L’agenda delle mostre di questa settimana sfiora la primavera, offrendo occasioni di visita sempre più interessanti. Un progetto espositivo, incentrato sull’eterno dialogo tra passato e presente, propone opere di una selezione di artisti, che sono una reinterpretazione contemporanea di temi e motivi mitologici. Una collettiva rivela le diverse modalità di alcune artiste di esprimere l’essere donna, condividendo una poetica in cui il corpo è strumento di ricerca, esperienza e libertà. Il corpo è il tema esplorato anche in un altro group show. Il corpo come dimensione erotica, strumento percettivo di crescita e conoscenza, spazio di intimità e incontro, insieme di piacere e dolore, desiderio e paura, vitalità e morte. E ancora il corpo, così come l’identità, la memoria collettiva e il rapporto tra realtà e immaginario sono i temi chiave della contemporaneità, indagati in un progetto espositivo così da restituire uno sguardo sul panorama artistico attuale. La selezione delle mostre di Elledecor.it di marzo prosegue con un interprete contemporaneo che, attraverso i suoi dipinti, attua un ripensamento della realtà in tutti i suoi aspetti filosofici, culturali, metafisici, ma anche ironici e solo apparentemente banali e quotidiani. Quindi, un’esposizione mette in luce l’opera di uno scultore, indagando la sua sensibilità per la materia e la tridimensionalità, la sua profonda conoscenza dell’antichità classica e la sua capacità di attualizzare temi universali. La lista degli appuntamenti di questo mese include la personale di un artista, che nasce dalla messa in discussione del sé, a livello formale ed esistenziale, per dare vita a una riflessione sulla condizione umana. C’è anche una ‘mostra-atlante’ che espone video, documenti sonori, testi, fotografie e materiali grafici di un archivio teatrale lungo 35 anni, generando un evento performativo nuovo. E, infine, last but non least è proprio il caso di dirlo, va segnalata l’esposizione dedicata a un maestro lombardo della pittura, genio indiscusso del Seicento: imperdibile!
Il fascino del mito, Torino
L’eterno dialogo tra passato e presente è al centro della mostra ospitata negli spazi della galleria Mazzoleni, dove è riunita una selezione di opere reinterpretazione contemporanea di temi e motivi mitologici. “Il fascino del mito” vuole essere un viaggio attraverso il tempo, componendo un dialogo tra l’antico e il contemporaneo che sfida le convenzioni cronologiche per approdare in una dimensione sospesa, in cui le rovine del passato e il linguaggio dell’arte moderna si incontrano. Prendendo ispirazione da “Mythology Reinterpreted”, la mostra selezionata nel 2024 tra le top ten dell’autunno londinese, il progetto trova nuova vitalità a Torino, celebrando il mito come fonte inesauribile di ispirazione artistica attraverso le opere di Giorgio de Chirico, Alberto Savinio, Giulio Paolini, Salvo, e Jorge Méndez Blake. Le opere esposte condividono un approccio che supera le barriere temporali e geografiche, per costruire un linguaggio visivo intriso di enigmi e citazioni. Completano il progetto espositivo una selezione di reperti archeologici che fungono da ponte tra l’antichità e il nostro tempo. Nei lavori degli artisti in mostra, il riferimento al passato non è dettato da un’esaltazione nostalgica, ma diventa strumento per interrogare il presente e proiettarsi verso il futuro. Fino al 28 giugno.
