Il sogno di Meloni e Salvini: sovranità illimitata

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«Sentenza della Cassazione sulla Diciotti? Ennesima vergogna. Chiedere dopo anni che siano i cittadini italiani a pagare per la difesa dei confini, di cui ero orgogliosamente protagonista, è indegno. Paghino i giudici e accolgano i clandestini, se ci tengono tanto». «In sostanza, per effetto di questa decisione, il Governo dovrà risarcire – con i soldi dei cittadini italiani onesti che pagano le tasse – persone che hanno tentato di entrare in Italia illegalmente, ovvero violando la legge dello Stato italiano». Queste le parole con cui, rispettivamente, l’attuale ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, e la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, hanno accolto la pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione che ha stabilito che il Governo dovrà risarcire alcuni dei 177 migranti che si trovavano a bordo della nave Diciotti; si tratta della nave della Guardia Costiera italiana che, nell’agosto 2018, aveva effettuato un’operazione di soccorso al largo di Malta e a cui l’allora ministro dell’Interno Salvini aveva impedito di sbarcare per quasi dieci giorni, nonostante la nave si trovasse già ormeggiata nel porto di Catania.

Si tratta di reazioni che, in un clima di crescente delegittimazione della magistratura da parte degli organi di Governo impongono di andare oltre il mero commento della sentenza o le riflessioni sul (fondamentale) principio di diritto stabilito dai giudici della Corte di cassazione, quello cioè per cui rappresenta un «principio cardine di uno Stato costituzionale la giustiziabilità di ogni atto lesivo dei diritti fondamentali della persona». La loro portata è in grado di mettere in discussione, come affermato dalla prima presidente della Corte di cassazione, in un comunicato stampa, «la divisione dei poteri su cui si fonda lo Stato di diritto».

Ad essere chiamato in causa altro non è infatti che il rapporto tra politica e giurisdizione: all’interno di un ordinamento costituzionale, al giudice, non più mera “bocca della legge”, è richiesto di tutelare chi è più debole e discriminato nei confronti di chi è maggioranza, sia essa politica, sociale o culturale (come tale in grado di proteggersi da sé), ripristinando – attraverso l’applicazione della legge e della Costituzione – l’ordine giuridico violato, anche quando la violazione cui è necessario offrire rimedio venga posta in essere in nome della sovranità popolare. Se al contrario l’azione politica, solo perché esercitata in nome del popolo, inizia a mettere in discussione questo compito attribuito dalla Costituzione alla magistratura, ad essere travolto non può che essere l’equilibrio tra i poteri, su cui poggia l’intera teoria dei diritti fondamentali e, nei fatti, l’idea stessa di democrazia costituzionale.

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È questa la reale posta in gioco della costante (e sempre più violenta) delegittimazione della magistratura cui stiamo assistendo: dietro la rivendicazione del diritto di criticare le decisioni giudiziarie, da parte di tutti, anche di chi riveste cariche di Governo, si cela la volontà di riportare il magistrato a rivestire quel ruolo funzionariale, verticistico e deresponsabilizzato, tipico del passato, in luogo di quello indipendente, non legato ad interessi di parte, ma organo di giustizia, su cui incombe l’obbligo di far rispettare la legge e la Costituzione e promuovere le sanzioni previste per chi la trasgredisce, senza alcuna distinzione, come atto dovuto e non soggetto ad alcuna valutazione di opportunità politica o di altro genere. Preparando così, non da ultimo, il terreno per la riforma costituzionale della giustizia, oggi in discussione in Parlamento, destinata, se approvata, a trasformare radicalmente il sistema di garanzie istituzionali dell’indipendenza dei magistrati come singoli e dell’ordine giudiziario nel suo complesso.

Rivendicare l’esercizio di una pretesa azione politica in nome di una (presunta più che reale) corrispondenza con la volontà popolare, significa negare il senso stesso di una Costituzione; ancora di più lo è il rivendicare l’impunità di un’azione politica anche quando essa determini una lesione dei diritti fondamentali che danno origine a quelle forme di responsabilità, civile, penale e finanche, come in questo caso, erariale, cui la stessa Carta fondamentale vincola anche i membri del Governo. Alla Costituzione è affidato il compito di tracciare i confini del processo di realizzazione di una comunità politica sovrana, cui tutti partecipano; significa che la sovranità del popolo esiste solo nei limiti e nelle forme in cui la Carta Fondamentale la organizza, la riconosce e la rende possibile: «fuori della Costituzione e del diritto non c’è la sovranità, ma l’arbitrio popolare, non c’è il popolo sovrano, ma la massa con le sue passioni e con la sua debolezza» (C. Esposito, Commento all’art. 1 della Costituzione (1948), ripubblicato in La Costituzione italiana. Saggi, Padova, 1954, p. 11).



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