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Aderiamo alla manifestazione e lavoriamo per la sua riuscita, ma soprattutto lavoriamo per fare della sua preparazione, della sua costruzione e del suo svolgimento un percorso che alimenta, la mobilitazione dei lavoratori e delle masse popolari per cacciare il governo Meloni, rovesciare il sistema politico delle Larghe Intese e costruire un governo di emergenza popolare.
L’Unione Democratica Arabo Palestinese (Udap) e i Giovani Palestinesi d’Italia (Gpi) hanno lanciato l’appello per una manifestazione nazionale a Milano per il 12 aprile. La manifestazione ha una particolare rilevanza stante il contesto politico sul piano internazionale e su quello nazionale.
Oltre a essere oggettivamente concatenata a una serie di mobilitazioni di cui i lavoratori, i movimenti, le organizzazioni sindacali saranno protagonisti nelle prossime settimane, la manifestazione del 12 aprile si svolge in un momento in cui “i nodi vengono al pettine” per il sistema di potere della borghesia imperialista.
– L’installazione di Trump alla Casa Bianca sta sconvolgendo il sistema di relazioni internazionali su cui si basavano i (già precari) “equilibri internazionali” e, fra una provocazione, un atto di forza e una giravolta, Trump sta riorganizzando l’apparato finanziario-industriale-militare Usa con lo scopo di aggredire più direttamente la Repubblica Popolare Cinese e disarticolare i Brics;
– i vertici della Ue hanno annunciato, per bocca di Ursula Von der Leyen, un piano di misure straordinarie di 800 miliardi di euro per “il riarmo dell’Europa” con la velleità di continuare la guerra in Ucraina contro la Federazione Russa, far fronte alla politica dell’amministrazione Trump e costruire un’alternativa alla dipendenza militare dagli Usa;
– lo Stato illegittimo d’Israele sta sabotando la tregua a cui i sionisti sono stati costretti nello scorso gennaio a Gaza e sta intensificando le aggressioni al popolo palestinese in Cisgiordania.
Questo, per sommi capi, il contesto internazionale.
Per quanto riguarda il contesto nazionale, la manifestazione “europeista” e guerrafondaia del 15 marzo a Roma, un’operazione di mobilitazione reazionaria promossa da una corrente del sistema Pd delle Larghe Intese come diretta conseguenza dei sommovimenti nel contesto internazionale, è una rottura (a destra) nel sistema politico italiano delle Larghe Intese di cui è possibile approfittare per rafforzare tutto il movimento popolare.
Il tentativo di intruppare una parte di lavoratori e masse popolari italiane nel sostengo al polo imperialista dell’Ue e della sua politica di riarmo dietro le parole d’ordine dello “spirito originario della Ue” (questa è stata la maldestra operazione del burattino Serra della fazione capitalista/affaristica di Repubblica) è rapidamente naufragato e l’operazione si è mostrata per ciò che è.
L’adesione della Cgil, confermata dopo la “sommossa” di iscritti, delegati e funzionari, e quella dell’Anpi, confermata nonostante la sollevazione di sezioni e federazioni di mezza Italia, non sono bastate a edulcorare il contenuto reazionario della mobilitazione. Anzi, hanno alimentato le polemiche e le prese di distanze della base contro i rispettivi gruppi dirigenti che schierano il principale sindacato italiano e l’associazione dei partigiani nel campo dei guerrafondai, degli eversori, dei macellai dei lavoratori e delle masse popolari, al fianco della Sinistra per Israele, di Calenda, Renzi, Tajani e D’Alema a leccare le scarpe agli amministratori delegati di Leonardo e delle altre fabbriche di armi che infestano il paese.
La manifestazione “europeista” e guerrafondaia del 15 marzo pone platealmente la necessità di uno sbocco politico unitario al movimento operaio e popolare: alla mobilitazione contro la guerra e alla mobilitazione contro la Nato, a quello in solidarietà con il popolo palestinese, quello contro il carovita, quello contro le stragi sui posti di lavoro e per la difesa dell’apparato produttivo del paese, per la difesa della scuola e della sanità pubbliche, quello contro la devastazione ambientale, ecc.
La “contro” manifestazione indetta sempre per il 15 marzo, e sempre a Roma, da Potere al Popolo e Prc (piazza Barberini alle 15) a cui hanno aderito decine di realtà politiche, sociali e di movimento, sindacati di base e organismi popolari, offre uno spaccato veritiero, anche se non esaustivo, delle forze che hanno la responsabilità, di indicare lo sbocco politico e sono protagoniste della sua realizzazione.
