Il coordinatore per la sicurezza può limitarsi nei…

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La sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Quarta Penale, n. 6272 del 17 febbraio 2025, riguarda un tragico infortunio mortale sul lavoro, verificatosi durante la realizzazione di un’opera di presa e di una condotta forzata in un cantiere montano. E si inserisce in un filone giurisprudenziale che esamina le sfumature della responsabilità penale in relazione agli infortuni mortali sul lavoro. In particolare, il caso analizzato riguarda il decesso del lavoratore Z.C., e le contestate omissioni relative alle misure di sicurezza nei cantieri caratterizzati da un’elevata complessità tecnica e organizzativa. L’articolo intende analizzare il modo in cui le responsabilità – in particolare quelle del coordinatore per la sicurezza– siano state interpretate alla luce del suo ruolo di “alta vigilanza”.

 

L’imputazione principale riguarda l’omessa adozione di misure di sicurezza da parte di diverse figure responsabili, tra cui il coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione (CSE), il quale è stato ritenuto responsabile dell’omessa sospensione dei lavori nonostante le condizioni climatiche avverse.

 

Tuttavia, il ricorso per Cassazione, proposto dagli avvocati Alberto Gandini e Rolando Dubini per conto del CSE, contesta le conclusioni dei giudici di merito.

 

1. Fatto

2. Ricorso

3. Diritto – La decisione della Cassazione sulle questioni prospettate dal ricorso

4. La quantificazione della pena e il mancato riconoscimento delle attenuanti

5. Conclusioni

 

1. Fatto

Ricostruzione dell’incidente

La vicenda trae origine dall’infortunio mortale occorso il 12 dicembre 2018 ad un lavoratore impiegato nel cantiere per la costruzione dell’impianto idroelettrico.

 

Secondo quanto riportato nella sentenza della Cassazione:

«Il lavoratore … si trovava su un tratto di condotta forzata privo di parapetti e tavole fermapiede, in una zona caratterizzata da condizioni climatiche rigide. A causa del ghiaccio formatosi sulla superficie, il lavoratore è scivolato, precipitando per circa 30 metri e riportando lesioni mortali.»

 

Il cantiere era suddiviso in diverse aree di competenza di imprese differenti, con una netta separazione tra la zona dell’opera di presa (affidata all’XX Srl) e quella della condotta forzata (gestita da un’altra ditta). La questione cruciale è se l’area dove è avvenuto l’incidente fosse ancora soggetta al controllo del coordinatore per la sicurezza o se fosse una zona già terminata e interdetta all’accesso.

 

Secondo il ricorso per Cassazione:

«Il tratto in cui è avvenuto l’incidente era stato separato dal resto del cantiere con una transenna e una rete metallica, con chiara segnalazione del divieto di accesso. Il giorno dell’infortunio l’unica impresa operativa era l’XX Srl, impegnata nelle opere di presa, senza alcuna interferenza con la zona della condotta forzata.»

 

Tale elemento è fondamentale perché, secondo la difesa, il CSE non aveva il dovere di vigilare su un’area ormai chiusa e non accessibile ai lavoratori.

 

2. Ricorso

Motivi di impugnazione

Il ricorso presentato dagli avvocati Gandini e Dubini solleva quattro motivi principali:

 

2.1. Nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa

«L’avviso di fissazione dell’udienza di appello è stato notificato solo all’Avv. Alberto Gandini e non all’Avv. Rolando Dubini, sebbene quest’ultimo fosse espressamente nominato difensore. Tale omissione ha comportato una palese violazione dell’art. 178 c.p.p.»

 

La mancata notifica dell’udienza costituisce una violazione del diritto di difesa, che di per sé renderebbe nulla la sentenza impugnata.

 

2.2. Erronea attribuzione della responsabilità al Coordinatore per la Sicurezza

Il punto centrale della difesa è che il coordinatore non è responsabile dei rischi specifici delle singole imprese, ma solo della gestione dei rischi interferenziali.

