L’Europa disorientata prepara un futuro incerto –

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Il disimpegno statunitense e l’apertura a Mosca disorientano l’Europa, che cerca di correre ai ripari. Un tardivo attivismo su cui pesano divisioni e debolezze.

Ci sono decenni in cui non accade nulla e settimane in cui accadono decenni. Viviamo decisamente in questa seconda fase. Guardandola dalla prospettiva italiana e complessivamente europea, ossia da lente disabituata a leggere gli eventi con sguardo geopolitico e nell’ottica delle grandi potenze, tutto ciò è straniante. È dunque così che in queste settimane qualsiasi analisi potrebbe assumere lunghezza e profondità di un trattato e perdere comunque validità il giorno dopo, travolta dal rincorrersi dei nuovi eventi. Cerchiamo però di stabilire alcuni punti di orientamento da una prospettiva europea.

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Decenni di guerra fredda hanno visto l’Europa occidentale quale argine statunitense all’URSS e strumento della proiezione di potenza a stelle e strisce. Il crollo sovietico ma il perdurante timore della potenza russa hanno allargato la proiezione di Washington a est via NATO, rimasta in vita in funzione anti-Mosca. La contestuale crescita della Cina ha reso tuttavia sempre più incoerente dal punto di vista geopolitico la postura anti-russa di Washington, necessaria però a mantenere in vita la minaccia di Mosca per conservare influenza sul Vecchio Continente. D’altronde la necessità di spostare sempre più risorse verso il contenimento della Cina è questione di cui si discute da tempo e sulla quale a Washington ci sono opinioni variamente concordi. Tuttavia la constatazione, a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina, che la macchina bellica di Mosca è forse addirittura più debole di quanto si pensasse ha convinto sempre di più i piani alti statunitensi della possibilità di togliere risorse dal Vecchio Continente. Non solo: l’avvicinamento russo alla Cina, scelta per Mosca resasi inevitabile dall’ostilità occidentale, rappresenta un pericolo facilmente risolvibile riportando Mosca al dialogo con l’Occidente: l’allineamento russo-statunitense all’ONU sul voto di condanna all’aggressione russa dell’Ucraina – su cui anche Pechino si è inizialmente astenuta – rappresenta plasticamente ciò che sta avvenendo.

Fino a qua la logica geopolitica di ciò che sta avvenendo risulta abbastanza lineare. Emerge tuttavia un attore non protagonista di questo riassestamento: non solo l’Ucraina ma l’intera Europa, che fino a oggi ha potuto godere dell’ombrello protettivo statunitense e deve ora pensare a un’alternativa, dopo averne discusso in modo semiserio per decenni. L’Europa ha l’urgenza di trovare un proprio posto all’interno del grande riequilibrio in corso tra grandi potenze e lo deve fare da una posizione di debolezza, frutto della miopia degli ultimi decenni. Giacché dire che l’asse euroatlantico non esista più è forse troppo frettoloso, affermare che esso non sarà più ciò che è stato finora appare invece una certezza. Per la gioia di Mosca e Pechino.

Schizofrenia europea

È da questo stato delle cose che scaturisce la schizofrenia europea delle ultime settimane, conseguenza del panico generato dall’arretramento USA. Tutto ciò si è tradotto nel sempiterno dibattito sulla difesa europea: ciclico ritorno di un’idea da sempre discussa e oggi drammatica urgenza da affrontare come sempre troppo tardi. Il dibattito si è sostanziato innanzitutto nell’annuncio da parte della presidente della Commissione Europea Von der Leyen di un fondo da 150 miliardi di euro, a salire potenzialmente fino a 800, da investire in spese militari. Una cifra che rappresenterebbe un asset economico di grandissimo valore per consentire una qualche forma di difesa europea, puntando sul risparmio grazie ad acquisti comuni e sull’interoperabilità delle diverse forze armate europee. A sottolineare l’urgenza dei tempi c’è la possibilità di sforare i margini sul debito.

Ma quando si discute di difesa europea protagonista è sempre Parigi che si propone come capofila, forte dell’essere l’unica potenza UE a possedere l’arma atomica, offrendone la protezione ai propri partner ma conservando per sé la gestione dei codici. Chiaro tentativo di accrescere la propria influenza, apprezzato da vari partner europei in mancanza di alternative e facilmente utilizzabile da Mosca per dipingere Parigi con tratti imperialisti. Infine l’altro pilastro europeo (in profonda crisi), la Germania: il probabile prossimo cancelliere tedesco Merz, dopo aver attaccato l’atteggiamento dell’amministrazione USA nei confronti di Zelensky, ha annunciato la volontà di continuare a sostenere l’Ucraina e ha fatto un appello per una difesa comune , anche aumentando il debito. Per dire in che tempi viviamo.

In gioco il futuro del continente

A dimostrazione però di come la questione sia più grande della sola UE c’è la partecipazione attiva e il protagonismo al dibattito in corso di attori quali Regno Unito e Canada. Quanto questo rinnovato attivismo europeo sia sufficiente è questione alquanto dubbia. D’altronde i Paesi europei hanno aumentato negli ultimi anni la spesa in difesa ma il livello attuale delle forze armate europee, notevolmente indebolite negli uomini e nei mezzi rispetto a un paio di decenni fa, non è sufficiente a rendere credibile allo stato attuale una difesa autonoma europea: decenni sotto il rassicurante ombrello USA lasciano il segno. Per questo molti Paesi, soprattutto est europei (tra cui i baltici, i più vulnerabili oggi verso Mosca ma neanche invitati a molti summit) continuano ad affermare di vedere il riarmo europeo in un’ottica complementare e non sostitutiva alla NATO. A pesare su questo c’è innanzitutto il disorientamento dettato dal terremoto in corso ma anche la realistica consapevolezza di non essere pronti all’autonomia militare.

Pensare, da una prospettiva italiana ed europea, che ciò che sta avvenendo oggi intorno all’Ucraina riguardi solo il futuro di Kiev è cieca illusione. Pensare che ci sia in gioco il futuro dell’UE e non dell’intera Europa altrettanto. Se la pace è l’auspicio di tutti, l’intera Europa deve impegnarsi affinché questa pace per lei non sia – come veniva cantato alla fine della guerra fredda – una pace terrificante.

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