ESSERE DONNA. Il corpo come strumento di creazione e atto di ribellione, Milano
Marina Abramović, Sang A Han, Annette Messager, Shirin Neshat e Gina Pane sono le protagoniste della mostra “Essere donna. Il corpo come strumento di creazione e atto di ribellione”, allestita negli spazi della galleria Fumagalli. Attraverso una selezione delle loro opere, il progetto espositivo, a cura di Maria Vittoria Baravelli e Annamaria Maggi, rivela le diverse modalità delle artiste di esprimere l’essere donna, considerando sempre il corpo come strumento di ricerca, esperienza e libertà. Ispirata dalla vita e dalle parole di Oriana Fallaci (“Essere donna è così affascinante. E un’avventura che richiede un tale coraggio, una sfida che non annoia mai”, scrive Fallaci), “Essere Donna” è un atto di ribellione, una sfida continua contro un sistema che cerca di porre dei limiti e circoscrivere, ma che per mano delle artiste diventa un’opportunità per ridefinire i confini dell’arte e della vita. Ognuna di loro ha trasformato il proprio corpo in un campo di battaglia dove sperimentare tutto, in cui la politica, la vita, il sangue, la follia e la fantasia si intrecciano in una lotta continua contro le convenzioni. Attraverso l’arte, Abramović, A Han, Messager, Neshat e Pane ci obbligano a confrontarci con un mondo nuovo, nel quale il corpo non è solo un involucro, ma uno strumento potente per conoscere e trasformare la realtà. Il percorso espositivo propone celebri esempi di body art, opere in cui il corpo femminile è strumento di ricerca di spiritualità, altre che esprimono la rappresentazione identitaria. Per tutte le artiste il corpo è lo strumento attraverso il quale agire, nella vita e nell’arte. Fino al 30 maggio.
Valerio Adami. Ripensando la realtà, Milano
Ha aperto negli spazi di Dep Art Gallery la personale di Valerio Adami, a cura di Lorenzo Madaro. Nel progetto espositivo sono presentate una selezione di opere realizzate tra gli anni ’70 e gli anni 2000 che mostrano scene di viaggio intervallarsi a dipinti nei quali l’artista esprime il suo ripensare la realtà vissuta. Completa la mostra una sezione speciale sviluppata in collaborazione con l’Archivio Valerio Adami, oltre alla proposta di alcuni momenti privati dell’artista e della sua passione per il viaggio, in particolare, per le barche. “Colto, ironico, sofisticato, il lungo e complesso lavoro di Valerio Adami ha ribadito che al centro di tutto il suo interesse visivo c’è ininterrottamente un persistente ripensamento della realtà in tutti i suoi aspetti filosofici, culturali, metafisici, ma anche ironici e solo apparentemente banali e quotidiani”, spiega il curatore. La ricerca dell’artista si può pensare come un enorme archivio in cui i brandelli del reale si incontrano e si concatenano in luoghi, ruoli e visioni sorprendenti, da un lato intimamente legati a uno spazio fisico che è quello della pittura e del disegno, e dall’altro a una dimensione onirica, in cui accostamenti arditi tracciano nuove letture. La costruzione di ogni opera, nei decenni considerati nell’esposizione a partire dagli anni Settanta, ruota attorno a tre paradigmi, segno e scrittura e colore. In un momento dominato dalla bidimensionalità dell’icona di consumo, non solo in America, e dall’ossessivo ricorso a immagini legate al mondo pubblicitario o alla storia dell’arte più popolare, Adami in Italia (e poi nel suo lungo peregrinare), in solitaria, ha espresso una propria via per fare in modo che la pittura si occupasse del reale senza incorrere nella retorica neorealista e neanche nell’ossessiva ricerca del banale a tutti i costi. La mostra invita a esplorare gli infiniti mondi di Adami, ritmati dal suo inconfondibile tratto che è disegno e pensiero insieme. Fino al 17 maggio.