 

La Cassazione, invece, ha affermato che:

«Il coordinatore aveva l’obbligo di verificare la persistenza di un rischio interferenziale tra le diverse aree di cantiere e di assicurarsi che il percorso su cui è avvenuto l’incidente fosse adeguatamente protetto.»

 

Tale affermazione è contestata nel ricorso:

«Il giorno dell’incidente non esisteva alcun rischio interferenziale: l’unica impresa presente era XX Srl, e l’opera di condotta forzata non era più oggetto di lavorazioni attive. Il Coordinatore per la Sicurezza non aveva dunque alcun obbligo di intervenire.»

 

Inoltre, la difesa richiama una consolidata giurisprudenza di Cassazione:

«Il CSE non ha un obbligo di vigilanza continua, bensì solo una funzione di coordinamento generale. La sua responsabilità non può essere estesa ai compiti propri dei datori di lavoro e dei preposti.» (Cass. Pen., Sez. IV, n. 27165/2016; Cass. Pen., Sez. IV, n. 24915/2021).»

 

2.3. Inesistenza di un obbligo di sospensione dei lavori

Secondo la sentenza d’appello, il coordinatore avrebbe dovuto ordinare la sospensione delle attività a causa delle avverse condizioni climatiche. Tuttavia, il ricorso evidenzia che:

«Il CSE non si trovava in cantiere al momento dell’incidente e non aveva alcun potere decisionale immediato sulle attività in corso. Il potere di sospendere i lavori spetta al datore di lavoro e al preposto, non al coordinatore.»

 

Questa interpretazione, secondo la difesa, amplia indebitamente gli obblighi del CSE, attribuendogli compiti che la normativa vigente non prevede.

 

2.4. Omessa concessione delle attenuanti generiche e sproporzione della pena

Infine, il ricorso contesta la mancata concessione delle attenuanti generiche e l’eccessiva severità della pena:

«L’imputato è incensurato, ha sempre collaborato con gli organi di vigilanza ed era stato riconosciuto un risarcimento ai familiari della vittima da parte dell’INAIL. La Corte d’Appello ha omesso ogni valutazione su tali elementi, applicando una pena sproporzionata.»

 

3. Diritto – La decisione della Cassazione sulle questioni prospettate dal ricorso

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6272 del 17 febbraio 2025, si è pronunciata sulle questioni sollevate dal ricorso presentato per conto del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione (CSE), in merito alla sua responsabilità per l’infortunio mortale occorso al lavoratore.

 

Il ricorso ha evidenziato quattro principali motivi di impugnazione, relativi alla posizione di garanzia del coordinatore, alla sua funzione di alta vigilanza, all’obbligo di sospensione dei lavori e alla quantificazione della pena. La Cassazione ha fornito risposta a ciascuno di questi punti, confermando la condanna con alcune importanti precisazioni sul quadro normativo applicabile.

 

3.1. La posizione di garanzia del coordinatore per la sicurezza

Uno dei temi centrali del ricorso riguarda la corretta delimitazione della posizione di garanzia del CSE, con particolare riferimento alla sua responsabilità nell’assicurare che le misure di sicurezza fossero rispettate.

 

Nel ricorso si afferma che:

«La Corte d’Appello ha omesso di individuare correttamente l’ambito della posizione di garanzia del coordinatore, attribuendogli compiti e responsabilità che per legge competono ai datori di lavoro e ai preposti delle imprese esecutrici.»​.

 

La Cassazione, nel rispondere a questa doglianza, ha ritenuto che il coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione sia titolare di una posizione di garanzia ai sensi dell’art. 92 del D.Lgs. 81/2008, e che questa includa la verifica dell’attuazione del Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC) da parte delle imprese esecutrici.

 

La sentenza precisa che:

«Il coordinatore è tenuto a monitorare l’attuazione delle misure di prevenzione e protezione previste nel PSC, e a intervenire qualora rilevi situazioni di pericolo grave e imminente. L’argomentazione secondo cui la responsabilità del coordinatore sarebbe limitata a un controllo generale è contraria all’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità.»​.

