Economia delle startup, perché è insostenibile

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Un post su LinkedIn la scorsa settimana ha stimolato un dibattito abbastanza acceso. L’economia delle startup ha un male. Vive di agglomerazione e concentrazione.

Oggi, diversamente dal passato, i principali asset (conoscenza e capitali) non sono distribuiti su tutto il territorio dei Paesi ma sono concentrati in poche città. Come aveva scritto un pò di tempo fa Janan Ganesh sul Financial Times: “knowledge e capital convene on cities rather than to land and industry”.

Che problema c’è? Secondo lui (e il sottoscritto): “The material gap between cities and de-industrialised heartlands has grown over decades to become the most troublesome faultline in Western democracies”.

Disclaimer: questo articolo di Ganesh che avevo letto mentre mi imbarcavo – guarda il caso – per San Francisco ha rappresentato lo spunto per tutte le ricerche successive mie e di Mind the Bridge sui fenomeni di agglomerazione territoriale delle startup (il cui primo report risale al 2018).

Economia delle startup, che cosa dicono i numeri

Ma facciamo un passo indietro e guardiamo ai dati.
Secondo l’ultima ricerca di Mind the Bridge pubblicata a Parigi in occasione dei Startup Ecosystem Stars Awards (Report “Innovation or Isolation: The Future of Regional Ecosystems”, qui il link per il download), startup e scaleup tendono a concentrarsi nella capitale o comunque in una grande città.

In Europa, quasi il 70% della New Economy (più precisamente il 67% delle scaleup e il 75% del capitale) stanno in unico hub per Paese, nonostante questo rappresenti solo il 34% del PIL del Paese e il 14% della popolazione. Quindi non ha molto senso di parlare di ecosistema inglese e francese, quanto piuttosto di Londra e Parigi. Da noi, sia pure con percentuali meno pronunciate, l’hub è Milano.

Questo fenomeno di concentrazione della New Economy è ancora più pronunciato nelle economie emergenti (l’agglomeration supera l’80% in Medio Oriente, Asia, Africa e Latin America).

Il divario fra economia delle startup ed economia tradizionale

Significa che si sta aprendo un divario tra l’oggi e il domani, tra l’economia tradizionale e la “new economy”.
Confrontando la quota che una città detiene nell’economia delle startup e scaleup del Paese – che può essere considerata come una proxy del ruolo economico che l’hub potrebbe assumere in futuro – con il contributo attuale della città all’economia nazionale (misurato dalla quota prodotta del GDP) si possono visualizzare le traiettorie evolutive degli ecosistemi nella direzione di una città che guadagna crescente rilevanza e, in parallelo, di tutte le altre che la perdono e si vedono progressivamente marginalizzate.
A quanto pare, l’approccio “winners take all” non sembra trovare applicazione solo per gli unicorn, ma anche per le città e gli ecosistemi.
E questa divergenza, come aveva richiamato Ganesh, rischia di ampliare drammaticamente le disparità di ricchezza, poiché pochi hub selezionati stanno per catturare quantità crescenti di reddito e ricchezza, che fino ad oggi erano meglio distribuite sui territori.
Il tutto risponde a criteri di efficienza e razionalità, come ha commentato Constantijn Van Oranje-Nassau (Special Envoy di TechLeap, aka the Startup Prince):
“The density of capital and talent and connectedness of an ecosystem are key. To thinly spread, the ecosystem will lose its drive and won’t be able to get the innovation flywheel spinning. You also want successes in fintech and SaaS to spread to other types of startups and there must be a critical mass for clusters to keep producing new ventures. Thus there must be concentration before distribution.”

Tutto questo è desiderabile e sostenibile?

Il dubbio – grande – è se tutto questo sia desiderabile e sostenibile.
Per le grandi città che diventando ancora più grandi e diventano invivibili con crescente peggioramento della qualità della vita, aumento esponenziale dei costi e fenomeni connessi (gentrification ed inquinamento, solo per citarne alcuni).
Per tutte le altre che subiscono una sostanziale marginalizzazione e potenziale desertificazione. Dopo lo spostamento dalle campagne alle città, vivremo quello dalle “tier 2 cities” alle megalopoli?

Per raggiungere traiettorie di crescita più sostenibili, dobbiamo trovare soluzioni che favoriscano innovation ecosystems più equilibrati e inclusivi.
In questa direzione si muove il progetto delle Regional Innovation Valleys avviato con la Commissaria Gabriel nello scorso Collegio che punta a mettere insieme ecosistemi regionali. Proprio di questo abbiamo parlato a Brussels, durante lo “Strategic Innovation Meeting: From Interconnected Ecosystems to the New Deal of Innovation in Europe”, ove si sono riunite le Regioni dei 5 raggruppamenti che sono stati finanziati nel prima call europea. Singolarmente prese sono poco visibili e rilevanti sulla Global Innovation Life Cycle Curve, ma messe insieme possono fare massa critica e giocare un ruolo (per la cronaca, due regioni italiane fanno parte dei 5 gruppi che sono stati finanziati dall’Unione Europea: la Lombardia in Unite e l’Emilia Romagna in PreciseEU).
Che sia questa una possibile alternativa al trend di concentrazione esasperata in atto?



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