Con un comunicato diffuso pubblicamente, un consistente gruppo di attiviste, tra cui l’intero collettivo di Obiezione Respinta, ha annunciato la propria fuoriuscita dall’assemblea di Non Una di Meno Pisa. E lo hanno fatto aprendo un profilo Instagram con un gioco di parole imperniato sul nome del movimento: “Non una di Meno – Con tante di noi in meno” La decisione, maturata dopo mesi di tensioni interne, viene attribuita a un’egemonia schiacciante di alcune realtà antagoniste e a dinamiche di prevaricazione e silenziamento che, secondo le attiviste uscite, hanno reso impossibile la prosecuzione di un percorso comune.
L’allontanamento si è visto già durante la manifestazione dell’8 marzo: il gruppo che ha deciso di allontanarsi dall’assemblea non ha infatti partecipato al corteo e alle azioni a Pisa, anche se la manifestazione in città è stata comunque partecipata e con buoni numeri.
«Non ci sentivamo più libere di prendere parola»
Nel comunicato, le fuoriuscite raccontano il progressivo deteriorarsi del clima all’interno dell’assemblea pisana: «Molte di noi – e tante altre compagne che si sono progressivamente allontanate dal movimento – non si sentivano più libere di prendere parola per paura di essere aggredite o silenziate». A loro dire, la dialettica interna sarebbe stata soffocata da atteggiamenti autoritari e poco inclini al confronto. L’assemblea, che inizialmente si era costituita come spazio aperto e inclusivo per tutte le soggettività femministe e transfemministe della città, avrebbe visto invece imporsi una gestione verticistica da parte di alcuni collettivi specifici.
L’egemonia dei collettivi antagonisti e le richieste inascoltate
Secondo le attiviste fuoriuscite, il nodo pisano di Non Una di Meno non sarebbe più lo spazio pluralista nato nel 2016. Al contrario, le decisioni sarebbero sempre più influenzate da collettivi antagonisti specifici: «All’interno del nodo rimane un’egemonia da parte di realtà antagoniste quali Newroz, Mala Servanen Jin e CUA».
«Paura di essere silenziate e comportamenti aggressivi anche durante le manifestazioni»
Due sono le questioni che sollevano le fuoriuscite. «Sul piano interno, da tempo, in assemblea, molte di noi – e tante altre compagne che si sono progressivamente allontanate dal movimento – non si sentivano più libere di prendere parola per paura di essere aggredite o silenziate. Sul piano esterno, alcune componenti dell’assemblea hanno agito comportamenti aggressivi e prevaricatori, sia durante manifestazioni cittadine che in altri percorsi politici». A queste fratture sarebbero seguiti dei tentativi di ricomporre che però sarebbero andati male secondo il racconto: «assemblea abbiamo fatto notare la gravità di questi fatti: abbiamo provato a chiedere a chi aveva agito tali comportamenti di fare innanzitutto un passo indietro, e all’assemblea tutta di fermarsi e fare un percorso interno per riflettere su quanto accaduto, sospendendo le iniziative pubbliche. Dall’altra parte non c’è stata alcuna apertura o disponibilità a mettersi in discussione, ma anzi gli atteggiamenti problematici e violenti sono stati addirittura rivendicati. Tutto questo a pochi giorni dal 25 novembre e dalla manifestazione nazionale contro la violenza di genere».
L’abbandono dell’assemblea
Il comunicato esprime forte delusione per il fatto che, nonostante 12 attiviste abbiano lasciato il gruppo, l’assemblea abbia proseguito senza affrontare la questione: «Siamo arrabbiate e deluse per il fatto che, nonostante 12 persone siano uscite, l’assemblea è continuata per mesi come se niente fosse, ignorando l’enorme frattura che si è creata».
Questo ha portato le fuoriuscite a compiere un passo decisivo: abbandonare lo spazio assembleare attuale, ritenendo che non rappresenti più i principi fondanti del movimento. «Non basta usare il nome di Non Una di Meno per essere un’assemblea transfemminista».
La decisione di rendere pubblica la frattura
Uno degli aspetti più politici della denuncia riguarda la riproduzione, anche all’interno dei movimenti, di dinamiche di potere oppressive. Le fuoriuscite sottolineano come il transfemminismo abbia fornito strumenti di analisi per riconoscere e contrastare queste tendenze: «Il transfemminismo e Non Una di Meno ci hanno insegnato a riconoscere e rifiutare tutte le forme di patriarcato, compresa la violenza nei movimenti, e ad essere disposte a metterci costantemente in discussione». E ancora: «Il nostro rendere pubblico l’accaduto ha il portato politico di voler provare a disinnescare le posture prevaricatrici all’interno dei movimenti, dei collettivi, degli spazi».
La chiusura sancisce la chiusura del percorso comune e l’apertura di una nuova strada: «Non abbiamo nessuna intenzione di abbandonare la lotta e riprenderemo in altri modi e in altri spazi il nostro percorso all’interno del movimento nazionale di Non Una di Meno. Con amore e rabbia».
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