La Cgil dovrebbe essere sulle barricate per i referendum contro il Jobs Act e non c’è, dovrebbe essere sulle barricate per il rinnovo dei Ccnl (in particolare quello dei metalmeccanici) e non c’è, dovrebbe essere sulle barricate contro il carovita e non c’è. La Cgil NON deve essere sulla barricata innalzata dai guerrafondai e da coloro che da 40 anni bastonano i lavoratori italiani e le loro famiglie.
Discorso analogo vale per l’Anpi che hanno trasformato i loro stessi iscritti in marionette al servizio dell’”esercito europeo” e della Terza guerra mondiale – da Cgil e Anpi rispondono “presente” alla chiamata dei guerrafondai europei. Che fare?
La particolarità (e l’importanza) dell’appello per la manifestazione del 12 aprile lanciato da Udap e Gpi consiste nel fatto che è rivolto prima di tutto ai lavoratori, è uno strumento per il protagonismo dei lavoratori nella lotta contro la guerra, l’economia di guerra e i guerrafondai.
È esattamente questo l’aspetto da valorizzare e sviluppare, sulla scia delle mobilitazioni in solidarietà al popolo palestinese di cui anche i lavoratori sono stati protagonisti nei mesi scorsi: dalle giornate del 23 e 24 febbraio 2024 (sciopero dei sindacati di base e manifestazione nazionale a Milano), del 5 ottobre a Roma (con i divieti di manifestare che il governo Meloni ha cercato di imporre e che sono stati violati) e del 30 novembre 2024 a Roma.
Sarebbe tuttavia un errore considerare solo le manifestazioni in cui hanno avuto un ruolo determinante i sindacati di base e alternativi: la solidarietà al popolo palestinese e il sostegno alla causa della Palestina libera alberga anche fra tanti iscritti e iscritte alla Cgil.
Lo hanno dimostrato le plateali dimostrazioni di sostegno al popolo palestinese durante la manifestazione nazionale che la Cgil stava svolgendo proprio il 7 ottobre del 2023 a Roma (La via maestra), nonostante nugoli di giornalisti cercassero il materiale per poter documentare “la condanna verso i terroristi di Hamas” mentre arrivavano in Italia le informazioni sul contrattacco della resistenza palestinese e lo dimostrano anche le manifestazioni “minori” (solo per esposizione mediatica) che settori della Cgil hanno organizzato in solidarietà al popolo palestinese (citiamo qui solo quella che si è svolta il 3 novembre 2023 a Modena, dove il corteo promosso da delegati Cgil-Fiom ha visto l’unità in piazza di lavoratori di diverse sigle e del movimento cittadino).
L’appello di Udap e Gpi, quindi, coglie nel segno e, anche sulla scorta delle mobilitazioni citate, chiama tutti i solidali, i compagni e le compagne, a promuovere una straordinaria mobilitazione, posto di lavoro per posto di lavoro, per far emergere la solidarietà al popolo palestinese di ampi settori della classe lavoratrice italiana: iscritti e militanti dei sindacati di base, iscritti e attivisti di base dei sindacati di regime, semplici lavoratori senza alcuna tessera sindacale in tasca.
Questo è il lavoro che possiamo, dobbiamo e vogliamo dispiegare con tutti coloro che, territorio per territorio, sono disposti a costruire unità d’azione per fare della manifestazione del 12 aprile a Milano una grande manifestazione operaia e popolare. Alcuni esempi.
Organizzare volantinaggi ai cancelli delle fabbriche e dalle aziende, alle mense, fuori dalle scuole e dagli uffici pubblici. Similarmente, in ogni mobilitazione territoriale e cittadina (ambientalista, di genere, contro il razzismo, ecc.) deve essere presente l’appello per il 12 aprile.
Chiedere il sostegno e la mobilitazione di quegli organismi che sono già un punto di riferimento in ragione della mobilitazione che hanno condotto e stanno conducendo: dal Collettivo di Fabbrica della ex GKN di Campi Bisenzio (FI), che ha mostrato una via nel cosa significa assumere quel ruolo di nuova autorità pubblica necessario per attuare le misure per affermare gli interessi dei lavoratoti e delle masse popolari grazie all’organizzazione dentro e fuori i cancelli delle fabbriche, al Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali (CALP) di Genova per la loro lotta contro il traffico di armi nei porti (la cui storia è oggi nelle sale con le proiezioni di “Portuali”), al Gruppo Autonomo Portuali (GAP) di Livorno e simili.
