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“Un calvario che si riapre. Dopo diciotto anni sia io che mia moglie che nostro figlio pensavamo che fosse finita. Finita, finita. E invece…”. Sono le dichiarazioni rilasciate in una intervista a Repubblica da Giuseppe e Rita Poggi, genitori di Chiara, all’indomani dell’iscrizione nel registro degli indagati di Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara, Marco.
“Non so cosa sia successo – prosegue Giuseppe Poggi -. Certo, ricordo che questa persona era già stata indagata, ma poi non c’era stato più niente, nel senso che la verità giudiziaria sull’omicidio di Chiara è stata scritta. Siamo rimasti di sasso, nessuno ci aveva detto niente”. Per il papà di Chiara, “non è il momento di azzardare dei ragionamenti. Non vogliamo farlo, siamo sempre stati prudenti e misurati, fin dal primo giorno. abbiamo atteso per anni che la verità giudiziaria sulla morte di nostra figlia venisse a galla e fosse scritta. In modo definitivo. In questa fase ogni nostra dichiarazione sulle novità emerse potrebbe essere strumentalizzata”.
Poi spiega ancora: “Ritrovarsi di nuovo immersi in questa storia non ci fa bene. E’ come una ferita mai completamente cicatrizzata che all’improvviso si riapre. Brucia. Non farà bene nemmeno a Marco”.
La difesa di Stasi valuta la revisione del processo
Un incubo senza fine per la famiglia della giovane uccisa il 13 agosto 2007 a Garlasco. Per l’omicidio è stato condannato in via definitva l’allora fidanzato di Chiara, Alberto Stasi. Ed è proprio la difesa dell’unico colpevole, detenuto a Bollate e quasi arrivato alla fine della pena.
“Arrivati a questo punto, essendo ormai vicini al fine pena, abbiamo intenzione di attendere gli sviluppi dell’indagine e soprattutto di vedere prima gli atti della Procura di Pavia, che sono ad oggi coperti da segreto istruttorio. Poi naturalmente agiremo“, afferma Giada Bocellari che insieme al collega, l’avvocato Antonio De Rensis, difende Stasi condannato in via definitiva a 16 anni. “Non faremo un’istanza di revisione del processo sull’onda mediatica, non abbiamo fretta di fare cose eclatanti, non si tratta ormai di tirare fuori qualcuno di galera, perche’ alberto la pena l’ha già praticamente scontata”, ha chiarito ancora l’avvocata.
La Procura di Pavia ha indagato di nuovo Andrea Sempio, amico del fratello della vittima, ma questa inchiesta non muta, in automatico: la responsabilità di Stasi che resta il colpevole dell’omicidio della ventiseienne. Per rivalutare la posizione di Stasi serve una richiesta formale della difesa alla Corte d’appello di Brescia.
Porta a porta Delitto Garlasco “Unico colpevole Alberto Stasi scagionato l’amico” (Rai1)
Perché i pm riaprono l’inchiesta
Un anno fa e lo scorso maggio il Gip di Pavia aveva rigettato per ben due volte la richiesta della pm Valentina De Stefano di ritirare fuori dagli scaffali il fascicolo relativo a Sempio. Ma anche grazie al disco verde della Cassazione a procedere arrivato in autunno, a dare il via alle nuove indagini è stata una nuova consulenza affidata ai genetisti Lutz Roewer e Ugo Ricci, depositata dall’avvocato Giada Bocellari che con il collega Antonio De Renzis assiste Stasi.
I due genetisti hanno analizzato i rimasugli del materiale degradato e in gran parte andato distrutto, che ora i progressi della scienza avrebbero consentito di “leggere”. A differenza di quanto avvenuto nel 2014, quando fu disposta la perizia nel processo d’appello bis che si concluse con la condanna dell’ex studente bocconiano.
