investimenti dovesse rallentare a livello globale allora anche le nostre aziende potrebbero essere esposte a conseguenze. E tuttavia le previsioni di crescita del Pil, negli Usa, vedono un 2025 a +2% e un 2026 a +2,3% (pure rispetto ad un 2024 a +2,8%) contro il +0,9% dell’Area Euro per il 2025 e del +1,2% nel 2026».

Nel frattempo il tasso di incertezza politica si è impennato a livelli vicini a quelli del Covid19 già a seguito della vittoria elettorale di Trump. Cosa possono fare le nostre imprese?

«La parola d’ordine è diversificare, e le imprese del Nord Est hanno già una buona esperienza in questo campo sia nell’export come negli approvvigionamenti. Dalla prima indagine di Intesa Sanpaolo sugli specialisti per l’internazionalizzazione, svolta tra novembre e dicembre 2024, emergono le opportunità offerte dalle nuove rotte commerciali internazionali. I Paesi del Medio Oriente, l’India e il Nord Africa sono fortemente attenzionati dagli imprenditori».

«Attualmente è un Paese in guerra e com’è noto le relazioni con la Ue sono tese. Nell’ottica di una qualche forma di pace con l’Ucraina, nel medio periodo, potrebbe tornare ad essere un’opportunità: la Russia non è stata in grado di differenziale la propria economia come hanno fatto alcuni Paesi del Medioriente esportatori di petrolio. E in Europa rimane la necessità di un approvvigionamento di materie prime che sia stabile e a buon prezzo. Una soluzione di deterrenza economica, e nel contempo di reciprocità e interdipendenza, potrebbe prevedere il ritorno ad un modello di relazioni commerciali che bilanciasse con intelligenza lo scambio di beni energetici russi con prodotti tecnologici e del manifatturiero made in Ue».

Il tema all’ordine del giorno è quello di un piano di riarmo europeo da 800 miliardi. Potrebbe essere un’opportunità per le imprese del Nord Est?

«In parte sì ma solo per quelle filiere che possono rapidamente riconvertire le proprie produzioni verso un ambito che prevede, in molti casi, barriere all’ingresso e certificazioni precise. Ad ogni modo il percorso di riorganizzazione del sistema in una chiave di difesa rischia di essere per lo meno di medio periodo».



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