La colonna di fumo nero era visibile persino dal centro di Madrid. Venti chilometri più a sud, a Fuenlabrada, le fiamme stavano divorando un intero capannone da 8mila metri quadrati nella zona industriale di Cobo Calleja. Undici squadre di Bomberos, i Vigili del fuoco spagnoli, non sono bastate a spegnere subito il rogo: divampato intorno alle sei e mezza del mattino del 28 febbraio, ha continuato a bruciare fin oltre mezzogiorno. Nessun ferito perchè a quell’orario all’interno del capannone non c’era nessuno. Solo distruzione e paura tra gli oltre cinquecento capannoni che a Cobo Calleja sono gestiti da varie società cinesi. Un timore moltiplicato dai dubbi rimasti irrisolti: chi ha scatenato l’inferno? E per quale motivo? Quell’incendio, infatti, non è un caso isolato: è doloso e fa parte di un complesso scenario criminale. Ne sono convinti gli investigatori spagnoli, ma soprattutto quelli italiani. Le dinamiche del rogo di Fuenlabrada, infatti, sono quasi identiche a quelle messe in pratica 1.500 chilometri più a est: a Prato, in Toscana, dove si sta combattendo una vera e propria faida a colpi di incendi dolosi, pestaggi e tentati omicidi.
L’escalation criminale – Combattuta da fazioni interne alla comunità cinese, la stampa locale l’ha ribattezata “guerra delle grucce“: l’obiettivo è accaparrarsi il mercato degli appendiabiti, che nel più grande distretto del fast fashon d’Europa vale più di cento milioni di euro all’anno. Ma la faida riguarda anche le spedizioni e la logistica nel settore della moda: un business gigantesco, visto che dal 2023 ai primi sei mesi del 2024 sono state importate dalla Cina merci per quasi un milardo in mezzo di euro. Un affare compiuto con una massiccia evasione dell’Iva, grazie alle società “apri e chiudi“: ricevono le forniture dalla madrepatria, ma non pagano le imposte e chiudono i battenti. Poi vengono aperte nuove compagnie, che proseguono la lavorazione sempre con gli stessi macchinari e lo stesso personale, come ha ricordato il procuratore Luca Tescaroli in un’intervista al Corriere della Sera. Un business che si basa su dipendenti spesso assunti in modo irregolare, sfruttati su turni lunghi anche 15 ore al giorno per sette giorni alla settimana: in questo modo vengono create imprese altamente competitive che mettono fuori mercato la concorrenza. Non potendo incidere sui costi e sulle tasse, dunque, la competizione si gioca tutta su un altro campo: quello della violenza. Ecco perché negli ultimi mesi a Prato si è scatenata un’escalation: roghi appiccati grazie a pacchi incendiari, inviati nei capannoni da colpire e innescati nello stesso momento grazie a meccanismi radiocomandati. È quello che è successo all’alba del 16 febbraio, con un attentato triplo: a fuoco sono andati tre capannoni in tre comuni diversi (Prato, Seano, Campi Bisenzio), ma innescati praticamente in contemporanea. I congegni incendiari erano contenuti da pacchi inviati da finti indirizzi in Francia. Le ditte colpite (Acca, Elt Express ed Xsd) sono considerate collegate tra loro, come praticamente tutte le società minacciate sistematicamente negli ultimi due anni. Una vera e propria aggressione compiuta da un altro gruppo che vuole accaparrarsi con la forza il mercato delle grucce. Il triplo incendio del 16 febbraio, infatti, è solo l’ultimo atto violento di una serie cominciata più di due anni fa.
Prato violenta – A collegare quelli che all’inizio sembravano episodi separati sono state le indagini della procura di Prato, guidata dal luglio scorso da Tescaroli. “È in atto una contrapposizione tra gruppi imprenditoriali cinesi antagonisti per il controllo del redditizio mercato della produzione delle grucce e della logistica che ha registrato la commissione di plurimi delitti a base violenta”, scrive il magistrato in una relazione inviata al ministero della Giustizia nell’ottobre scorso. Di guerra delle grucce a Prato si era parlato già sette anni fa con la maxi inchiesta China Truck: è ancora in corso il processo a 58 persone, accusate di associazione mafiosa, estorsione, usura e traffico di droga. L’indagine risale al 2018: da quel momento le acque sembravano essersi calmate. Almeno fino al 5 agosto 2022, quando a Prato va in onda una scena da film: poco prima della mezzanotte, quattro uomini incappucciati e armati di pistola assaltano un furgone della ditta Acca srl e lo incendiano con due bottiglie di benzina, dopo aver ordinato all’autista di allontanarsi. Solo il mese prima il titolare di quella società aveva costituito una nuova srl, la Nova plastic: non era ancora operativa, ma avrebbe cominciato a produrre grucce. È sempre per gli appendiabiti che il 23 aprile del 2024 viene massacrato un altro imprenditore, pure lui cinese: in tre gli propongono di fare un maxi ordine, lui rifiuta e viene pestato. Due mesi dopo, tocca a uno dei titolari della ditta di logistica Shunda: lo aggrediscono il 14 giugno e poi ancora l’8 luglio. Il 15 luglio va a fuoco un magazzino della società. Il 18 giugno, all’hotel M2 di Prato, la spedizione punitiva scatta ai danni di Haifei Zheng, imprenditore che lavora nel settore logistica, trasporti e grucce: le botte degli aggressori gli procurano anche alcune lesioni. Il 6 luglio si sale di livello: un altro imprenditore cinese, già pregiudicato per omicidio volontario, viene accerchiato all’interno di un bar. Lo prendono a calci e pugni, poi qualcuno spacca una bottiglia di birra, un altro tira fuori un coltello: lo colpiscono più volte all’addome, all’ospedale devono sottoporlo a numerosi interventi chirurgici per salvargli la vita. Gli uomini del commando, intanto, si erano dati alla fuga: quattro saranno poi fermati in Calabria, uno soltanto dopo aver passato lo Stretto, a Catania.