 

Pertanto, la Corte ha ritenuto che il CSE fosse correttamente individuato come soggetto garante della sicurezza del cantiere, con il compito di verificare che i percorsi di lavoro fossero sicuri e conformi alle disposizioni di legge.

 

3.2. Il ruolo del coordinatore e la questione dell’alta vigilanza

Il ricorrente ha sostenuto che il CSE non ha il compito di vigilare costantemente sulle singole lavorazioni, ma solo di gestire il rischio interferenziale tra le imprese.

 

Nel ricorso si afferma:

«La giurisprudenza ha chiarito che il CSE ha una funzione di alta vigilanza, che non implica un controllo costante, quotidiano, ora per ora, delle singole attività lavorative. La sua responsabilità si concentra sulla configurazione generale delle lavorazioni e sull’adeguamento del PSC in caso di evoluzione dei lavori.» (Cass. Pen., Sez. IV, n. 27165/2016; Cass. Pen., Sez. IV, n. 24915/2021)​.

 

La Cassazione ha tuttavia ritenuto che la funzione di alta vigilanza non esoneri il coordinatore dall’obbligo di verificare che il PSC venga applicato nelle singole lavorazioni, soprattutto nei punti in cui il rischio di infortunio è più elevato.

 

La sentenza afferma:

«L’obbligo di alta vigilanza del CSE non può essere interpretato come una funzione meramente formale. Il coordinatore è chiamato a compiere verifiche effettive e, in presenza di pericoli evidenti, ha il dovere di intervenire.»​.

Pertanto, la Corte ha ritenuto che il CSE non avesse svolto il proprio ruolo in modo adeguato, omettendo di segnalare una condizione di pericolo concreto e persistente.

 

3.3. L’obbligo di sospendere i lavori in caso di pericolo

Uno degli argomenti centrali del ricorso riguarda l’obbligo del coordinatore di disporre la sospensione dei lavori in caso di pericolo grave e imminente.

 

Uno degli argomenti centrali del ricorso per Cassazione riguarda la corretta interpretazione dell’obbligo di sospensione dei lavori in caso di pericolo grave e imminente, con particolare riferimento al ruolo del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione (CSE).

 

Il ricorso sostiene che tale obbligo spetti ai datori di lavoro e ai preposti delle imprese esecutrici, mentre il coordinatore non ha un dovere di vigilanza continua sulle condizioni di cantiere, ma solo il compito di segnalare eventuali pericoli direttamente riscontrati in occasione di un sopralluogo.

 

3.3.1. La posizione del ricorso

Secondo la difesa, il coordinatore non aveva l’obbligo di disporre la sospensione dei lavori, perché:

  1. L’art. 92, comma 1, lett. f) del D.Lgs. 81/2008 stabilisce che il CSE deve intervenire direttamente solo in presenza di situazioni pericolose constatate personalmente.
  2. Il CSE non era presente nel cantiere al momento dell’incidente, e quindi non poteva constatare direttamente il pericolo grave e imminente.
  3. L’obbligo di monitorare le condizioni di lavoro spetta ai datori di lavoro e ai preposti, come stabilito dagli articoli 95, 96 e 97 del D.Lgs. 81/2008​.
  4. Il rischio legato alla presenza di ghiaccio era un rischio specifico delle attività dell’impresa esecutrice, e non un rischio interferenziale tra più imprese, che è invece il principale ambito di competenza del CSE​.

 

Nel ricorso si afferma esplicitamente:

«La disposizione di cui all’art. 92, comma 1, lett. f), del D.Lgs. 81/2008, prevede il potere-dovere del coordinatore di intervenire direttamente solo in presenza di situazioni pericolose constatate personalmente, non implica in alcun modo un obbligo di vigilanza continua sul cantiere.»​.

