Portare la Kings League in 30 o 40 mercati diversi entro i prossimi tre o quattro anni e diventare il mezzo ideale per introdurre le nuove generazioni al calcio tradizionale. Sono alcuni degli obiettivi di Djamel Agaoua, che dall’ottobre del 2024 ricopre l’incarico di amministratore delegato a livello mondiale del torneo nato dall’idea dell’ex calciatore del Barcellona Gerard Piqué e del noto streamer spagnolo Ibai Llanos.
Nella sua lunga carriera prima dell’ingresso nella Kings League, Agaoua ha ricoperto per cinque anni la carica di CEO di Viber, multipiattaforma con servizio di messaggistica, è stato amministratore delegato della divisione Europa e Medio Oriente della NBA e ha guidato l’implementazione delle ambizioni di crescita di una delle principali leghe statunitensi nella regione.
In questa intervista a tutto campo a Calcio e Finanza il manager ha raccontato i piani di sviluppo della Kings League, il modello economico che sostiene questo innovativo format calcistico, il rapporto con il calcio tradizionale – compresa la partnership con la Lega Serie A – e come si sta sviluppando la competizione in Italia.
Domanda. Per prima cosa, può spiegarci cos’è la Kings League e chi sono i principali azionisti che si trovano alle spalle di questo progetto?
Risposta. La Kings League è un nuovo format calcistico, un nuovo modo di giocare a calcio che è stato costruito per agganciare il pubblico più giovane. Ci sono molti modi in cui i più giovani consumano lo sport, innanzitutto lo fanno su piccoli device, come gli smartphone, anziché sui grandi schermi. In secondo luogo, è una generazione con molti contenuti disponibili e di breve durata. Io la chiamo la “swipe-up generation”, gli basta un click e passano a un altro contenuto. La terza cosa è che vogliono essere coinvolti nei contenuti di cui stanno fruendo, vogliono essere parte della storia. Sono i tre principi che abbiamo cercato di applicare a questo prodotto per renderlo di successo.
Un prodotto che innanzitutto viene confezionato in modo da poterlo sfruttare sui device più piccoli, perché sembra un videogioco. Poi abbiamo creato regole che rendono molto intenso quello che accade ogni due o tre minuti, in modo da evitare che ci siano 15 minuti in cui non accade nulla e che porti allo “swipe-up”, a passare oltre. La nostra audience è molto coinvolta in quello che accade sul terreno di gioco. Decide diverse cose: il colore del campo, alcune location, lo schieramento di alcuni giocatori, l’evoluzione delle norme. Facciamo interagire il pubblico con i calciatori e con i presidenti: è calcio, ma è calcio con diverse regole e un modo diverso di riprendere l’azione, che esalta il pubblico più giovane.
D. Gerard Piqué è la persona più famosa dietro il progetto della Kings League. Quali sono gli altri azionisti? Com’è organizzata l’attività?
R. Il progetto nasce dalla società che Piqué ha creato quando ancora era un calciatore, Kosmos. Kosmos ha portato avanti molti progetti diversi nel mondo dello sport, dal calcio al tennis, per esempio con la Coppa Davis. La Kings League nasce da un altro progetto che Piqué ha ideato con Ibai Llanos, suo grande amico e uno dei principali streamer in Spagna. Insieme hanno immaginato questo concept, ma non si aspettavano questo successo, che è andato ben oltre le aspettative.
Avendo ottenuto così tanto successo, Piqué ha deciso che fosse un’ottima idea allargare il concept ad altri Paesi. Per questo abbiamo iniziato questa espansione internazionale, che è stata finanziata dalla società raccogliendo capitali da investitori degli USA e del Messico, parliamo di 60 milioni di euro lo scorso anno. Ora Piqué è il maggior azionista, ma abbiamo anche altri investitori. Il principale è Left Lane Capital, un fondo di investimento che ha sede a New York, ma possiamo contare anche su David Blitzer, che è co-proprietario di una franchigia di NBA (i Philadelphia 76ers, ndr), e su Fillip, un’altra società basata in Messico.D. Lei è stato un manager della NBA: quanto è stata importante quell’esperienza per il lancio di questo progetto? Cosa ha imparato dagli sport americani?
R. La grande differenza tra sport americani ed europei, è che gli americani considerano lo sport professionistico come un vero segmento del business dell’intrattenimento. Deve essere intrattenimento già da prima dell’inizio delle partite. Ho vissuto sette anni negli USA, a San Francisco, e ho lavorato per conto di una società che era sponsor degli Warriors (Golden State Warriors, franchigia di NBA, ndr). Sono stato a vedere partite diverse volte e l’evento inizia a essere divertente appena si mette piede dentro l’arena, già nel parcheggio.
Succedono molte cose, quando entri ti regalano accessori da indossare, nei bar ci si diverte, tutto è intrattenimento. E’ una cosa che deve essere intrattenimento da prima della partita e fino alla fine del match. Ed è una cosa che non spaventa assolutamente gli americani. Loro sanno che è sport professionistico, che è una cosa seria, ma deve essere anche divertente ed entusiasmante.
In Europa, trattandosi di sport professionistico, siamo spesso frenati dal mettere musica, creare show durante gli intervalli o invitare artisti. Deve essere una cosa seria. Penso sia questa la grande differenza che ho imparato a conoscere in NBA: al centro c’è l’essere umano, che vuole trascorrere tempo libero piacevole con la sua famiglia.
