Mediterraneo al bivio tra instabilità e sviluppo sostenibile: il rapporto

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Giovedì 13 marzo alle 10.00 sarà presentato a Napoli, presso l’Aula Magna dell’Università Parthenope (via Acton 38), “Mediterranean Economies 2024” (ME24) ventennale Rapporto curato dall’Istituto di studi sul Mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ismed). Temi al centro del volume, le priorità delineate dall’Agenda per il Mediterraneo: stato di diritto e sviluppo umano, resilienza, prosperità e transizione digitale, pace e sicurezza, migrazione e mobilità, transizione verde, resilienza climatica, energia e ambiente. All’evento prenderanno parte la Presidente del Cnr, Maria Chiara Carrozza, il Viceministro degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale Edmondo Cirielli, il Direttore del Dipartimento di Scienze umane e sociali, patrimonio culturale del Cnr Salvatore Capasso (Cnr-Dsu), oltre all’intervento degli autori del volume.

“La Dichiarazione di Barcellona, adottata nel novembre 1995, mirava all’integrazione regionale tra il Mediterraneo meridionale e l’Euro-Mediterraneo, ma, da allora, l’instabilità politica, i conflitti e le fragilità economiche hanno ampliato il divario economico tra le due sponde. L’Agenda per il Mediterraneo dell’UE mira a colmare il divario tra le due sponde attraverso la costruzione di partnership e un investimento di 7 miliardi di euro per il periodo 2021-2027. L’obiettivo, spiega Salvatore Capasso, curatore del volume e direttore del Cnr-DSU, è mobilitare fino a 30 miliardi di euro in investimenti privati e pubblici nella regione nel corso del prossimo decennio, nell’ambito dello Strumento di Vicinato, Cooperazione allo Sviluppo e Cooperazione Internazionale. Sebbene le iniziative dell’UE siano essenziali, ritengo che esse siano insufficienti per affrontare i problemi strutturali più profondi che hanno afflitto la regione per decenni”.

La dipendenza dal petrolio ha limitato la diversificazione economica nel Mediterraneo meridionale, contribuendo a rallentare la crescita e ad ampliare il divario con l’Euro-Mediterraneo. Sebbene Paesi come Egitto e Turchia abbiano dimostrato resilienza e capacità di adattamento, altre economie, come quelle di Giordania e Libano, hanno registrato un forte calo del PIL pro capite, aggravando le disuguaglianze economiche. L’instabilità politica, insieme agli shock globali, come la crisi finanziaria e la pandemia di COVID-19, hanno ulteriormente compromesso le prospettive di crescita, mentre l’aumento del debito esterno solleva preoccupazioni sulla sostenibilità economica della regione. La dipendenza da settori con produzioni non stabili, come le risorse energetiche e le rimesse, ha ridotto la capacità dei Paesi mediterranei di sviluppare economie più resilienti agli shock globali.

Dichiarazioni e dati

“Per invertire questa tendenza e ridurre il divario con l’Euro-Mediterraneo, sono indispensabili riforme strutturali, stabilità politica e una governance economica più efficace. Solo attraverso un forte impegno per la cooperazione internazionale e strategie di sviluppo sostenibile sarà possibile costruire un Mediterraneo più stabile e prospero”, prosegue Salvatore Capasso. Sintetizzando la situazione economica del Mediterraneo Meridionale, infatti, si evidenzia una crescita del divario con l’Europa. A 30 anni dalla Dichiarazione di Barcellona, i paesi del Mediterraneo meridionale non solo non hanno colmato il gap economico con l’Europa, ma in molti casi lo hanno ampliato. Il PIL pro capite della Giordania, ad esempio, è sceso dal 26,6% della media euro-mediterranea nel 1994 al 19,9% nel 2021, mentre il Libano è passato dal 33,4% al 25,9%. La Libia, un tempo tra le economie più forti della regione, ha visto il suo PIL pro capite crollare dal 68,3% al 39,6% della media europea.

Diverse le criticità riscontrabili nell’area. Incertezza e crisi politiche hanno bloccato la crescita. Guerre civili, instabilità politica e cattiva gestione economica hanno frenato lo sviluppo. Il Libano è in piena crisi finanziaria dal 2019, con iperinflazione e collasso bancario, aggravati dall’esplosione del porto di Beirut nel 2020. La Siria, devastata da oltre un decennio di guerra, ha visto il suo PIL pro capite crollare al 6,4% della media euro-mediterranea. Anche la Palestina è intrappolata in un conflitto che limita ogni possibilità di sviluppo economico. Nel 2021, alcune economie hanno registrato una forte ripresa dopo la crisi COVID, con la Libia in crescita del 153,5%, seguita da Turchia (+11,4%) e Marocco (+8%). Tuttavia, nel 2023 tale crescita si è stabilizzata a livelli bassi: Turchia +4,5%, Tunisia e Libano quasi a zero.

“Senza riforme sostanziali e stabilità politica, il Mediterraneo meridionale rischia di restare bloccato in una stagnazione economica. La crisi del debito, la dipendenza da fonti energetiche tradizionali e l’instabilità politica mettono a rischio il futuro della regione”, aggiunge Salvatore Capasso. Un tema cruciale per l’area e centrale per l’agenda europea è quello della transizione energetica. Nel settore energetico, la transizione è in corso ma petrolio e gas naturale restano dominanti. La regione MENA (Middle East and North Africa) si conferma tra i principali produttori e consumatori di combustibili fossili, con Arabia Saudita e Iran tra i maggiori utilizzatori (7,15 e 3,69 exajoule di petrolio e 4,33 e 8,24 exajoule di gas). In Europa, l’Italia è tra i paesi con il più alto consumo di gas naturale (2,35 exajoule). Le importazioni petrolifere europee sono aumentate dell’11,2% nel 2022, superando i 14 milioni di barili al giorno, mentre le esportazioni dal Medio Oriente sono cresciute dell’8,7%. Nonostante la spinta verso le energie rinnovabili, la dipendenza dai fossili persiste. Spagna, Francia e Italia stanno accelerando sulle rinnovabili, in particolare sull’eolico e solare, ma petrolio e gas restano ancora fondamentali. La regione MENA, invece, avanza più lentamente nella transizione, con l’Iran che ha prodotto 259,4 miliardi di metri cubi di gas naturale, pari al 6,4% della produzione mondiale.

“In sintesi, la transizione energetica è iniziata, ma il petrolio e il gas continuano a essere centrali. L’Europa spinge sulle rinnovabili, mentre il Medio Oriente e il Nord Africa restano fornitori strategici nel mercato globale”, conclude Giovanni Canitano, curatore del volume e autore di un capitolo su transizione e sicurezza energetica.



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