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Non ci siamo. La difesa nazionale, qui intesa come difesa del territorio italiano ad opera delle forze armate italiane, non è né indipendente, né autosufficiente ma, per fortuna, intrecciata con la difesa europea e con la difesa integrata del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato). Storicamente e praticamente, dopo la disfatta dell’Italia fascista nella Seconda guerra mondiale e il ritorno dell’Italia repubblicana nel mondo libero sotto l’egida americana, la difesa nazionale venne affidata, appaltata direi, alla Nato, il che significò di fatto agli Stati Uniti. Le forze armate italiane uscirono pressoché distrutte dal conflitto mondiale. Dopo del quale, durante la ‘guerra fredda’ il loro nerbo fu schierato nel nord-est della penisola, al confine con la Jugoslavia, dove il regime di Tito apparteneva al mondo comunistasovietico, prima di ammorbidirsi nel terzomondismo e nel ‘non allineamento’. Nel mentre, la sicurezzadell’Italia nel Mediterraneo, non più ‘mare nostrum’, fu garantita in senso specifico dalla VI Flotta e in senso generale dalle forze armate americane.
La creazione di una difesa europea propriamente detta fu tentata con la ‘Comunità Europea di Difesa’ (CED), prevista dal trattato sottoscritto nel 1952 dai Paesi aderenti alla CECA (Comunità europea del carbone e dell’acciaio): Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, mai entrato in vigore per la mancata ratifica della Francia. Nel 1957 a Roma, le stesse nazioni stipularono il trattato istitutivo della CEE (Comunità economica europea) e prese avvio il processo (Maastricht 1992 e Lisbona 2009) d’integrazione dell’Italia nell’Unione Europea, rimasta tuttavia una confederazione di Stati, ad oggi 27, senza mai consolidarsi in federazione, che significa, tanto per ricordarlo, ‘sovranità federale’, vale a dire ‘una’ potestà di governo sugli Stati federati, ‘una’ politica estera dello Stato federale, ‘una’ forza armata agli ordini del governo federale.
L’UE confederale impedisce la difesa comune europea
Le cause prime dell’impossibilità di costituire una difesa europea propriamente detta sono tre: la permanente confederazione (mancanza dello Stato federale); l’unanimità indispensabile nelle deliberazioni del Consiglio dell’Unione Europea; la mancanza di un complesso militare ai suoi ordini. Il Consiglio europeo, il più importante organo decidente dell’UE, rappresenta i governi degli Stati membri. È la sede in cui si riuniscono i ministri per negoziare e adottare la legislazione dell’UE; concludere accordi internazionali a nome dell’UE; adottare il bilancio dell’UE; elaborare la politica estera e di sicurezza dell’UE; coordinare le politiche degli Stati membri in settori specifici. Il Consiglio ‘deve’votare all’unanimità su una serie di materie considerate sensibili dagli Stati membri. Tra esse sono fondamentali:la politica estera e di sicurezza comune; l’adesione all’UE; le finanze dell’UE. In caso di voto all’unanimità, un’astensione non impedisce l’adozione della decisione.
Tale essendo la ‘costituzione’ dell’UE quanto all’organo decisionale della confederazione, l’impossibilità di realizzare la difesa europea dell’UE è ‘in re ipsa’, anche tralasciando i complicati rapporti che intercorrono tra Consiglio, Commissione, Parlamento. Tutta la struttura ordinamentale della UE è gravata da un eccesso di ‘checks and balances’, ‘controlli e bilanciamenti’ che qui sono figli di naturali diffidenze tra Stati e d’intrinseci interessi nazionali piuttosto che un riflesso del costituzionalismo liberale. Infatti conferiscono all’UE un’architettura barocca rovinosamente disfunzionale in tempo di guerra, seppure non guerreggiata nel territorio dell’UE e della Nato.