DA CINDY SHERMAN A FRANCESCO VEZZOLI. 80 artisti contemporanei, Milano
Palazzo Reale ospita una collettiva di 80 artisti contemporanei della scena internazionale, a cura di Daniele Fenaroli con la consulenza scientifica di Vincenzo de Bellis. In mostra sono presentate oltre 140 opere che indagano temi chiave della contemporaneità, come l’identità, il corpo, la memoria collettiva e il rapporto tra realtà e immaginario, restituendo uno sguardo sul panorama artistico specchio della complessità del presente. Il progetto espositivo si articola in undici sezioni , ognuna delle quali racconta una storia particolare, individuando una tendenza o un tema centrale nella produzione artistica contemporanea. Ogni sala si propone come la tappa di un viaggio che invita a conoscere i mille volti dell’arte, sottolineando relazioni inaspettate, tra molteplici visioni e prospettive, e guidando a una riflessione sul corpo, sull’identità di genere, sul multiculturalismo, sul rapporto tra innovazione e tradizione, ma anche su questioni come la solitudine, l’introspezione, l’indagine sulle dinamiche di gruppo e di società, lo sfaldamento degli archetipi culturali, fino ad aprirsi sul terreno che fa collidere il mondo naturale con quello artificiale, spesso, frutto dell’intervento dell’essere umano. Nel percorso espositivo, queste tematiche finiscono con l’intrecciarsi costantemente e rappresentano un viaggio tra sogno e realtà in cui l’allegoria, la mitologia, la leggenda da una parte, e la storia, la politica, la società dall’altra, si confrontano continuamente per restituire una visione, differenziata, della condizione umana. Ogni opera si pone come il tassello di un mosaico più ampio, un contributo a un dialogo continuo tra passato e presente, tra il particolare e l’universale. Nello specifico, artisti come Francesco Vezzoli, Nan Goldin, Lisetta Carmi, Piotr Uklanski, e Grayson Perry si confrontano, attraverso le loro opere, sul corpo, sull’identità, la trasformazione e la rappresentazione del sé; mentre Wangechi Mutu, Raqib Shaw e Luigi Ontani indagano temi di identità e appartenenza culturale, spesso mescolando tradizione e modernità nei loro lavori. Roberto Cuoghi e Tammy Nguyen si occupano di concetti di metamorfosi, altri artisti, come Hayv Kahraman e Hiba Schahbaz, si interrogano sulla diaspora e sul corpo come spazio di memoria. Imran Qureshi e Kiki Smith, invece, indagano la condizione umana attraverso simbolismo e immagini viscerali. Tracy Emin e Lisa Yuskavage, nella seconda parte della mostra, si interessano alla sessualità e alla vulnerabilità femminile; quindi, Shadi Ghadirian approfondisce le tematiche delle restrizioni culturali e delle tensioni di genere nel mondo islamico. Attraverso l’iconografia popolare, invece, Muntean/Rosenblum, Martin Maloney e Katja Seib esplorano linguaggi visivi e narrativa. Artisti come Francis Alÿs, Pietro Roccasalva e Andro Wekua si concentrano su temi di viaggio e trasformazione, mentre Giangiacomo Rossetti e Karen Kilimnik indagano il concetto di spazio e realtà. Infine, se Hernan Bas, Nicole Eisenman e Paola Pivi creano un dialogo sul corpo, sul desiderio e sulla fluidità, Adrian Paci, Marinella Senatore, Massimo Bartolini e Hannah Quinlan si focalizzano su esperienze collettive e sull’evoluzione dei ruoli sociali. Fino al 4 maggio.
The Rosy Crucifixion, Brescia
La mostra presentata negli spazi della Galleria Massimo Minini, a cura di Antonio Grulli, riunisce una selezione dei lavori di artisti storici, mid career e giovani; alcuni di loro hanno collaborato negli anni con la galleria mentre per altri è la prima volta. A completamento si aggiungono le opere della collezione di Massimo Minini. “Il soggetto della mostra è il nostro corpo, come insieme di organi avvolti dalla pelle, l’epidermide del nostro ego, confine e ponte con il mondo fuori da noi e con l’altro da noi: corpo come dimensione erotica, strumento percettivo di crescita e conoscenza, spazio di intimità e incontro, insieme di piacere e dolore, desiderio e paura, vitalità e morte”, spiega il curatore. Gli artisti esplorano un eros mentale e visionario attraverso la loro opera, che diventa un mezzo di espansione capace di attraversare l’autobiografia, la memoria, la ricerca mistica e l’analisi psicologica interiore, la storia dell’arte, fino a sfociare nella fantascienza. Il progetto espositivo, focalizzato su un soggetto così complesso, è concepito secondo un un percorso preciso, che vede protagonisti: Ivana Bašić, Anna-Sophie Berger, Roberto de Pinto, Pierre Klossowski, Robert Mapplethorpe, Duane Michals, Sophie Thun, Wilhelm von Gloeden, George Woodman e Maria Giovanna Zanella. A opere in cui la percezione del proprio corpo si alterna a quella del corpo dell’altro da noi seguono lavori nei quali tutto sembra sgretolarsi per lasciare il posto a una dimensione più onirica e instabile. L’ultima parte dell’esposizione, infine, arriva a proporre le opere più dure e drammatiche. Il titolo rende omaggio a Henry Miller e alla sua trilogia di libri Sexus, Plexus, e Nexus, pubblicati tra il 1949 e il 1959, solitamente racchiusi sotto il titolo di The Rosy Crucifixion. Fino al 18 aprile.
