Il valore del riuso nella moda

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“Il fast fashion è una delle sfide più urgenti del nostro tempo, e il cambiamento deve partire da noi giovani. Date nuova vita agli abiti che già possedete: comprate meno e usate di più. Questa è la strada giusta per ridurre gli sprechi e fare del bene al pianeta”, dice Alessia Flaminio, studentessa del secondo anno del Corso di Laurea Magistrale in Fashion, Art and Food Management (Faf), tra le promotrici dell’evento ‘Il valore del riuso nella moda’, svoltosi lo scorso 20 febbraio a Palazzo Pacanowski.
L’iniziativa si inserisce nell’alveo delle attività di Ateneo per la XXI edizione della campagna nazionale ‘M’illumino di meno’, promossa da Rai Radio2 con il patrocinio della Rus (Rete delle Università per lo Sviluppo Sostenibile) e dedicata quest’anno al tema della moda e fast fashion.
Per l’occasione nell’atrio della sede della Scuola interdipartimentale di Economia e Giurisprudenza (Siegi) è stato posizionato un contenitore fornito dall’ASIA, nel quale tutti i membri della comunità accademica hanno potuto conferire abiti usati: un’opportunità concreta per compiere un gesto di sostenibilità, legato al processo di riciclo/riuso. All’incontro, oltre agli studenti della Magistrale di Faf, hanno preso parte la prof.ssa Rita Lamboglia, Coordinatrice del Corso, il prof. Claudio Porzio, Prorettore al Welfare e alla Sostenibilità, e alcuni rappresentanti delle associazioni studentesche Parthenope Unita e Studenti per UniParthenope.

Le best practice

Un po’ di riflessioni: “Nel nostro percorso di studi analizziamo spesso il fenomeno del fast fashion, soprattutto da un punto di vista manageriale, organizzativo, strategico e sostenibile – ha spiegato Alessia – Non ci limitiamo ai modelli teorici, ma studiamo anche best practice per affrontare le criticità di un settore caratterizzato da una supply chain accelerata, una produzione just in time e una forte esternalizzazione verso Paesi con basso costo di produzione, che riduce notevolmente il ciclo di vita dei prodotti”. Secondo i dati della Ellen MacArthur Foundation, il settore produce quasi 100 milioni di tonnellate di rifiuti ogni anno e contribuisce per il 10% alle emissioni globali di CO2.
Inoltre, “la supply chain del fast fashion è spesso opaca: manca trasparenza sulle condizioni lavorative ed etiche dei lavoratori, così come sull’approvvigionamento delle materie prime”. Da qui, la necessità di un nuovo modello di produzione basato sull’economia circolare, un concetto ampiamente promosso dall’Ateneo. “Non possiamo più pensare ad un ciclo lineare di produzione-consumo-scarto, ma dobbiamo adottare un approccio rigenerativo”, ha aggiunto la studentessa. Esempi concreti di economia circolare nell’ambito della moda riguardano l’eco-design e il riutilizzo degli scarti.
Si citano dunque brand come Levi’s, “che pratica l’upcycling dei jeans”, e Vivienne Westwood, “pioniera nell’utilizzo di bioplastiche e materiali cruelty-free”.

Sostenibilità e vantaggio competitivo

Ad ampliare la discussione, il collega di Corso Antonio Pellecchia: “I case study che abbiamo analizzato, anche con l’aiuto degli insegnanti, sono stati vari. Ad oggi, la sostenibilità è diventata un driver fondamentale per il vantaggio competitivo di molte aziende di moda”. Antonio ha menzionato H&M, colosso del fast fashion, che ha lanciato linee come la Conscious Collection, realizzate con materiali sostenibili come cotone biologico e poliestere riciclato.
“In più, iniziative come quella di raccogliere abiti usati nei negozi in cambio di crediti sconto hanno avuto un grande impatto. Dal 2013, H&M ha raccolto circa 29.000 tonnellate di abiti e ha incrementato l’uso di cotone riciclato fino al 96%”. E non solo: “Zara sta seguendo una strada simile, punta ad una riduzione significativa delle proprie emissioni entro il 2030, con l’obiettivo di raggiungere zero emissioni nette entro il 2040; nel 2023, Zara ha ridotto fino al 25% il consumo di acqua nella produzione e fino al 30% quello energetico, avviando anche un programma per la rivendita di abiti usati tramite il proprio sito ufficiale”.
Tra le iniziative virtuose si distingue anche un brand di alta gamma come Patagonia che “ha lanciato l’iniziativa Worn Wear, che permette ai clienti di portare i loro abiti usurati per ripararli gratuitamente e, successivamente, rivenderli. Finora, circa 100.000 capi sono stati riparati e riciclati – ha raccontato lo studente – L’impegno dell’azienda si dimostra anche nella destinazione dell’1% del suo fatturato annuale ad organizzazioni ambientali: un’iniziativa voluta dal CEO e che ha già generato circa 430 milioni di dollari in donazioni”. Pellecchia ha ribadito un concetto chiave: “Con questi esempi vogliamo dimostrare che l’attenzione alla sostenibilità e la competitività non devono essere in contrasto, ma procedere di pari passo. Questo è possibile solo grazie ad un buon management, capace di bilanciare le esigenze di investitori, consumatori e normative legate alla sostenibilità nei bilanci aziendali”.
Le ultime parole sono state della prof.ssa Lamboglia, che ha commentato: “La sensibilizzazione sulla responsabilità ambientale rappresenta un obiettivo fondamentale per la Parthenope, e in particolare per il nostro Corso di Laurea Magistrale”. Per affrontare questa tematica “noi docenti non ci limitiamo alla didattica tradizionale, ma arricchiamo l’esperienza formativa con seminari e workshop che vedono il coinvolgimento di aziende sia locali che internazionali. Inoltre, puntiamo a favorire un costante scambio con gli studenti internazionali, reso possibile grazie alle frequenti iniziative condivise nell’ambito dell’Alliance SEA EU”.
Giovanna Forino
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Ateneapoli – n. 4 – 2025 – Pagina 35



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