“Tracce del Dna di Sempio sotto le unghie di Chiara”
Il risultato, affermano fonti vicine agli investigatori, avrebbe portato a Sempio: sotto le unghie di Chiara sarebbero state individuate tracce del suo Dna. La Procura di Pavia, guidata da Fabio Napoleone, ha affidato gli accertamenti al nucleo investigativo di Milano da cui sarebbero emersi risultati concordanti. È questo il motivo che ha spinto i magistrati a riprendere in mano il caso.
Gli investigatori cominceranno da capo analizzando il materiale raccolto in passato, tra cui le intercettazioni, le deposizioni, i tabulati e le perizie disposte dal gup di Vigevano, Stefano Vitelli. Quello che li attende è un lavoro che verosimilmente richiederà parecchio tempo, al termine del quale potrebbe anche delinearsi uno scenario diverso da quello cui hanno condotto fino a i cinque processi a Stasi.
Tra gli accertamenti alla base dell’indagine della Procura di Pavia che ha riaperto il caso c’è anche la necessità di verificare la ‘compatibilità della grandezza delle impronte repertate sul luogo del delitto con la taglia delle scarpe’ di Andrea Sempio e di comparare le impronte digitali repertate nella villetta di Garlasco, tra cui quelle rintracciate sul dispenser nel bagno dove l’assassino si sarebbelavato le mani.
Sempio di nuovo nella bufera
Dopo due tentativi della difesa, dunque, di riaprire il caso Andrea Sempio – già indagato otto anni fa e poi archiviato – torna al centro della cronaca: ha ricevuto un avviso di garanzia dalla procura di Pavia per omicidio “perché con il concorso di altri soggetti o con Alberto Stasi cagionava la morte” della ventiseienne. Giovedì 13 marzo dovrà sottoporsi al nuovo esame del Dna. Gli esami a Sempio sono stati disposti in modo coattivo dal giudice per le indagini preliminari di Pavia (competente per l’omicidio di Garlasco), dopo che lui aveva negato il proprio consenso.
“Andrea Sempio è allibito e sconvolto“, ha affermato l’avvocato Massimo Lovati che difende il giovane finito nuovamente sotto i riflettori della Procura di Pavia per il delitto di Chiara Poggi. “Non sta reggendo il colpo. È distrutto e ha chiesto addirittura le ferie dal lavoro”, aggiunge Lovati, che ribadisce l’innocenza del suo assistito: “Dice che non c’entra”.
Sempio, che domani compirà 37 anni, era stato tirato in ballo da un’indagine difensiva contenuta in un esposto depositato dalla madre di Stasi in cui, facendo ricorso a un investigatore privato, si dava conto della corrispondenza tra il Dna maschile trovato sulle unghie della vittima e il profilo genetico del giovane dipendente di un negozio di telefonia. Il suo Dna era stato prelevato ‘rubando’ una bottiglietta d’acqua, una tazzina da caffè e un cucchiaino da un bar. Ma nel 2016 l’ambizione di riaprire il caso si era infranta contro la decisione della procura di Pavia di chiedere l’archiviazione, dopo aver disposto intercettazioni telefoniche e ambientali, archiviazione disposta nel marzo 2017 dal gip Fabio Lambertucci. Oggi, invece, la procura affianca alla nuova consulenza difensiva (avvocati Giada Bocellari e Antonio De Rensis), una propria relazione e sostiene nuove indagini. Le consulenze che analizzano nuovamente, con le nuove tecnologie, le tracce genetiche convergono su Sempio.
L’indagato già scagionato da dna, scarpe e bici
Un ‘colpo di teatro’ che deve fare i conti, però, con l’elenco delle cose che già otto anni fa avevano impedito la revisione. A mettere in fila la difficoltà di una verità giudiziaria già passata in giudicato corre in soccorso il decreto di archiviazione di otto anni fa. Se la difesa Stasi pretende una rivalutazione dei risultati del materiale genetico dalle unghie della vittima, nel decreto si ricorda che è già stato valutato all’epoca del processo di Corte d’Assise d’Appello. Il genetista De Stefano aveva concluso dicendo che i risultati sui profili genetici non erano attendibili per possibili degradazione e contaminazioni ambientali.
