Parrocchia Cristo Redentore: Celebrazione Eucaristica interparrocchiale per la chiusura della Visita pastorale | Arcidiocesi di Sassari

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Sabato 8 marzo, l’arcivescovo Gian Franco ha presieduto la Celebrazione Eucaristica interparrocchiale per la chiusura della Visita pastorale nelle comunità di Cristo Redentore, San Vincenzo de’ Paoli, San Paolo e San Giovanni Bosco, a Sassari.

Di seguito si riporta l’omelia dell’arcivescovo Gian Franco.

«Gesù, nel deserto, nel momento in cui percepisce tutta la fragilità e il bisogno di nutrimento, fa un’affermazione che consegna anche a noi questa sera: “Non di solo pane vivrà l’uomo” (Lc 4,4). Il deserto è il luogo in cui Gesù ci indica quale sia il nutrimento di cui l’uomo ha realmente bisogno.

Anzitutto, egli sottolinea che la sazietà con il nutrimento materiale non basta: nel cuore dell’uomo rimane una fame profonda. Vi è un’altra fame, quella della ricerca del vero Dio, di Colui che è veramente il Signore e che nutre il cuore umano. Infine, vi è la vera gloria, la vera potenza, il vero potere. I bisogni del cuore dell’uomo sono tanti e sono tutti legittimi, ma l’essere umano ha bisogno di nutrirsi di ciò che realmente lo fa crescere, lo irrobustisce e gli consente di camminare, non rimane bloccato nel deserto. Gesù, infatti, non rimane nel deserto, ma compie un esodo. È il segno tangibile del popolo di Dio in cammino, chiamato a non restare nella schiavitù dell’Egitto, ma a intraprendere il cammino della libertà e dell’incontro nuziale con il Signore. Questo è il fine dell’itinerario: un’alleanza d’amore, la generazione del popolo dell’alleanza.

Mentre concludiamo la Visita pastorale in queste comunità parrocchiali di Cristo Redentore, San Vincenzo de’ Paoli, San Paolo e San Giovanni Bosco, anche noi vogliamo sentirci il popolo di Dio, chiamato ad attraversare il deserto. Un popolo in cammino, capace di discernere e di cercare il vero nutrimento di Dio. Un popolo dell’alleanza che desidera sperimentare l’invito all’amore di Dio, che chiama ciascuno a compiere un itinerario, un nuovo esodo.

In questo momento particolare, anche noi abbiamo bisogno di lasciarci guidare dallo Spirito nei deserti del nostro tempo, nei deserti che viviamo persino nel cuore della città. Sono deserti negativi, certo, non deserti fecondi, ma non sono luoghi in cui restare intrappolati, bensì spazi dai quali uscire. Con Gesù scegliamo, dunque, di camminare, scegliamo di non soccombere alle tentazioni e agli ostacoli che potrebbero presentarsi lungo il percorso. Scegliamo di andare oltre, sostenuti dallo Spirito Santo.

Che cos’è, infatti, la Chiesa? La Chiesa è la famiglia dei figli di Dio, radunata nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. La Chiesa è in cammino sostenuta dallo Spirito e, in compagniadella Santissima Trinità, essa prosegue il suo cammino. Accogliendo questa identità, ci chiediamo: che cosa vuole consegnare il Vescovo al termine della Visita pastorale? Quale messaggio desidera lasciare Quale sarà l’esito della Visita pastorale?

La prima cosa che desidero sottolineare è la necessità di guardare alla Visita pastorale con uno sguardo diocesano, cioè all’interno di tutta la Chiesa particolare, la Chiesa Turritana, in cammino con la Chiesa universale. Giorni fa, nell’incontro assembleare, abbiamo ripreso l’immagine che Papa Francesco consegna alla Chiesa: una catena in cui ogni anello è legato all’altro. Ecco, questa è la prima immagine che voglio mettere in evidenza.

Inoltre, come Gesù nel deserto, siamo chiamati a entrare in un dialogo di scelta, in un’opzione personale e comunitaria. La vita cristiana non è l’esito di un mero dettato che viene dall’alto, né la vita ecclesiale è soltanto il frutto di un codice normativo o etico da applicare. La Chiesa è, piuttosto, l’espressione di una scelta. E questo è un altro elemento che la Visita pastorale desidera suscitare: quale opzione compiere? Quale itinerario intraprendere? Quale dialogo instaurare tra la proposta di Dio e gli ostacoli che si frappongono al cammino della nostra vocazione?

In questo momento, nella vita della nostra Chiesa, così come nella Chiesa di tutti i tempi e in ogni area geografica, vi sono alcuni ostacoli che dobbiamo superare. Anzitutto, è necessario superare l’ostacolo di non avere un baricentro e quindi ricentrare la nostra vita intorno alla Parola e all’Eucaristia, per far sì che, ascoltando la Parola e celebrando l’Eucaristia, scopriamo il mistero della nostra vocazione, della nostra chiamata. 

