Effettua la tua ricerca
More results...
Ancora una volta esponenti della maggioranza hanno reagito in modo scomposto a una decisione dei giudici: l’ordinanza con cui la Corte di cassazione a sezioni unite ha riconosciuto il diritto dei migranti trattenuti a bordo della nave Diciotti, nel 2018, a essere risarciti dallo stato italiano. E, come ogni volta, chi ha accusato i giudici di aver adottato una decisione politica, si è lamentato al contempo che i giudici stessi, nel decidere, non abbiano tenuto conto di elementi di tipo politico. Un cortocircuito che vale la pena spiegare attraverso alcune dichiarazioni della presidente del Consiglio.
L’ordinanza Diciotti
Giorgia Meloni ha detto che con pronunce come quella del caso Diciotti i giudici allontanano i cittadini dalle istituzioni, destinando i soldi di chi paga le tasse al risarcimento di «persone che hanno tentato di entrare in Italia illegalmente».
Premesso che anche queste persone hanno diritti che vanno rispettati – e secondo la Cassazione non lo sono stati, per cui spetta loro un risarcimento – tra i compiti dei magistrati non rientra l’avvicinamento dei cittadini alle istituzioni o l’adozione di decisioni che consentano allo stato di risparmiare, come la presidente del Consiglio pretenderebbe.
Quando Meloni afferma che la Cassazione avrebbe dovuto tenere conto di questi obiettivi, che sono tipicamente “politici”, in pratica la sta accusando di non aver emesso una sentenza politica. Ciò è paradossale, soprattutto perché proviene da chi accusa al contempo i giudici di fare politica. Ed è altresì singolare che la Suprema corte, elogiata dal governo nel dicembre scorso per la decisione sui paesi sicuri – decisione peraltro equivocata dal governo stesso – oggi sia oggetto di «insulti», termine usato da Margherita Cassano, prima presidente della Cassazione.
La volontà popolare
L’ordinanza sul caso Diciotti non è la prima riguardo a cui la presidente del Consiglio ha mostrato di ritenere che giudici dovrebbero essere soggetti più alla politica che al diritto. Nell’ottobre scorso, dopo la prima decisione di non convalidare il trattenimento di migranti in Albania, Meloni si lamentò, tra le altre cose, di «un certo menefreghismo rispetto al voto popolare».
Anche in quell’occasione la presidente del Consiglio mostrò di trascurare alcuni principi costituzionali. «La giustizia è amministrata in nome del popolo» (articolo 101 della Costituzione, comma 1) non significa che i giudici debbono decidere in base alla volontà popolare. Essi «sono soggetti soltanto alla legge» (articolo 101, comma 2), e quindi hanno il dovere di non ubbidire a nessun altro potere e di non subirne alcuna influenza.
Il fatto che questi principi sfuggano all’esecutivo è apparso chiaro anche quando esso ha spostato la competenza a decidere sui trattenimenti dei migranti in Albania dal tribunale di Roma, che continuava a non convalidarli, alla corte d’Appello. Era palese che si trattasse di una forzatura, tesa a ottenere pronunce più favorevoli al governo. Peraltro, quest’ultimo non ha nemmeno tentato di giustificarla in modo diverso. Evidentemente, si è voluto far passare il messaggio che, quando i giudici ribadiscono il principio per cui pure le istituzioni sono soggette al rispetto della legge, essi costituiscono un fastidioso ostacolo che la politica può superare con qualunque mezzo.
La riforma
Che il centrodestra tolleri poco i giudici che non si conformano alle sue istanze politiche si era reso evidente anche in occasione della condanna del sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro, per rivelazione di segreto d’ufficio.
Mentre Meloni, chiedendosi se il giudizio fosse «realmente basato sul merito della questione», lo aveva qualificato tra le righe come “politico”, il vicepremier, Antonio Tajani, lo aveva definito espressamente come tale, parlando di «scelta politica finalizzata a dare un colpo alla riforma della giustizia».
Peccato che la pronuncia su Delmastro rappresenti proprio una “anticipazione” della riforma stessa: il giudice ha deciso in contrasto rispetto alle richieste del pubblico ministero, senza appiattirsi a esse, che è appunto l’obiettivo della separazione delle carriere. Ma siccome la sentenza non è stata gradita dall’esecutivo, il mancato appiattimento stavolta è stato criticato. Un po’ di coerenza gioverebbe.
A fronte delle dichiarazioni di cui abbiamo dato conto, e di tante altre dello stesso segno, una domanda sorge spontanea: sono i giudici che adottano decisioni politiche o è la politica che vorrebbe decisioni politiche a proprio favore?
© Riproduzione riservata
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link