Anche se ci fosse stato il Dna di Stasi non sarebbe stata una prova e nel caso fosse riconducibile all’amico di famiglia, ‘tracce di dna di Sempio ben potevano posizionarsi sulle unghie di Chiara Poggi in via mediata per il fatto che entrambi usavano un computer fisso in casa Poggi che il fratello di Chiara e i suoi amici utilizzavano spesso per eseguire videogiochi comandati da tastiera”.
Il decreto di archiviazione ‘smonta’ anche le pretese incongruenze denunciate dalla difesa Stasi in ordine a cosa fa Sempio il 13 agosto 2007, il giorno dell’omicidio, e alle sue dichiarazioni. Sempio “era a casa insieme al padre ed attese la madre di ritorno dalla spesa” fino alle ore 9.50 circa; poi si spostò in macchina raggiungendo in 15 minuti Vigevano pagando il parcheggio (mostrò lo scontrino in fase di indagine) alle 10.18, quindi intorno alle 11.10 rientrò a casa. Elementi da aggiungere a quanto stabilito in giudizio: “l’autore dell’omicidio indossava calzature di numero 42 mentre Sempio indossa scarpe di numero 44; Sempio aveva disponibilità di una bici da uomo rossa mentre la bici sospetta che fu notata all’ora del delitto fuori da casa Poggi era nera e da donna”.
Anche volendo ipotizzare un invaghimento nei confronti della vittima, “è davvero illogico pensare le condizioni nelle quali Sempio avrebbe deciso di uccidere la ragazza, senza compiere alcun tentativo di avvicinamento e con modalità così brutali ed efferate come quelle poste in essere. È stato infatti escluso nel modo più completo che Chiara abbia subito tentativi di violenza sessuale, ed anche che vi sia stata una colluttazione o un abbozzo di difesa da parte della vittima”.
In conclusione, “se è (non condivisibile ma) umanamente comprensibile l’intento di fare di tutto per difendersi da una gravissima accusa, anche dopo l’esaurimento dei possibili gradi di giudizio ordinario, nel caso di specie – conclude il decreto di archiviazione di otto anni fa – ci si deve tuttavia arrestare di fronte all’inconsistenza degli sforzi profusi dalla difesa Stasi e tendenti a rinvenire un diverso, alternativo colpevole dell’uccisione di Chiara Poggi”.
La ricostruzione
Era il 13 agosto 2007 e l’orologio aveva da poco segnato le 13.50, quando con una chiamata al 118 comincia il giallo di Garlasco: “Credo che abbiano ucciso una persona, ma non ne sono sicuro… forse è viva. C’è sangue dappertutto e lei è sdraiata per terra”, dice al telefono Alberto Stasi, fidanzato della vittima.
La 26enne era riversa sulle scale che conducono alla cantina della villetta di famiglia, dove è stata uccisa, a 26 anni, forse con un martello, ma l’arma de delitto non è mai stata ritrovata.
A terra, vicino al corpo di Chiara, una pozza di sangue: impossibile non sporcarsi, eppure Stasi arrivò dai Carabinieri pulito, senza neanche una macchia sotto le suole. Si è pensato che si fosse cambiato prima di presentarsi all’Arma, cosa che lo fece finire immediatamente tra i sospettati.
La versione di Stasi
Il giovane, che si è sempre professato innocente, raccontò di essere andato nella villetta perché la ragazza, sola a casa dato che genitori e fratello erano in vacanza, non rispondeva al telefono. Possibile che sulle scarpe consegnate 19 ore dopo il ritrovamento del cadavere, o sui tappetini dell’auto guidata per raggiungere i Carabinieri, non ci fosse nessuna traccia di sangue?
In uno dei tanti esperimenti del processo, andato avanti a colpi di perizie, è stato dimostrato che la possibilità che Alberto non calpestasse il sangue di Chiara era pari allo 0,00038 %.