 

Il ricorso critica la sentenza d’Appello, ritenendo che questa abbia erroneamente attribuito al coordinatore un dovere di sospensione che invece spetta ai datori di lavoro. Si sostiene infatti che:

«La vigilanza sulle condizioni di lavoro, inclusa la valutazione delle condizioni meteorologiche come la presenza di ghiaccio, è competenza del datore di lavoro e dei suoi collaboratori.» (D.Lgs. 81/2008, art. 96, comma 1, lett. c)​.

 

3.3.2. La risposta della Cassazione

La Corte di Cassazione, nel respingere questa tesi, ha chiarito che il coordinatore ha un obbligo di sospensione dei lavori non solo in caso di pericolo constatato direttamente, ma anche in base alle informazioni di cui dispone.

 

La sentenza afferma:

«Il potere-dovere inibitorio di sospensione dei lavori, attribuito al coordinatore per la sicurezza in fase esecutiva dall’art. 92, comma 1, lett. f), D.Lgs. 81/2008, è correlato a qualsiasi ipotesi in cui tale garante riscontri direttamente un pericolo grave e imminente, a prescindere dalla verifica di specifiche violazioni della normativa antinfortunistica.»​.

 

Secondo la Cassazione, l’obbligo di sospendere i lavori sussiste anche se il coordinatore non è fisicamente presente in cantiere al momento del pericolo, se dispone di informazioni che rendono evidente la situazione di rischio.

 

In particolare, la sentenza sottolinea che:

«L’omessa adozione dell’ordine di sospensione dei lavori costituisce una delle possibili omissioni addebitabili al coordinatore per la sicurezza indipendentemente dalla sussistenza di un rischio interferenziale.»​.

 

Secondo i giudici, il coordinatore era consapevole del rischio esistente nel cantiere, dovuto alla formazione di ghiaccio, e avrebbe dovuto adottare provvedimenti tempestivi per evitare l’incidente.

 

La Cassazione evidenzia inoltre che:

«I Giudici di merito hanno correttamente ascritto al ricorrente la violazione delle regole cautelari prescritte dall’art. 92 D.Lgs. 81/2008, osservando che il rischio della formazione di gelate e di conseguenti scivolamenti, non imprevedibile, non era contemplato nel PSC e non aveva trovato adeguata cautela.»​.

 

Pertanto, la Corte ha confermato la condanna, ritenendo che il coordinatore:

  1. Era consapevole della situazione di pericolo, che avrebbe potuto determinare un incidente grave.
  2. Aveva il dovere di intervenire anche senza essere presente fisicamente al momento dell’evento, basandosi sulle informazioni a sua disposizione.
  3. Avrebbe dovuto disporre la sospensione delle attività in quell’area del cantiere, per permettere l’adozione di misure di sicurezza adeguate.

 

3.3.2.1. Il ricorso: il rischio atmosferico era già valutato nel POS

Il ricorso sostiene che il rischio legato alla formazione di ghiaccio era previsto nel POS, redatto dall’impresa esecutrice e approvato nel quadro generale della sicurezza del cantiere.

 

Nel ricorso si afferma:

«La vigilanza sulle condizioni di lavoro, inclusa la valutazione delle condizioni meteorologiche come la presenza di ghiaccio, è competenza del datore di lavoro e dei suoi collaboratori. Il D.Lgs. 81/2008, all’art. 96, comma 1, lett. c), dispone che “i datori di lavoro delle imprese affidatarie e delle imprese esecutrici… curano la protezione dei lavoratori contro le influenze atmosferiche che possono compromettere la loro salute.”»​.

 

Inoltre, il ricorso evidenzia come:

«Il POS dell’impresa esecutrice prevedeva specifiche procedure per la gestione delle condizioni atmosferiche avverse, tra cui la sospensione delle lavorazioni in caso di formazione di ghiaccio, decisione demandata ai responsabili della sicurezza dell’impresa stessa.»​.

 

Questo aspetto è fondamentale poiché, secondo la difesa, la Corte d’Appello ha trascurato il fatto che il datore di lavoro dell’impresa esecutrice aveva già il compito di monitorare e, se necessario, sospendere i lavori a causa delle condizioni meteorologiche.

