Se il web fosse pubblico anziché privatizzato, la Scuola sarebbe meno in pericolo

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Davvero la tecnologia informatica è la panacea di tutti i mali della Scuola? E la Scuola italiana sarebbe la stessa, se il web non fosse stato, fin dalle sue origini, privatizzato?

L’emergenza CoViD-19 ha accelerato enormemente, con la “Didattica a Distanza” (DaD), la consegna della Scuola italiana alle piattaforme web statunitensi. Eppure — lo sottolineammo prontamente allorché ricordammo l’esistenza del GARR, una rete nazionale italiana per la Scuola e per l’università con connettività ad alte prestazioni, di proprietà pubblica, senza fini di lucro — si sarebbe potuto risolvere il problema entro i confini nazionali.

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Padroni dell’informazione, padroni del web: padroni del mondo

Un lustro più tardi i risultati saltano agli occhi: tutta l’informazione, tutto l’entertainment, e adesso anche tutta la Scuola, sono condizionati dal traffico di gigabyte che transitano per i server di Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft e compagnia “digitalizzante”. I colossi di internet appartengono a pochi ultramiliardari.

Possiamo scegliere di non vedere in ciò nulla di strano, osservando il fenomeno con indifferenza o fatalismo (e magari invidia per i “fortunati” onnipotenti straricchi che dominano il pianeta). Pensandoci meglio, però, ci accorgeremmo che la cosa ci riguarda e condiziona, eccome.

Il potere inimmaginabile dei paperoni tecnologici

I fantastiliardari come Elon Musk hanno un potere enorme, di cui soltanto loro dispongono, limitando di fatto la libertà di tutti gli altri esseri umani. In che modo? Condizionando l’informazione, ad esempio; come le recenti elezioni USA hanno ampiamente dimostrato. Non solo: controllando interamente il mercato pubblicitario, essi impongono tutti gli stereotipi di cui la pubblicità si serve per imporre i prodotti, e che mutano il “DNA mentale” dei cittadini. Nemmeno gli oligopolisti delle reti televisive commerciali (come il nostro Silvio Berlusconi) hanno mai avuto un potere così ampio.

Poco a poco gli stramiliardari di web e tecnologia telematica hanno accumulato un potere tale, da condizionare gli Stati nazionali. Possono non pagare tutte le tasse dovute, perché le burocrazie statali utilizzano i loro prodotti: nel 2022 sono riusciti a pagare in Italia imposte per soli 162 milioni (mentre il loro fatturato complessivo ammontava a 9,3 miliardi). Spesso lo Stato è costretto ad accettare il pagamento da parte loro di imposte complessive non superiori a un terzo del dovuto.

Lasciarli fare? Lasciare a costoro anche la Scuola?

È dunque logico e normale continuare a favorirne l’avanzata? Il 7 agosto 2022 il sito web del ministero italiano dell’istruzione annunciava trionfalmente: «PNRR, al via il “Piano Scuola 4.0”: 2,1 miliardi per 100.000 classi innovative e laboratori per le professioni digitali del futuro. Bianchi: “In atto il più grande intervento trasformativo del sistema di istruzione. Con PNRR e risorse europee 4,9 miliardi sulla digitalizzazione”». Strada seguita anche dal dicastero Valditara. Nessun dubbio né incertezza sulle magnifiche sorti e progressive di una scuola digitalizzata e consegnata ai colossi d’oltreoceano.

Nessuna riflessione, ad esempio, sul fatto che i suddetti colossi privatizzino persino la censura dei fori virtuali di internet: i social media. Laddove tutto ha un prezzo, anche le idee assumono un valore monetario (tanto che si parla dei social come marketplace of ideas, mercato delle idee). Pertanto le regole del gioco non le detta lo Stato democratico, ma il padrone del marketplace stesso e della internet platform che lo controlla. Lo Stato ha, in sostanza, delegato ai gestori del web le valutazioni sulla liceità dei contenuti e sulla loro rimozione.

Così nel passato le terre comuni inglesi finirono in pasto ai latifondisti

Come ben sa chi conosce (e ricorda) la Storia, in Inghilterra tra ‘500 e ‘700 le enclosures (recinzioni) delle terre demaniali determinò, con metodi spesso truffaldini e violenti, il passaggio delle terre comuni (demaniali) dai contadini — che ne furono spazzati via — ai proprietari terrieri della borghesia mercantile e della piccola nobiltà. Lo Stato inglese spalleggiò e garantì la formazione dei latifondi con le leggi sulle recinzioni (Enclosures Acts). Il tutto fu favorito dalla dottrina calvinista, base ideologica del capitalismo liberista anglosassone, tuttora globalmente imperante.

Internet: privatizzata appena nata

All’internet la privatizzazione toccò poco dopo la sua nascita. Nata nel 1960 in ambito militare statunitense, la rete mondiale tra calcolatori elettronici si sviluppò con usi civili fin dal 1969, quando quattro università nordamericane si collegarono attraverso i computer. Dal 1990, con linguaggio HTML e protocollo HTTP, la rete iniziò a svilupparsi. Nel 1991 il Centro Europeo di Ricerca Nucleare (CERN) di Ginevra annunciò l’avvio del World Wide Web (www). L’Italia vi arrivò subito, anch’essa per iniziativa pubblica: il primo sito internet d’Italia fu il secondo d’Europa, realizzato dal Centro di ricerca, sviluppo e studi superiori in Sardegna (CRS4), ente della Regione Sardegna.

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Anche negli Stati Uniti, inizialmente la rete era sostenuta dai fondi pubblici dell’agenzia di ricerca governativa NSF (National Science Foundation); ma dal 1995 la NSF non sborsò più un dollaro per sostenerla, sancendone de facto l’abbandono allo sfruttamento commerciale; ossia la privatizzazione.

Libera volpe in libero pollaio

Uno dei miti fondanti del neoliberismo è quello del “libero mercato”: benché tutti sappiano che un mercato davvero “libero” non esiste, perché, laddove le regole le detti il “mercato” stesso (ossia le aziende più forti), esse favoriscono l’eliminazione dei players più deboli e la formazione di oligopoli, con conseguente accentramento di immense ricchezze in pochissime mani: la situazione attuale, appunto.

È pertanto corretto e utile lasciare che le medesime mani gestiscano de facto persino la Scuola? Anche se ciò significherà, nel prossimo futuro, gestire i cervelli umani mediante l’intelligenza artificiale (dalle stesse mani programmata)?





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