Sergio Monari. Sincronie, Venezia
Ha aperto a Palazzo Fortuny la personale di Sergio Monari, presentata dalla Fondazione Musei Civici di Venezia. Il progetto espositivo, a cura di Niccolò Lucarelli e Chiara Squarcina, approfondisce il percorso artistico dello scultore, indagando in particolare la sua sensibilità per la materia e la tridimensionalità, la sua profonda conoscenza dell’antichità classica e allo stesso tempo mostrando la sua grande capacità di attualizzare temi universali. Accanto a nuove sculture sono esposte opere storiche, che si propongono come una rilettura critica della società contemporanea, prendendo a modello quella classica. “Monari mette in discussione l’importanza del mito nella costruzione delle istituzioni sociali, senza svilirlo in sé bensì, al contrario, attaccando l’incapacità della società contemporanea di riconoscerne la portata”, spiega Niccolò Lucarelli. Emergono la poesia, l’amore, la gloria, la guerra, il destino, il tempo, la vanità, la morte in una sorta di romanzo antico, eppure sempre nuovo, attraverso un allestimento che si dispiega, opera dopo opera, su capitoli modellati in forma di umane sembianze, pulsioni, aspirazioni, dubbi e timori. L’esposizione mette in scena una sorta di commedia umana fatta di statue che però sono vive nella loro forza narrativa, capace di accendere il dramma davanti allo sguardo dell’osservatore, personaggi resi eterni nella tridimensionalità del bronzo. Fino al 5 maggio.
Roméo Mivekannin. Black Mirror, Reggio Emilia
Collezione Maramotti accoglie nelle sue sale la prima personale in Italia di Roméo Mivekannin. L’artista, cresciuto in Benin e formatosi in Francia, ha realizzato nuove opere pittoriche, circa venti dipinti su velluto nero, per la maggior parte di grandi dimensioni, che riprendono le tematiche della sua vasta ricerca, ma anche spunti raccolti nel corso delle sue visite in Emilia-Romagna o legati allo spazio artistico e culturale italiano. In questo progetto, che nasce dalla messa in discussione del sé a livello formale ed esistenziale per dare vita a una riflessione sulla condizione umana, emergono con forza il passato, la sua eredità e i suoi spiriti, fondamenti della storia del mondo che si propagano nella contemporaneità. Mivekannin attinge a iconografie di opere d’arte classiche di Masaccio e Caravaggio, di fotografie derivate dalla stampa e dal reportage, di movimenti e archetipi della danza e del cinema (da Pina Bausch a Pier Paolo Pasolini, Sergei Parajanov e Leos Carax) o di figure tratte dai suoi archivi personali, per abitarle e ricostruirle creando un multiforme ritratto di se stesso, specchio di immagini che lo affascinano e gli pongono interrogativi. In questo modo, l’autoritratto diventa lo strumento con cui Mivekannin si sostituisce ai personaggi originali delle rappresentazioni, entrando nella narrazione come soggetto, potente, fantasmatico, perturbante sé nel corpo dell’altro da sé. Queste opere rivelano l’esplorazione dell’artista in merito alla costruzione e alla soppressione della memoria e delle immagini, al rapporto individuale e collettivo con la storia e col sacro. Emerge una dualità già insita nel lavoro di Mivekannin, in cui da sempre convivono tensioni divergenti: visibile-invisibile, nero-bianco, negativo-positivo, consapevolezza-inconscio. Mentre è la prima volta che l’artista utilizza la tecnica della pittura su velluto. Mivekannin crea un rapporto sensoriale con l’opera di cui il tessuto è corpo, un materiale che diviene ‘specchio nero’ non restituendo, ma trattenendo segni e immagini. Fino al 27 luglio.