Un altro ostacolo che il Signore ci chiede di superare è la deresponsabilizzazione personale, ovvero il demandare ad altri la missione, il compito che il Signore ci affida. Nell’evangelizzazione occorre superare la deresponsabilizzazione per entrare nella logica della corresponsabilità; occorre partire dalla dimensione vocazionale e non da quella strutturale, cioè, si deve superare la tentazione di pensare che l’evangelizzazione sia solo una questione di mezzi, di persone, di strutture e non anzitutto di un’esperienza discepolare e missionaria che interpella ogni battezzato. Occorre superare la tentazione di chiuderci in noi stessi, nei nostri piccoli ambienti e contesti, per intraprendere un’evangelizzazione attenta alle alterità e alle diversità del nostro tempo, a tutto ciò che, a prima vista, potrebbe apparire estraneo alla Chiesa e che, invece, rappresenta un’opportunità per la missionarietà.

L’altra tentazione che siamo chiamati a superare è quella del rischio di una superficialità spiritualistica, per cui ci diciamo: “Sarà il Signore a fare tutto, sarà lo Spirito a operare”, deresponsabilizzandoci così dal nostro impegno personale. Superarla implica dedicare un tempo adeguato alla formazione di tutto il popolo santo di Dio, all’ascolto della Parola e all’approfondimento della fede, per entrare in dialogo con ogni persona, con ogni realtà umana.

Il Santo Padre, nell’Evangelii Gaudium, ci ricorda che la formazione di tutto il popolo santo di Dio è una delle vie per rispondere alle sfide del presente. Già il Concilio Vaticano II ricordava come ogni fedele laico sia immerso nei diversi ambiti della società: lavoro, cultura, scienza, arte, politica, economia, comunicazione, famiglia, educazione e professioni.

Un’altra tentazione da superare è quella di assimilare le comunità parrocchiali a semplici associazioni secolari, dimenticando l’identità misterica della Chiesa e la profondità del suo mistero. È quindi necessario riscoprire il modello delle prime comunità cristiane, così come ci viene presentato negli Atti degli Apostoli e narrato dai discepoli nelle loro missioni: comunità che si radunano per condividere il pane della Parola, celebrare l’Eucaristia, perseverare nell’amore fraterno e nella missione, spingendosi fino ai confini più lontani ed estremi. Dopo la missione, esse trovano occasioni per incontrarsi e condividere le gioie e le fatiche delle missioni.

È ciò che possiamo chiamare l’esperienza della parrocchia come comunità di comunità, in cui ogni parrocchia non si concepisce come un castello isolato o un’isola, né viene scelta secondo criteri mondani, logiche di simpatie, interessi o posizionamenti di vario genere. Se la Chiesa è famiglia di famiglie non può essere guidata dalla ricerca di tornaconti personali o dall’affermazione del proprio io; ciascuno deve rimanere fedele alla sua missione e vocazione. La parrocchia è spazio concreto per vivere la sinodalità permanente con uno stile fraterno e missionarioò.

Nel documento Spiritus Domini, il Santo Padre, parlando delle ministerialità, e in modo particolare dei ministeri istituiti aperti non solo agli uomini ma anche alle donne, ci ricorda che lo Spirito del Signore Gesù è la sorgente perenne della vita e della missione della Chiesa, che distribuisce ai membri del popolo di Dio i doni che permettono a ciascuno in modo diverso di contribuire all’edificazione della Chiesa e all’annuncio del Vangelo. Gesù, dopo aver vinto Satana nel deserto, va avanti portando a tutti il frutto di un uomo ricolmo di Spirito Santo, raggiungendo ogni ambiente e persona per annunziare la lieta novella, sanare i feriti, gli ammalati, nutrire coloro che avevano fame e sete di giustizia, di pane e di acqua, per annunciare l’anno di misericordia del Signore.

 

Lo Spirito, quindi, nei servizi, nei carismi e nelle ministerialità, diventa la manifestazione dell’opera di Dio, che ci convoca nella diversità e nella pluralità per partecipare all’edificazione dell’unica Chiesa.

Siamo chiamati a riscoprire quanto sia importante maturare la consapevolezza che l’assemblea ecclesiale, radunata attorno al Vescovo, ai presbiteri e ai diaconi, è il volto bello del Popolo di Dio dai molti colori. Un volto che non appartiene a un singolo Vescovo, a un Parroco o a un Papa, ma il Santo Popolo di Dio in cammino.

È questo Spirito Santo che vogliamo invocare, affinché le nostre comunità parrocchiali non vivano nella paura o in una fragilità routinaria, ma, corroborate e rafforzate dallo Spirito Santo, entrino in dialogo con tutte quelle voci, quelle domande e quelle inquietudini che anche Gesù ha saputo affrontare e superare nel deserto.

