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La scorsa settimana ha fatto discutere la decisione della corte di cassazione di accogliere il ricorso di un cittadino eritreo, ribaltando la sentenza della corte di appello di Roma del 13 marzo del 2024 che gli aveva negato il risarcimento dei danni subiti quando è stato trattenuto a bordo della nave della guardia costiera italiana “Ubaldo Diciotti ”, dal 16 al 25 agosto 2018. Era stato prima negato l’attracco e poi lo sbarco di un gruppo di 177 migranti soccorsi nel Mediterraneo centrale per undici giorni, per ordine dell’allora ministro dell’interno Matteo Salvini.
Il ragazzo eritreo, che nel frattempo ha ottenuto lo status di rifugiato nel Regno Unito, faceva parte di un gruppo di 44 persone che nel dicembre 2018 aveva presentato una richiesta di risarcimento allo stato italiano. Per la vicenda, il tribunale dei ministri di Palermo (una sezione specializzata del tribunale ordinario competente per i reati commessi dal presidente del consiglio e dai ministri nell’esercizio delle loro funzioni) indagò l’allora ministro Salvini con l’accusa di sequestro di persona, ritenendo illegittimo il trattenimento dei profughi sulla nave militare.
Il caso fu poi passato al tribunale di Catania per competenza territoriale e la procura chiese l’archiviazione. Il tribunale dei ministri la respinse chiedendo al senato l’autorizzazione a procedere per il leader della Lega, ma la giunta parlamentare per le autorizzazioni a procedere votò contro e impedì che il procedimento penale contro Salvini andasse avanti.
“Abbiamo incontrato un gruppo di una quarantina di eritrei a settembre del 2018, subito dopo il loro trasferimento a Rocca di Papa, dopo il blocco della nave Diciotti”, racconta Giovanna Cavallo, coordinatrice dell’associazione Legal aid, che ha seguito il ricorso dell’uomo insieme alle associazioni Baobab experience, Medu e A buon diritto.
“I migranti sembravano spaesati e non si erano resi conto pienamente di quello che avevano subìto. Li abbiamo informati sui loro diritti e hanno deciso di fare ricorso per ottenere un risarcimento in sede civile”, continua Cavallo, che spiega di essere rimasta in contatto telefonico con la maggior parte di loro.
Qualche settimana dopo la firma delle procure agli avvocati, la maggior parte dei migranti ha lasciato l’Italia per raggiungere familiari e amici in paesi europei ritenuti più accoglienti, ma il processo è andato avanti fino alla sentenza di appello del 2014, che ha negato il risarcimento. Ma la corte di cassazione ha dato ragione all’eritreo escludendo che “il rifiuto dell’autorizzazione allo sbarco dei migranti soccorsi in mare protratto per dieci giorni possa considerarsi quale atto politico sottratto al controllo giurisdizionale”.
Per la corte “l’azione del governo, ancorché motivata da ragioni politiche, non può mai ritenersi sottratta al sindacato giurisdizionale quando si ponga al di fuori dei limiti che la costituzione e la legge gli impongono, soprattutto quando siano in gioco i diritti fondamentali dei cittadini (o stranieri), costituzionalmente tutelati”.
Inoltre, secondo i giudici della cassazione la responsabilità civile per i danni subiti dai naufraghi a bordo della nave Diciotti non può essere esclusa per il fatto che il senato avesse negato l’autorizzazione a procedere nei confronti del ministro, perché in questo caso sono stati attaccati “diritti della persona inviolabili e come tali non comprimibili né suscettibili di minorata tutela di compromesso”.
Infine, la sentenza richiama l’Italia all’obbligo di soccorso in mare secondo le convenzioni internazionali, e stabilisce che “lo stato responsabile del soccorso deve organizzare lo sbarco nel più breve tempo ragionevolmente possibile (convenzione Sar, capitolo 3.1.9), fornendo un luogo sicuro in cui terminare le operazioni di soccorso. È solo con la concreta indicazione del place of safety (pos), e con il successivo arrivo dei naufraghi nel luogo sicuro designato, che, infatti, l’attività di search and rescue (ricerca e soccorso) può considerarsi conclusa”.
“Questa ordinanza di risarcimento è un precedente importante”, commenta Giovanna Cavallo, secondo la quale si può mettere in discussione la legittimità di assegnare porti di sbarco molto lontani, come avviene ormai con il decreto Piantedosi per tutte le navi delle imbarcazioni umanitarie, o anche di trasferire i migranti in Albania per molti giorni come è avvenuto a tre gruppi di richiedenti asilo a partire dall’ottobre 2024. “La cassazione chiarisce che i naufraghi devono essere portati a terra più velocemente possibile e non possono essere privati della libertà personale per giorni come è avvenuto a tutti i richiedenti asilo che sono stati trasportati in Albania negli ultimi mesi”.
Il giurista, esperto di diritto del mare, Fulvio Vassallo Paleologo è della stessa opinione: “La valutazione sulla tollerabilità del trattenimento a bordo della nave soccorritrice potrebbe comportare conseguenze rilevanti sia sulla ammissibilità dell’assegnazione di porti sicuri di sbarco ‘vessatori’, eccessivamente lontani dal luogo del soccorso, sia sulle ipotesi di trattenimento ai fini dell’identificazione, nel caso dei naufraghi soccorsi da navi militari italiane in acque internazionali, e poi bloccati a bordo per giorni, in attesa di un successivo trasferimento verso i centri di detenzione previsti dal protocollo Italia-Albania”.
Il 7 marzo, dopo la pubblicazione dell’ordinanza, la presidente del consiglio Giorgia Meloni ha criticato la corte sui social network definendo la decisione “opinabile e frustrante”, mentre il vicepremier Matteo Salvini ha parlato di una decisione “vergognosa”, di “un’altra invasione di campo indebita”. Alle reazioni del governo ha risposto con una nota la prima presidente della corte, Margherita Cassano, dicendo: “Le decisioni della corte di cassazione, al pari di quelle degli altri giudici, possono essere oggetto di critica. Sono invece inaccettabili gli insulti che mettono in discussione la divisione dei poteri su cui si fonda lo stato di diritto”.
Questo articolo è stato tratto dalla newsletter Frontiere.
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