 

3.3.2.2. La risposta della Cassazione: il rischio atmosferico non era adeguatamente trattato nel PSC

La Suprema Corte ha rigettato questa argomentazione, ritenendo che la valutazione del rischio atmosferico non fosse adeguatamente contemplata nel PSC, e che il coordinatore per la sicurezza avesse il dovere di intervenire per aggiornare il piano e garantire l’attuazione delle misure preventive necessarie.

 

Nella sentenza si legge:

«I Giudici di merito hanno, dunque, correttamente ascritto al ricorrente la violazione delle regole cautelari prescritte dall’art. 92 D.Lgs. n. 81/2008, osservando che il rischio della formazione di gelate e di conseguenti scivolamenti, non imprevedibile, non era contemplato e, pur potendosi catalogare nel rischio di caduta di persone dall’alto, non aveva trovato adeguata cautela in quanto la realizzazione di ponteggi o l’installazione di parapetti in legno prescritte nel piano di sicurezza si era rivelata non realizzabile.»​.

 

Inoltre, la Corte ha sottolineato che:

«Il PSC deve contenere una relazione concernente l’individuazione, l’analisi e la valutazione dei rischi concreti, con riferimento all’area e alla organizzazione del cantiere, alle lavorazioni e alle loro interferenze (Allegato XV D.Lgs. n. 81/2008).»​.

 

Pertanto, secondo la Cassazione, il coordinatore avrebbe dovuto aggiornare il PSC per includere misure specifiche di prevenzione legate alla formazione di ghiaccio, poiché il rischio era prevedibile date le caratteristiche geografiche e climatiche del cantiere.

 

3.3.2.3. PSC e POS devono essere considerati congiuntamente, ma con ruoli distinti

Un altro punto fondamentale della decisione riguarda la relazione tra PSC e POS, e i ruoli delle diverse figure della sicurezza nel cantiere.

 

Il ricorso sottolinea che:

«Il coordinatore per la sicurezza deve garantire la coerenza generale delle misure di sicurezza attraverso il PSC, mentre la gestione dei rischi specifici delle singole imprese esecutrici spetta ai rispettivi datori di lavoro, attraverso i POS.»​.

 

Tuttavia, la Cassazione ha chiarito che il PSC non è un documento statico, ma deve essere aggiornato dal coordinatore qualora emergano nuovi rischi non adeguatamente contemplati nei POS.

 

Nella sentenza si precisa:

«Il coordinatore per la sicurezza deve garantire che il PSC sia adeguato alla concreta evoluzione dei lavori e deve intervenire in caso di necessità di aggiornamenti o integrazioni, al fine di prevenire situazioni di pericolo non adeguatamente gestite dai POS.»​.

 

Questo significa che, sebbene il POS dell’ impresa esecutrice avesse previsto misure di sicurezza per il rischio atmosferico, il coordinatore per la sicurezza aveva comunque il compito di verificarne l’effettiva attuazione e, se necessario, disporre modifiche al PSC per garantire un’adeguata protezione dei lavoratori.

 

3.3.3. Conclusioni

La decisione della Cassazione ha chiarito che:

  • il rischio atmosferico deve essere considerato sia nel PSC che nel POS, e il coordinatore ha il dovere di verificarne l’efficacia; 
    – il PSC non è un documento statico: il coordinatore deve aggiornarlo se emergono nuovi pericoli non adeguatamente gestiti nei POS;
  • – l’obbligo di sospendere i lavori sussiste anche in assenza del coordinatore, se il pericolo è noto o prevedibile;
  • – l‘omissione dell’ordine di sospensione può essere motivo di responsabilità penale per il coordinatore;
  • – il rischio interferenziale non è l’unico ambito di competenza del CSE: egli ha una responsabilità più ampia sulla sicurezza generale del cantiere.