La conclusione di una Visita pastorale, quindi, è la tappa di un pellegrinaggio, di un itinerario in cui tutti siamo chiamati a rafforzare, sotto la potente azione dello Spirito, il nostro dialogo, con le domande che il tempo presente ci pone. Inizia così quello che Papa Francesco chiama un tempo di creatività e di coraggio sullo stile della Chiesa apostolica».

Prima della benedizione è intervenuto Don Dino Pittalis per porgere all’Arcivescovo un ringraziamento anche a nome di parroci e dei sacerdoti delle altre parrocchie:

«A nome di don Andrea, don Francesco, don Emanuele, don Giovanni e mio, desidero esprimere il nostro sincero ringraziamento per la sua presenza tra noi. È stato un vero dono vivere insieme a lei questi momenti di condivisione e di preghiera, che hanno arricchito le nostre comunità e fortificato il nostro cammino di fede

Gli incontri avuti con lei ci hanno incoraggiati ad andare avanti con maggiore slancio, a proseguire nei percorsi sinodali che stiamo intraprendendo e a rimanere sempre più attenti all’ascolto reciproco e all’uscita verso chi è fuori dalla nostra comunità.

La sua parola, ricca di sapienza e di amore pastorale, è stata un faro che ha illuminato i nostri cuori e ci ha spinti a non fermarci, a non scoraggiarci ma a perseverare nella costruzione di una Chiesa sempre più aperta e vicina a tutti.

La sua visita ha confermato il valore di questo cammino comune e, insieme, vogliamo proseguirlo con entusiasmo e speranza. Con affetto e profonda gratitudine, la ringraziamo di cuore per averci accompagnato in questi giorni, per il suo prezioso esempio di pastore attento, vicino e dinamico».

Grazie, Eccellenza, per questi giorni che ha voluto dedicare alle nostre parrocchie e alle nostre comunità».

L’Arcivescovo, prima di impartire la benedizione finale, ha aggiunto:

«Ricambio con affetto e con parole di gratitudine il saluto che mi è stato rivolto da don Dino a nome degli altri parroci e del vicario parrocchiale. Anch’io, in questi giorni e non solo, ho percepito il vostro affetto e la vostra vicinanza fraterna e familiare. Questo è un dono di Dio, una grazia dello Spirito Santo, e incoraggiamento a proseguire questo cammino insieme.

A livello liturgico e pastorale, dobbiamo riscoprire quella circolarità tra la Presidenza Eucaristica del Vescovo e la celebrazione domenicale nelle parrocchie. Alcune celebrazioni sono chiamate pontificali per una ragione significativa: il Vescovo le presiede nella Chiesa Cattedrale, segno e luogo della Chiesa Madre e dell’unità della Chiesa, dove egli esercita ordinariamente il suo Magistero. Credo sia bello riscoprire che si partecipa alla Messa del Vescovo non perché si è più eleganti o più “tirati a lucido”, ma perché è l’Eucaristia presieduta dal padre della famiglia.

Questo, naturalmente, non è sempre possibile ed è comprensibile: la realtà delle parrocchie è nata proprio per questo, affinché i presbiteri siano il segno visibile dell’unità della Chiesa attorno al Vescovo, segno sacramentale del pastore e dei pastori. Credo sia importante che, nei vari pontificali, da ogni parrocchia ci sia una piccola rappresentanza, una presenza che non partecipi a titolo personale, ma in comunione con il parroco e con il cammino pastorale della comunità. Naturalmente, si può partecipare anche a titolo personale, ma ciò che conta davvero è la dimensione comunitaria e sinodale di questo cammino.

Oggi siamo chiamati a tessere questo legame con pazienza, ma anche con generosità e creatività. Quando il Papa ci invita alla creatività, si riferisce a quella dello Spirito, non a stranezze o cose straordinarie: a volte la vera creatività si manifesta nelle cose più semplici e ordinarie, ed è proprio questa che ci aiuta a riscoprire il senso di essere Chiesa come corpo e Chiesa famiglia. La parrocchia, infatti, è una famiglia di famiglie, e tutta la famiglia si ritrova insieme nei momenti di comunione ecclesiale.

Vi ringrazio per l’accoglienza che mi avete riservato in tanti modi e in tante forme, compresi i momenti di condivisione in diversi contesti di questo territorio. Ho avuto anche l’opportunità di visitare istituzioni civili e laiche, trovando una grande disponibilità all’ascolto e al dialogo con il cammino ecclesiale. Sono tutti segni di Dio che ci vengono posti davanti e che siamo chiamati a coltivare. Grazie di vero cuore a tutti e a ciascuno».



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