Le minacce mafiose – Tra pestaggi a colpi di coltello e roghi, la scia di sangue non si ferma. Il 13 luglio è la volta di un indiano che ha appena effettuato una consegna al magazzino della ditta Blanc Bleu, detta Ou Lian: viene massacrato a colpi di bastone e tubi di ferro. La vittima lavora per ELL Europe Logistics Ltd, ditta di trasporti che ha sede in Inghilterra: due giorni dopo uno dei tir della compagnia viene dato alle fiamme in via Nottingham, sempre a Prato. Il rogo distrugge anche il capannone della Shunda logistica: uno dei titolari occulti della società è considerato un esponente di primo piano della malavita cinese. Sullo sfondo della guerra delle grucce, infatti, si muovono associazioni criminali di evidente matrice mafiosa. Basti pensare a quello che è successo la notte del 2 ottobre, davanti al Wall art aparthotel: l’ennesimo rogo, l’ennesima auto incendiata. Questa volta, però, con una novità: a pochi metri dal veicolo, è stata trovata una bara, con all’interno una foto del proprietario del mezzo dato alle fiamme. Una minaccia che sarà forse stata compiuta da clan cinesi, ma che segue i rituali tipici della ‘ndrangheta e di Cosa nostra.
Le banche sommerse – Quella che sta avvenendo a Prato è in pratica una sorta di contaminazione mafiosa. A ricordare la geografia criminale della realtà toscana è sempre Tescaroli. “Il suo territorio è stato agli inizi degli anni Novanta impiegato da esponenti di Cosa nostra, riconducibili al gruppo dei corleonesi, quale base logistica per l’organizzazione della strage di via dei Georgofili del 27 maggio 1993″, scrive l’ex procuratore aggiunto di Firenze, titolare delle indagini sulle bombe del 1993. Ma in Toscana sono ancora “oggi presenti e radicati soggetti calabresi e campani, i quali risultano in contatto con conterranei stabilmente”, aggiunge il procuratore, nella sua relazione inviata in via Arenula. A Prato, in pratica, le associazioni criminali italiane sono entrate in contatto con i clan cinesi, cioè le cosiddette Triadi: si tratta di una sorta di franchising criminale che si espande nel mondo, parallelamente ai flussi migratori e finanziari provenienti da Pechino. “Sono organizzazioni che condividono la stessa simbologia, gli stessi codici ma sono autonomi: non esiste una Triade unica, col capo dei capi al vertice”, ha raccontato al fattoquotidiano.it il professor Antonio Nicaso, docente alla Queen’s University di Kingston, in Canada. Esperto di organizzazioni criminali, Nicaso spiega come la capillare diffusione delle comunità cinesi nel mondo abbia garantito alle Triadi la possibilità di gestire praticamente in esclusiva il mercato del denaro contante. Un aspetto confermato da Tescaroli, durante la sua audizione davanti alla Commissione sullo Sfruttamento del lavoro del Senato. “Sono state individuate vere e proprie banche clandestine, chi le gestisce ha rapporti con esponenti di organizzazioni criminali mafiose attive nel nostro Paese”, ha detto il magistrato davanti ai parlamentari presieduti da Tito Magni. In pratica i clan cinesi si sono conquistati la fiducia di mafiosi e ‘ndranghetisti, visto che con le loro banche clandestine riescono a spostare enormi capitali in tutto il mondo: in questo modo agevolano gigantesche operazioni di narcotraffico e riciclaggio a migliaia di chilometri di distanza.
La contaminazione delle mafie – Insomma: la guerra delle grucce è solo la punta dell’iceberg di un business criminale globale. Una faida che non si combatte solo in Italia. Secondo gli inquirenti, infatti, il gigantesco rogo di Fuenlabrada, a venti chilometri da Madrid, è collegato alla guerra di Prato. E nello stesso quadro rientrano anche atti incendiari compiuti in Francia. L’ufficio inquirente guidato da Tescaroli ha già attivato le procedure di collaborazione investigativa con spagnoli e francesi, mentre il magistrato ha spiegato alla Commissione parlamentare sullo Sfruttamento del lavoro che un passo avanti nelle sue indagini è stato compiuto grazie alla testimonianza di alcune vittime. “Ho cercato di far passare l’idea che qui lo Stato è un interlocutore credibile. In questo modo si sono registrati episodi che hanno consentito di penetrare il muro di omertà della comunità cinese”, ha raccontato Tescaroli, che ha ottenuto la collaborazione di alcune persone coinvolte nella faida. Ecco perché il procuratore ha proposto ai parlamentari di estendere la normativa su collaboratori e testimoni giustizia anche alla criminalità straniera: “Oggi si può applicare solo a cittadini italiani. Ma io credo che gli strumenti legislativi debbano essere rapportati all’evolversi della criminalità organizzata nel nostro Paese”. Dopo essere stata la culla delle principali organizzazioni mafiose, l’Italia si sta trasformando in una sorta di laboratorio criminale per i clan di mezzo mondo.
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