 

La Cassazione ha quindi respinto il ricorso, affermando che il coordinatore ha l’obbligo di adottare misure tempestive per prevenire incidenti, anche in base alle informazioni disponibili e non solo sulla base della sua presenza fisica in cantiere​.

 

4. La quantificazione della pena e il mancato riconoscimento delle attenuanti

L’ultimo punto del ricorso ha riguardato la quantificazione della pena e la mancata concessione delle attenuanti generiche in favore dell’imputato.

 

La difesa ha contestato la sentenza d’appello sostenendo che la pena fosse eccessiva e che non fossero stati adeguatamente considerati alcuni elementi favorevoli all’imputato, tra cui:

  • l’incensuratezza dell’imputato, il CSE non aveva precedenti penali, elemento che secondo la difesa avrebbe dovuto incidere sulla valutazione della pena;
  • . il comportamento professionale corretto e collaborativo: il ricorrente ha sempre collaborato con gli organi di vigilanza e ha adempiuto con scrupolo ai suoi compiti di coordinatore per la sicurezza, come dimostrato dalle prove documentali e dalle testimonianze;
  • l’assenza di una responsabilità diretta nell’incidente e in tal senso la difesa ha sostenuto che la responsabilità dell’evento non poteva essere attribuita in maniera diretta al CSE, in quanto la vigilanza quotidiana sulle condizioni di lavoro e sulla gestione delle influenze atmosferiche spettava ai datori di lavoro e ai preposti​;
  • il concorso di colpa della vittima, che secondo la difesa, la condotta del lavoratore deceduto, che si era recato in una zona vietata e pericolosa, avrebbe dovuto essere considerata un fattore attenuante, riducendo la gravità della colpa dell’imputato;
  • l’indennizzo già riconosciuto dall’INAIL ai familiari della vittima: un ulteriore elemento che la difesa ha ritenuto rilevante ai fini della concessione delle attenuanti generiche.

 

4.1. La decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione, nel rigettare il motivo di ricorso relativo alla pena, ha chiarito che la concessione delle attenuanti generiche rientra nella discrezionalità del giudice di merito, a condizione che la motivazione fornita sia logicamente coerente e non contraddittoria.

 

Nella sentenza si legge:

«La concessione delle attenuanti generiche è una valutazione discrezionale del giudice di merito, che ha motivato adeguatamente la scelta di non riconoscerle.»​.

 

La Corte ha rilevato che la decisione della Corte d’Appello era fondata su una valutazione coerente delle circostanze del caso, ritenendo che:

«L’assenza di precedenti penali e il comportamento professionale dell’imputato non sono elementi sufficienti per giustificare una riduzione della pena, in considerazione della gravità dell’evento e del ruolo centrale del coordinatore nella gestione della sicurezza del cantiere.»​.

 

Inoltre, la Cassazione ha respinto l’argomento relativo al comportamento del lavoratore, precisando che:

«Il contributo colposo della vittima, pur potendo essere valutato nella determinazione della responsabilità, non elimina la posizione di garanzia del coordinatore per la sicurezza, il quale ha il dovere di prevenire situazioni di pericolo indipendentemente dal comportamento dei lavoratori.»​.

 

Infine, la Corte ha ritenuto irrilevante ai fini della concessione delle attenuanti l’indennizzo erogato dall’INAIL, in quanto si tratta di un elemento che non incide sulla valutazione della colpa dell’imputato​.

 

  • La Cassazione ha quindi confermato la quantificazione della pena stabilita dalla Corte d’Appello, ritenendo che:
    – la mancata concessione delle attenuanti generiche è una valutazione discrezionale del giudice di merito, che deve essere motivata ma non sindacabile in sede di legittimità se logicamente fondata;
    – l’incensuratezza e la collaborazione dell’imputato non costituiscono automaticamente una ragione per la riduzione della pena;
    Il contributo colposo della vittima non elimina la responsabilità del coordinatore per la sicurezza, che ha il dovere di prevenire ogni rischio connesso alle lavorazioni;
    – il risarcimento erogato dall’INAIL ai familiari della vittima non è un elemento sufficiente per la concessione delle attenuanti.