Dalla UE agli Stati Uniti d’Europa
Sebbene abbia attraversato e superato crisi interne anche potenzialmente esiziali ed esercitato un’attrazione inaspettata verso tante nazioni che hanno chiesto ed ottenuto l’adesione, l’UE non ha trovato la forza di perfezionarsi in federazione e di elevare il Vecchio Continente al rango di Stato federale. Gli europeisti di ogni colore stanno ancora aspettando gli Stati Uniti d’Europa. L’aspettativa di una minoranza, purtroppo, di cittadini con passaporto ‘Unione Europea’ è tuttora insoddisfatta. Ma ora la geopolitica sta imponendo le sue condizioni alla vecchia Europa. Lo Stato federale sarà la salvezza dell’Europa e degli europei il prossimo domani. ‘Extra Europam nulla salus’. Ma i venturi Stati Uniti d’Europa e la presente Unione Europea sono sottoposti oggi, adesso, alla stessa urgente occorrenza, alla vitale necessità di provvedere per sopravvivere. Incombe sugli Stati europei la minaccia armata di una Russia asservita a un dittatore sanguinario e criminale che persegue l’annessione forzata dell’Ucraina, occupandola e devastandola ‘manu militari’. L’eroica Ucraina resiste anche grazie agli aiuti d’ogni genere della UE, degli Stati e dei cittadini europei. Tuttavia, mentre l’UE non incontra difficoltà insormontabili nel deliberare aiuti per sovvenire altri Stati anche militarmente, l’UE medesimarisulta impacciata se non irresoluta quando debba impiegare modi e mezzi militari per difendersi dalla minaccia rivolta contro sé stessa. Temporeggia, non come il ‘Cunctator’ romano per sfiancare il nemicocartaginese, bensì perché titubante ed insicura sul daffare, non avendo alle spalle il risolutivo conforto della forza statuale che il governo politico di una federazione naturalmente possiede. Mentre ‘Hannibal ad portas’, Annibale alle porte di Roma, è adesso la Russia.Il pericolo è imminente. Putin, invadendo l’Ucraina a tradimento e devastandola, già marcia sull’Europa e non lo fermeranno le bandiere bianche dei pacifisti di strada.“Il tempo trascina innanzi ogni cosa e può condurre con sé il bene e il male” ammonisce Machiavelli, che aggiunge: “Prevedendo anticipatamente gli ostacoli, puoi facilmente trovar rimedio ad essi, mentre se aspetti che ti raggiungono, la medicina arriva troppo tardi, perché il male è ormai incurabile.” Diagnosticano da tempo il male dell’Europa, ma non le somministrano la terapia. Il deficit politico perdura, ma il male non è incurabile. Il farmaco è disponibile. Federazione è la cura risolutiva.
Le cose fatte dalla UE e la posizione degli Stati dentro e fuori l’UE
In materia di difesa, l’UE nel crescere e svilupparsi non è rimasta agli eserciti nazionali. Ha creato ed istituito varie agenzie, comitati, fondi che supportano e coordinano forze militari. Il Trattato di Lisbona del 2009contiene un apposito capo di “Disposizioni specifiche sulla politica estera e di sicurezza comune”. Di esse conviene riportare integralmente l’articolo 42, che reca norme dettagliate a riguardo, indispensabili a capire le discussioni e le decisioni in corso nella UE e a giudicare le posizioni dei governi nazionali, gettando luce sulla trama delle possibilità concesse alle autorità comunitarie e nazionali, spesso trascurata nel dibattito pubblico, sia parlamentare che radiotelevisivo.
Articolo 42
1. La politica di sicurezza e di difesa comune costituisce parte integrante della politica estera e di sicurezza comune. Essa assicura che l’Unione disponga di una capacità operativa ricorrendo a mezzi civili e militari. L’Unione può avvalersi di tali mezzi in missioni al suo esterno per garantire il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale, conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite. L’esecuzione di tali compiti si basa sulle capacità fornite dagli Stati membri.