Il dispenser e la bicicletta di Alberto Stasi
Altro elemento che fu interpretato come un indizio furono le impronte dell’anulare destro di Alberto sul dispenser del sapone nel bagno a piano terra. “Può essere stato utilizzato in qualsiasi momento”, la posizione della difesa. Ma l’accusa invece sostenne che se fosse stato un altro l’assassino, utilizzando il lavandino per pulirsi le mani dal sangue di Chiara, questi avrebbe cancellato le impronte di Stasi.
Inoltre, due testimoni dissero di avere visto una bicicletta nera da donna appoggiata sul muro della villetta e sui pedali della bici sequestrata a Stasi vennero trovate tracce del Dna di Chiara. Ciò che non torna è il fatto che la bici di Alberto fosse bordeaux e non nera e che pare che si fosse recato alla villetta in auto.
C’è però da sottolineare che la bicicletta bordeaux fu sequestrata molto tempo dopo il delitto, per una svista dell’ex maresciallo finito a processo per falsa testimonianza. Quindi i pedali avrebbero potuto persino essere stati scambiati tra le bici.
Il corpo di Chiara
Tra le mani della ragazza fu trovato un capello castano chiaro, ma senza bulbo, quindi inutile per l’esame del Dna. Sulla spalla di Chiara, invece, le impronte di una mano: quella del killer, verosimilmente, ma cancellate per sbaglio dagli investigatori che girando il corpo lo hanno completamente sporcato di sangue.
Non ci sono poi stati segni di effrazione e la ragazza deve aver aperto al proprio assassino che conosceva, anche perché al momento del delitto Chiara indossava un pigiama rosa e, come confermato dalla famiglia, non si sarebbe presentata in pigiama ad uno sconosciuto.
Accusa di detenzione di materiale pedopornografico, l’assoluzione
Una delle questioni che si sollevarono fu il movente: non è mai emerso. Si ipotizzò che fosse il materiale ritenuto pedopornografico sul pc dove Alberto stava lavorando alla propria tesi di laurea, poi dedicata alla fidanzata: “A Chiara, che qualcuno ha voluto togliermi troppo presto”.
Nel pc consegnato ai Carabinieri, nella cartella “Militare”, c’erano oltre diecimila foto di minori. Ci si è chiesto se Chiara, vedendo quelle immagini, ne avesse chiesto spiegazioni e da lì la situazione fosse poi degenerata. Dall’accusa di detenzione di materiale pedopornografico Stasi fu assolto e nella sua arringa, l’avvocato dello studente sostenne che quelle immagini “non potessero essere in alcun modo il movente”.
La condanna a Stasi
Dopo cinque processi con sentenze contrastanti e le assoluzioni annullate del 2009 e del 2011, la condannata definitiva per omicidio volontario, con l’esclusione degli aggravanti della crudeltà e della premeditazione, è arrivata nel 2015 con la riduzione di un terzo della pena per rito abbreviato. L’accusa aveva chiesto 30 anni, ma i giudici non hanno riconosciuto al ragazzo le aggravanti e hanno condannato Alberto Stasi a 16 anni di reclusione, senza delineare un movente, ma parlando di un attacco di rabbia.
Stasi oggi
Alberto Stasi oggi ha 41 anni e lavora come contabile in un’azienda, uscendo e rientrando ogni giorno dal carcere di Bollate (Milano). Si è impegnato a dare alla famiglia Poggi una quota mensile del proprio stipendio per un minimo di 9mila euro l’anno. La Cedu, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha recentemente dichiarato irricevibile il ricorso presentato da Stasi con cui si chiedeva di annullare la condanna. Il 41enne lamentava la violazione dei suoi diritti in quanto – nel secondo giudizio di appello – non sarebbero stati sentiti un paio testimoni su alcuni argomenti richiesti dalla sua difesa. Ma su questo punto la Cassazione già nel 2018 aveva rigettato un ricorso straordinario.
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