 

5. Conclusioni

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6272 del 17 febbraio 2025, ha confermato la condanna del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, delineando in maniera chiara l’estensione dei suoi obblighi e responsabilità.

 

La decisione evidenzia che il coordinatore per la sicurezza non è chiamato a un controllo operativo quotidiano delle singole attività lavorative, ma ha comunque il compito di garantire che il PSC sia adeguato all’evoluzione dei lavori e che le misure di sicurezza previste siano effettivamente attuate.

 

Nella sentenza si afferma che:

«Il coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, sebbene non abbia un obbligo di vigilanza continua sulle singole lavorazioni, deve comunque verificare che le misure di sicurezza previste nel PSC siano coerenti con l’effettivo stato del cantiere e, in caso contrario, adottare gli opportuni aggiornamenti.»​.

 

In questo quadro, la Cassazione ha chiarito che il PSC e il POS devono essere considerati congiuntamente, e che il coordinatore ha l’obbligo di intervenire qualora emergano nuovi rischi non adeguatamente gestiti nei POS.

 

La sentenza precisa infatti che:

«Il rischio della formazione di gelate e di conseguenti scivolamenti, non imprevedibile, non era contemplato nel PSC e non aveva trovato adeguata cautela.»​.

 

La Corte ha quindi ritenuto che il coordinatore avesse la possibilità e il dovere di intervenire per garantire che il PSC venisse adeguato alle condizioni di rischio presenti nel cantiere.

 

Per quanto riguarda l’obbligo di sospensione dei lavori, la Cassazione ha ribadito che tale dovere non grava esclusivamente sui datori di lavoro e preposti, ma può ricadere anche sul coordinatore qualora il pericolo sia direttamente riscontrabile o noto sulla base delle informazioni disponibili.

 

A tal proposito, nella sentenza si afferma che:

«L’obbligo di sospendere le lavorazioni in caso di pericolo grave e imminente sussiste indipendentemente dalla presenza fisica del coordinatore in cantiere al momento dell’evento. Egli avrebbe dovuto adottare provvedimenti tempestivi in base alle informazioni disponibili.»​.

 

La decisione conferma quindi che:

  1. il coordinatore per la sicurezza ha un obbligo di alta vigilanza, che non si limita alla redazione del PSC, ma comprende anche la sua attuazione e aggiornamento;
  2. l’’assenza di un rischio interferenziale non esonera il coordinatore dall’obbligo di valutare i pericoli concreti nel cantiere e di intervenire, se necessario, con misure di coordinamento e aggiornamento del PSC;
  3. L’obbligo di sospendere i lavori può riguardare anche il coordinatore se il pericolo è evidente o riscontrabile attraverso le informazioni a sua disposizione.

 

La Corte ha quindi confermato la condanna, ritenendo che il coordinatore avrebbe dovuto:

  • individuare il rischio di formazione di ghiaccio e verificare che il PSC fosse adeguato alla situazione;
  • verificare l’effettiva attuazione delle misure di sicurezza previste nei POS delle imprese esecutrici;
  • intervenire con provvedimenti di coordinamento, se necessario, per garantire l’effettiva sicurezza dei lavoratori.

 

La sentenza rafforza il principio secondo cui il coordinatore per la sicurezza non può limitarsi a un controllo formale, ma deve svolgere un ruolo attivo nell’adeguamento delle misure di prevenzione e protezione.

 

 

 

Rolando Dubini, penalista Foro di Milano, cassazionista

 

 

NB: Per il dettaglio della pronuncia della Corte di Cassazione si rimanda al testo integrale della sentenza inserita in Banca Dati.

 

 

Scarica la sentenza di riferimento:

Corte di Cassazione, Sezione Quarta Penale, Sentenza n. 6272 del 17 febbraio 2025 – Scivolamento mortale sul ghiaccio durante la realizzazione dell’opera di presa e di condotta forzata per la captazione di acqua dal torrente.

 

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