Coinvolgere, “uno a uno” (sono migliaia) i lavoratori che hanno firmato i vari appelli contro l’adesione e la partecipazione di Cgil e Anpi alla piazza “europeista” e guerrafondaia del 15 marzo a Roma.
Ancora: saldarsi alle vertenze in corso in ogni angolo del Paese: da Stellantis in lotta contro l’accelerazione dello smantellamento degli stabilimenti italiani agli stabilimenti Beko di Cassinetta (VA), Siena e Comunanza (AP); alla Berco di Copparo (FE); al Trasporto Pubblico Locale e a quello ferroviario, sotto attacco dalla Commissione antiscioperi e del ministro dei disastri ferroviari, Salvini.
E ancora: “approfittare” delle assemblee (da quelle su rinnovo del Ccnl dei metalmeccanici e alle prossime per la campagna referendaria della Cgil) per portare, all’ordine del giorno, l’adesione da parte delle Rsu alla manifestazione nazionale a Milano legando le questioni particolari (del proprio posto di lavoro, del proprio stabilimento, della propria azienda, ecc.) a quelle generali.
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La manifestazione del 12 aprile non è e non va concepita come un punto di arrivo. È in stretta relazione con tutti gli altri sommovimenti che sono in corso nel campo delle masse popolari.
Il 28 di marzo ci sarà lo sciopero nazionale dei metalmeccanici per il rinnovo del Contratto collettivo nazionale di lavoro e si svolgeranno manifestazioni in tutte le provincie ed è uno snodo fondamentale per costruire il fronte dei lavoratori contro la guerra, l’economia di guerra e in solidarietà al popolo palestinese. Anche la lotta sui salari, quella contro lo smantellamento dell’apparato produttivo, quella per la conversione ecologica della produzione, quella contro la strage sui posti di lavoro sono mobilitazioni “contro la guerra”, contro la guerra interna che gli stessi promotori della “guerra esterna” conducono contro i lavoratori e le masse popolari in ogni singolo paese.
Il 5 aprile ci sarà la manifestazione nazionale a Roma promossa da Usb con la parola d’ordine “Alzare i salari, abbassare le armi” e nelle giornate del 4, 5, 6 aprile si svolgeranno le iniziative territoriali del Coordinamento Nazionale No Nato che ha lanciato l’appello “Dichiariamo il 4 aprile Giornata contro la NATO e la guerra!”.
Ci sono mille altre iniziative e mobilitazioni di livello locale, grandi e piccole, che oggettivamente sono già in relazione con la manifestazione del 12 aprile e che possono essere combinate, rafforzate e sviluppate se la relazione che esiste già oggettivamente viene presa in carico anche soggettivamente dagli organismi operai e popolari: dalle mobilitazioni per il clima promosse da Fridays for future, Extinction Rebellion e Ultima generazione che molto hanno fatto (e fanno!) nell’applicare il giusto principio che è legittimo tutto ciò va negli interessi delle masse popolari anche se è illegale, fino allo sviluppo di quanto hanno seminato le mobilitazioni dell’8 Marzo e della parola d’ordine Lotto, boicotto, sciopero! con cui migliaia di donne delle masse popolari sono scese in piazza. E sono in “subbuglio” anche gli amministratori locali, di cui il movimento contro la guerra può avvalersi [segnaliamo l’appello per la mobilitazione di sindaci e amministratori locali contro la guerra lanciato da Domenico Finiguerra, sindaco di Cassinetta di Lugagnano (MI)].
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Nell’80° anniversario della vittoria della Resistenza sul nazifascismo si pone con chiarezza e urgenza la necessità di nuova liberazione del paese: non dalle armate naziste in camicia bruna, ma dalla cricca di servi degli Usa e della Nato, della Ue e dei sionisti, del Vaticano e delle organizzazioni criminali, dai capitalisti italiani e dai fondi di investimento stranieri che stanno spolpando il paese e fanno delle masse popolari carne da macello e da cannone.
La Resistenza insegna. Man mano che la crisi generale dispiega i suoi effetti, emerge più chiaramente e si dispiega l’inconciliabilità di interessi fra la classe dominante e le masse popolari. Per il ruolo che ha nel modo di produzione capitalista, la classe operaia è la migliore interprete degli interessi del resto delle masse popolari.