2. La politica di sicurezza e di difesa comune comprende la graduale definizione di una politica di difesa comune dell’Unione. Questa condurrà a una difesa comune quando il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità, avrà così deciso. In questo caso, il Consiglio europeo raccomanda agli Stati membri di adottare una decisione in tal senso conformemente alle rispettive norme costituzionali. La politica dell’Unione a norma della presente sezione non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri, rispetta gli obblighi di alcuni Stati membri, i quali ritengono che la loro difesa comune si realizzi tramite l’Organizzazione del trattato del Nord Atlantico (NATO), nell’ambito del trattato dell’Atlantico del Nord, ed è compatibile con la politica di sicurezza e di difesa comune adottata in tale contesto.
3. Gli Stati membri mettono a disposizione dell’Unione, per l’attuazione della politica di sicurezza e di difesa comune, capacità civili e militari per contribuire al conseguimento degli obiettivi definiti dal Consiglio. Gli Stati membri che costituiscono tra loro forze multinazionali possono mettere anche tali forze a disposizione della politica di sicurezza e di difesa comune. Gli Stati membri s’impegnano a migliorare progressivamente le loro capacità militari. L’Agenzia nel settore dello sviluppo delle capacità di difesa, della ricerca, dell’acquisizione e degli armamenti (in appresso denominata “Agenzia europea per la difesa”) individua le esigenze operative, promuove misure per rispondere a queste, contribuisce a individuare e, se del caso, mettere in atto qualsiasi misura utile a rafforzare la base industriale e tecnologica del settore della difesa, partecipa alla definizione di una politica europea delle capacità e degli armamenti, e assiste il Consiglio nella valutazione del miglioramento delle capacità militari.
4. Le decisioni relative alla politica di sicurezza e di difesa comune, comprese quelle inerenti all’avvio di una missione di cui al presente articolo, sono adottate dal Consiglio che delibera all’unanimità su proposta dell’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza o su iniziativa di uno Stato membro. L’alto rappresentante può proporre il ricorso sia ai mezzi nazionali sia agli strumenti dell’Unione, se del caso congiuntamente alla Commissione.
5. Il Consiglio può affidare lo svolgimento di una missione, nell’ambito dell’Unione, a un gruppo di Stati membri allo scopo di preservare i valori dell’Unione e di servirne gli interessi. Lo svolgimento di detta missione è disciplinato dall’articolo 44.
6. Gli Stati membri che rispondono a criteri più elevati in termini di capacità militari e che hanno sottoscritto impegni più vincolanti in materia ai fini delle missioni più impegnative instaurano una cooperazione strutturata permanente nell’ambito dell’Unione. Detta cooperazione è disciplinata dall’articolo 46. Essa lascia impregiudicato l’articolo 43.
7. Qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Ciò non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri. Gli impegni e la cooperazione in questo settore rimangono conformi agli impegni assunti nell’ambito dell’Organizzazione del trattato del Nord-Atlantico che resta, per gli Stati che ne sono membri, il fondamento della loro difesa collettiva e l’istanza di attuazione della stessa.
Come ognuno può constatare, il Trattato di Lisbonadisciplina fin troppo accuratamente la procedura degli interventi della UE sia come confederazione dotata di personalità giuridica superiore agli Stati membri sia nel rapporto con essi e tra essi, lasciando per di più sostanzialmente impregiudicati le facoltà e gli obblighi tra gli Stati in ambito Nato. Tuttavia, sebbene la politica di sicurezza e di difesa comune ne implichi la graduale definizione da parte dell’Unione Europea, il processo condurrà a una difesa comune quando il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità, avrà così deciso.Inoltre, le decisioni relative alla politica di sicurezza e di difesa comune, comprese quelle inerenti all’avvio di una missione di cui all’articolo, sono adottate dal Consiglio che delibera all’unanimità. L’unanimità, che può ostacolare fino a bloccare l’azione del Consiglio, non assicura affatto che “l’Unione disponga di una capacità operativa ricorrendo a mezzi civili e militari”, mentre l’Agenzia europea per la difesa dovrebbe costituire davvero il fulcro “dello sviluppo delle capacità di difesa, della ricerca, dell’acquisizione e degli armamenti” dell’Unione Europea, per unificarne gli standard ed eliminare gli sprechi. Obiettivi sui quali gli Stati concordano, finora a parole.