FUTURE IN THE PAST, Rimini
Video, documenti sonori, testi, fotografie e materiali grafici. Costituiscono l’archivio teatrale di Motus, lungo 35 anni, esposto per la prima volta, all’interno delle 10 stanze dell’Ala Nuova del Museo della Città di Rimini, in “Future in the past”. La mostra è stata concepita “non pensando a uno stare immobile, ma secondo una nuova temporalità in cui passato, presente, e futuro si attraversano a vicenda, lacerandosi, facendosi, ognuno, strumento per questionare l’altro. Nel percorso espositivo vogliamo mantenere accesa la liveness stessa del teatro, procedendo per tracce, evocazioni, associazioni; gli elementi estrapolati rimandano alla nostra ricerca, ma allo stesso tempo creano un’ambientazione, si mettono in scena, cambiano il perimetro della stanza, delineando ‘un altro’, possibile spazio scenico”, racconta Motus, la compagnia teatrale fondata nel 1991 da Daniela Nicolò ed Enrico Casagrande. Nelle sale del museo, oggetti, suoni, immagini, parole, rumori sono organizzati secondo associazioni tattili visive, sonore dando vita a uno spazio ‘cumolonembico’ per nuove riflessioni; una divisione tematica, quindi, che riunisce progetti diversi con prospettive simili. I temi scelti, le parole chiave, sono, per ogni stanza, evocati da una frase, una citazione che serve come mappa per insinuarsi tra le relazioni che connettono l’eterogeneità degli elementi presenti, oltre a diventare anche ponte con il contemporaneo. Sono parole-breccia legate ai riferimenti che hanno accompagnato le ricerche di Motus, e che rimangono, allo stesso tempo, laceranti e necessarie rispetto a questioni di oggi e future. “L’intento è di considerare questa esposizione più come Atlante che come Archivio”, come dichiarano Daniela Nicolò e Beatrice Ottaviani collaboratrice del progetto, “per amplificare essenzialmente la dimensione performativa di questo accumulo esploso di materiali che diventano collante, cerniera e nuova soglia”. La mostra diventa un’opera a sé, un oggetto artistico autonomo costituito da frammenti, pezzi, scarti delle tante opere catalogate e numerate, che, nella collisione e convivenza all’interno di ogni stanza, generano un evento performativo nuovo. Diversi linguaggi in cui si è liberi di fluttuare, come proprio di Motus, così che il visitatore sia libero di creare la propria collezione. In sintesi “un’opera aperta” come definisce “Future in the Past” la co-curatrice Ilaria Mancia anni. Fino al 4 maggio.
Caravaggio 2025, Roma
Palazzo Barberini accoglie la mostra “Caravaggio 2025”, un progetto delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, in collaborazione con Galleria Borghese, dedicato alla pittura di Michelangelo Merisi detto Caravaggio. L’esposizione, a cura di Francesca Cappelletti, Maria Cristina Terzaghi e Thomas Clement Salomon, presenta ventiquattro dipinti tra i più celebri di Caravaggio provenienti da importanti collezioni pubbliche e private, italiane e internazionali, capolavori per la prima volta esposti nel nostro Paese o raramente visibili, ma anche opere famose proposte in inediti accostamenti. In uno dei luoghi simbolo della connessione tra l’artista e i suoi mecenati, “Caravaggio 2025” intende aprire una riflessione sulla rivoluzione artistica e culturale operata dal maestro lombardo, indagando l’innovazione che introdusse nell’ambito dell’arte, della scena religiosa e sociale del suo tempo. Tra le opere in mostra spicca il ‘Ritratto di Maffeo Barberini’, pubblicato da Roberto Longhi nel 1963 e mai esposto al pubblico fino a pochi mesi fa; si può festeggiare il ritorno in Italia, dopo quattro secoli, dell’’Ecce Homo’ riscoperto a Madrid nel 2021, o ammirare la prima versione della ‘Conversione di Saulo’ della cappella Cerasi, difficilmente accessibile perché conservata in una dimora privata. L’esposizione è organizzata in quattro sezioni, che seguono interamente il percorso artistico di Caravaggio, lungo quindici anni, dall’arrivo a Roma intorno al 1595 alla morte a Porto Ercole nel 1610. Fino al 6 luglio.
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