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E visto che è tutto uno sferragliare di cervelli e un moltiplicarsi di stati generali per rimettere in piedi il ciclismo italiano, a me questa di Ivan Basso sembra quanto meno un’idea da mettere subito a verbale, assieme a tutte le idee, con pari dignità, della frenetica stagione pensosa.
Partirei da un esempio che Ivan butta lì senza neanche troppo prepararlo: «Io, se devo comprare delle piastrelle, compro Panaria… ».
Non è la chiamata all’autarchia di infame memoria, quando c’era lui, in questo caso è un invito forte al pubblico del ciclismo perchè faccia la sua parte.
«Perchè no. Perchè non considerare anche questo: stiamo tutti cercando il modo di rilanciare il nostro movimento, noi squadre rimaste su piazza siamo chiamate a crescere e migliorare, certo siamo i primi a doverci impegnare per meritarci credibilità, autorevolezza, importanza, e poi sì, certo, con questo meritarci anche i famosi inviti alle grandi corse. Però…».
Però?
«Però tutti dobbiamo fare la nostra parte. E’ bene che la gente lo sappia. Gli sponsor che sono alla base di qualsiasi idea non cadono dai banani: devono essere attratti. Ovviamente contano la serietà della squadra, contano i risultati, ma siccome resta in primo luogo un investimento pubblicitario, gli sponsor guardano anche al ritorno delle vendite, alla diffusione dei loro prodotti».
Se ho capito qualcosa, è un invito a comprare questi prodotti. Mettersi una mano sul cuore e una sul portafoglio.
«Proprio questo. Sarebbe fondamentale che i tifosi facessero la loro parte quando vanno al supermercato…».
I tifosi fanno già una bella parte spendendo soldi e fatica per andare alle corse, aspettando per ore sotto il sole o sotto la pioggia il passaggio della corsa.
«E che il Cielo li benedica. Questo è alla base del nostro sport, è la sua storia di grande disciplina popolare, da strada, che nessuno dovrebbe sognarsi mai di rovinare…».
Ecco, magari anche da parte delle squadre e degli organizzatori, che spesso di fronte all’assedio dei tifosi, nei villaggi di partenza e nei paddock, fanno di tutto per allontanare, per buttare fuori, per mantenere le distanze e alzare muri, non c’è niente di più deleterio che mortificare il bambino a caccia del cappellino…
«Come non essere d’accordo. Anche se da questo punto di vista le nostre squadre non hanno di certo questa colpa: piccole siamo, ma aperte, e ben felici quando la gente viene a cercarci».
Detto questo…
«Detto questo, torno al punto. I nostri tifosi sono tutti consumatori. Possono portare mattoni alla causa consumando i prodotti pubblicizzati dalle nostre squadre. Sono loro che possono aprire il ciclo virtuoso: aumento delle vendite, gradimento dello sponsor, sponsor che già c’è più convinto a restare, nuovi sponsor invogliati a entrare».
Per cui, se domani devo comprare un aspirapolvere, dallo scaffale devo prendere un Polti e lasciare lì il Dyson di tendenza.
«Chi ama il ciclismo deve cominciare a farlo. Non dimentichiamo la nostra storia: ci sono state epoche in cui chi doveva prendere una cucina andava su Scic e Salvarani, chi doveva comprare dei prodotti per l’edilizia sceglieva subito Mapei».
Avere un Pantani aiuta a buttare dentro gente nei Mercatone Uno: cioè, sono le vittorie e la popolarità la vera benzina delle vendite.
«Ovvio. Però noi squadre italiane di adesso non siamo in questa situazione. Reverberi può lottare tutti gli anni per tirare fuori ragazzi interessanti, noi possiamo fare di tutto per tenere Piganzoli in Italia, e vi prego di credere che non è così facile, ce l’hanno chiesto tutti, lui e Pellizzari sono gli unici dell’ultima generazione con buone doti per le corse a tappe, difatti Pellizzari è andato. Noi abbiamo attirato nuovi sponsor, è tornata una banca (Fineco), guarda caso è tornata nel ciclismo anche la Rabobank, buoni segnali. Ma senza un ritorno, gli sponsor giustamente si raffreddano. E’ molto importante, anzi decisivo, che il pubblico oltre a tifare compri anche i nostri prodotti..».
È pronto a sentirsi dire “guarda Basso, ormai fa gli spot pubblicitari”?
«Sono pronto a qualsiasi reazione, pur di salvare il ciclismo italiano. Io facendo la mia parte, gli altri la loro. E perchè non avvertire la gente che anche nella vita di tutti i giorni è possibile dare una mano. Il mio non è uno spot pubblicitario».
Come lo chiama allora?
«È un’idea cui magari nessuno pensa mai. Ma comprare un prodotto scritto sulle nostre maglie è il primo passo per rimettere in piedi il meccanismo a catena. Per tanti sponsor, aumentare le vendite vale più delle vittorie«.
Come tira bene l’acqua al suo mulino.
«Ecco, se la gente la prende così, ritiro tutto. Possono dirmi qualunque cosa, ma non che questo è egoismo, o interesse personale. In questo caso, l’interesse mio è l’interesse di questo benedetto sport, che dobbiamo a tutti i costi salvare anche in Italia».
Ci crede?
«Ci credo».
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