Quanti oggi guardano con diffidenza – o addirittura ostilità – agli operai impiegati nella filiera della produzione bellica, quanti ritengono quegli operai “parte del problema” anziché individuare nella loro organizzazione e mobilitazione una soluzione sono destinati a imboccare strade senza sbocco. Quali che siano i settori in cui sono impiegati, quali che siano le loro mansioni, quali che siano i loro contratti e le loro condizioni di lavoro, gli operai sono i migliori alleati di tutti coloro che nella società capitalista si sollevano, si ribellano, resistono. E lo sono, gli operai, perché sono esattamente la loro organizzazione e la loro mobilitazione gli ingredienti necessari ad abbattere il capitalismo e instaurare un superiore modo di produzione e una superiore società, il socialismo. In cui la classe operaia è classe dirigente, insieme al resto del proletariato e delle masse popolari.
Ciò emerge anche da mille esempi che vengono direttamente dalla Resistenza. Furono gli operai delle industrie belliche ad avere un ruolo determinante nel sabotaggio degli armamenti destinati all’esercito e nel rifornimento di munizioni alle brigate partigiane.
A Lecco, come nel resto del paese, i padroni della Fiocchi, come i padroni di tutte le altre aziende belliche, ebbero la responsabilità di fare affari e sostenere il regime fascista. Ma a Lecco gli operai della Fiocchi ebbero il coraggio e la determinazione di aprire un canale di rifornimento di munizioni per le brigate partigiane. E così gli operai delle industrie belliche nel resto del paese.
Anche la costruzione della manifestazione del 12 aprile a Milano deve essere occasione per costruire relazioni e rapporti superiori con la classe operaia, anche – e soprattutto – quella impiegata nella produzione bellica.
Anche gli operai della Leonardo sono in lotta per il rinnovo del Contratto collettivo di lavoro, ad esempio: lo scorso 19 febbraio a Torino hanno scioperato in 600 e ancora sciopereranno anche nel resto d’Italia…
Abbiamo parlato della necessità di dare uno sbocco politico unitario alla mobilitazione dei lavoratori e delle masse popolari. La questione riguarda il prendersi la responsabilità di indicare chiaramente un obiettivo – cacciare il governo Meloni e sostituirlo con un governo di emergenza popolare – ma non solo questo. La questione riguarda soprattutto il prendersi la responsabilità di concepirsi NON solo come i promotori di proteste e lotte rivendicative, ma come coloro che valorizzano le proteste e le lotte rivendicative per tessere la tela della lotta per un nuovo sistema di governo del paese, per imporre un governo di emergenza popolare.
Del resto, è bene essere chiari e trasparenti, nessun governo delle Larghe Intese smetterà di fare quello che fanno tutti i governi delle Larghe Intese solo perché i lavoratori e le masse popolari lo chiedono. Né con le buone né con le cattive. Bisogna rovesciare il governo Meloni e con esso il sistema politico delle Larghe Intese e, con le buone o le cattive maniere, imporre un governo che conferisce alle rivendicazioni delle masse popolari il valore e la forza di legge per portare il nostro paese fuori dalla Terza guerra mondiale e costruire relazioni di solidarietà, collaborazione e scambio con gli altri paesi su basi paritarie e di reciproco vantaggio.
Non vi chiediamo di avere fede in noi e in quello che diciamo e facciamo. Non cerchiamo di convincervi che abbiamo ragione e voi torto sulla base del vostro scetticismo e della vostra sfiducia rispetto alla linea del Governo di Blocco Popolare. Vi chiamiamo a prendere misure concrete per conquistare una maggiore fiducia in voi stessi e nelle masse popolari; una maggiore fiducia in ciò che fate e nella forza delle masse popolari.
Perché ciò che rende difficile OGGI il cambiamento del sistema politico italiano, che ostacola lo sviluppo della lotta per imporre il Governo di Blocco Popolare, NON è la forza (solo supposta) dell’attuale classe dirigente e del suo sistema di potere, ma lo scetticismo e la sfiducia che dilagano fra coloro che hanno l’interesse e la forza di imporre quel cambiamento. Superare la sfiducia, il disfattismo e l’attendismo è fra i compiti principali dei comunisti, dei lavoratori e dei giovani di avanguardia – da “Lotta di classe”, Resistenza n. 2/2025.
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