Dalla difesa comune sulla carta alla capacità operativa in concreto
Il progetto ‘ReArm Europe’ presentato dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen contempla cinque punti. Il primo consente agli Stati membri di aumentare significativamente le loro spese per la difesa senza innescare la procedura per i disavanzi eccessivi. Se gli Stati membri aumentassero le loro spese per la difesa dell’1,5% del PIL in media, ciò potrebbe creare uno spazio fiscale di circa 650 miliardi in un periodo di quattro anni. Il secondo prevede un nuovo strumento chefornirà 150 miliardi di prestiti agli Stati membri per investimenti nella difesa. Si tratta fondamentalmente di spendere meglio e spendere insieme. Così gli Stati membri possono aumentare notevolmente il loro sostegno all’Ucraina. Quindi una misura militare immediata per l’Ucraina. L’approvvigionamento congiunto ridurrà i costi e la frammentazione; aumenterà l’interoperabilità; rafforzerà la base industriale europeadella difesa. Il terzo punto autorizza ad usare il potere del bilancio dell’UE per indirizzare più fondi verso investimenti correlati alla difesa. Gli Stati membri che lo decideranno, potranno usare programmi di politica di coesione per aumentare la spesa per la difesa. Il quarto e quinto mirano a mobilitare capitali privati, accelerando l’Unione del risparmio e degli investimenti e coinvolgendo la Banca europea per gli investimenti. In conclusione, ‘ReArm Europe’ potrebbe mobilitare circa 800 miliardi di euro.
Come ha sottolineato la presidente Ursula von der Leyen, “Stiamo vivendo nel momento più importante e pericoloso. Non ho bisogno di descrivere la natura grave delle minacce che affrontiamo. O le conseguenze devastanti che dovremo sopportare se tali minacce dovessero concretizzarsi. Perché la questione non è più se la sicurezza dell’Europa sia minacciata in modo molto reale. O se l’Europa debba assumersi una maggiore responsabilità per la propria sicurezza. In verità, conosciamo da tempo le risposte a queste domande. La vera questione che abbiamo di fronte è se l’Europa è pronta ad agire con la stessa decisione richiesta dalla situazione.
ReArm Europe? Da solo non basta
Il progetto ‘ReArm Europe’ costituisce una risposta necessaria ma non sufficiente, perché da un lato finanzia direttamente la difesa degli Stati membri e indirettamente della martoriata Ucraina ma dall’altro non affronta, né poteva, il punto cruciale del potere di comando della piccola forza armata integrata dell’UE già oggi disponibile, e che nel futuro prossimo dovrà diventare un potente esercito. Tutto resta subordinato all’unanimità del Consiglio europeo ed affidato alla ‘coalizione dei volenterosi’, formata da Stati appartenenti oppure no all’Unione Europea ma non tutti egualmente vogliosi d’impegnarsi né concordanti su tutti i punti strategici per la qualità, intensità, profondità degl’interventi. Il ‘ReArm Europe’ costituisce un grande passo verso la realizzazione della ‘politica di sicurezza e di difesa comune’, caposaldo del Trattato, ma non è il passo decisivo, anche a prescindere dal se, quanto, come verrà impiegata per intero l’imponente massa finanziaria, il cui significato geopolitico e morale rimane tuttavia assolutamente superiore alla cifra in sé e limpidamente esplicito per gli amici, alleati e no, e per i nemici.Eppure, anche considerando tutto, non ci siamo ancora. Perciò difesa nazionale e difesa europea restano la cruna dell’ago anche per il Governo Meloni.
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