Io stesso sono stato anche un tifoso tradizionale. Nel mio Paese (la Francia, ndr) e in molti Paesi europei, le persone sono più in difficoltà a portare i bambini allo stadio, perché l’esperienza non è il massimo, l’atmosfera non sempre è divertente: questa è la grande differenza. In America lo sport è divertente. Il basket, il football e anche la MLS sono esperienze di famiglia, non si tratta solamente di sport. Prendiamo il baseball: una partita di baseball è una delle attività più noiose che tu possa trovare (ride, ndr), ma è divertente perché compri il tuo hot dog, c’è la musica, chiacchieri con gli amici. E’ normale, la gente si vuole divertire.
D. Può raccontarci qualche aneddoto in cui questa differenza le è parsa così evidente?
R. Mi ricordo la mia prima riunione con Adam Silver (commissario della NBA dal 2014, ndr) quanto sono entrato in NBA, stavamo controllando la messa a punto dei Paris Games (le sfide della stagione regolare che la NBA disputa a Parigi, ndr) e la prima cosa che chiese fu: «Abbiamo un’idea sulla provenienza dei tifosi?». Le prime domande furono tutte sul pubblico: a che ora avremmo aperto i cancelli, come fossero posizionati i parcheggi, quali show ci sarebbero stati. Tutto l’interesse era sull’esperienza del tifoso, solo questo. Non è solo la competizione, che è importantissima, ma deve essere divertente. Ed è quello che cerco di assicurarmi di avere per la Kings League. Come possiamo renderla divertente, come possiamo renderla leggera e “nuova” ogni weekend, come possiamo rendere memorabili le nostre finali e fare sì che le persone siano felici di parlarne e di portarci le loro famiglie.
D. In termini di bilancio, qual è la situazione economica del progetto a livello mondiale? Come è stato costruito il vostro modello di business?
R. E’ molto semplice. Abbiamo due leghe e due Paesi in cui abbiamo una storia di due anni. In Spagna siamo al terzo anno di attività, mentre per il Messico è il secondo. Queste due leghe sono profittevoli, e siamo molto contenti. Stiamo investendo molto per espanderci, abbiamo aperto in Italia e annunciato il Brasile, ed è previsto un grande annuncio per lo sbarco in un nuovo Paese. Stiamo studiando anche qualcosa in Germania, avendo recentemente annunciato un nuovo investitore nel Paese, e molto altro per la seconda metà del 2025.
Le leghe generalmente sono in perdita nel primo anno di attività e l’obiettivo è diventare profittevoli al secondo anno. Nel complesso, la società è in lieve perdita, per questo abbiamo raccolto fondi per 60 milioni, per fare fronte a queste perdite, fa parte del piano, ma la nostra idea è quella di essere profittevoli al secondo anno di attività in ogni lega.Alla fine, noi siamo limitati più che altro dalla nostra struttura. Siamo una società di 220 persone ora, stiamo assumendo e saremo tra i 300 e i 350 entro la fine dell’anno. Abbiamo molto lavoro da fare. La bellezza del calcio è che si gioca ovunque, noi abbiamo ricevuto manifestazioni di interesse da investitori, operatori dello sport, società che lavorano nel mondo degli eventi che vogliono portare le leghe nei loro Paesi. Noi vogliamo controllare il prodotto ed essere sicuri che funzioni correttamente. Il nostro piano è avere otto leghe entro la fine dell’anno e arrivare a 30 o 40 leghe entro i prossimi tre o quattro anni.
Il nostro modello di ricavi, del resto, è diverso da altri grandi sport, finanziati al 75% dalla vendita dei diritti televisivi. Noi ci siamo posizionati dall’altra parte della barricata, decidendo di trasmettere i contenuti gratuitamente per poter arrivare al maggior numero di tifosi possibile. Trasmettiamo su YouTube, TikTok, Twitch e altri canali. Poi quando andiamo dai partner e dagli sponsor, che sono partner in toto e non solo per le partite, grazie al nostro modello raggiungono un volume di impressions che è 10 o 15 volte maggiore di quello che potrebbero avere con lo sport tradizionale. La nostra fonte principale di ricavi è quella delle sponsorizzazioni, non soltanto durante le partite, e i nostri partner valgono il 60-65% dei ricavi. Perché noi produciamo molti contenuti tra le partite e tra le stagioni. Produciamo contenuti anche con i calciatori e questo crea una presenza forte sulle piattaforme social. A questo si aggiungono merchandising e ticketing, per un’audience che per l’85% ha meno di 30 anni. Non penso che sia un pubblico che siamo destinati a perdere. Sappiamo per esempio che la Serie A è molto attiva nel weekend e che i nostri tifosi seguono il calcio tradizionale, per questo giochiamo il lunedì, non ci vogliamo mettere in competizione. Possiamo essere un prodotto complementare.
D. Il coinvolgimento di calciatori che sono stati professionisti è molto importante per la Kings League. Come hanno reagito questi giocatori al format che avete proposto?
R. Il nostro gioco è abbastanza intenso, è molto diverso dal calcio tradizionale. Non hai molto tempo per respirare. Le “Legends” che sono particolarmente tecniche amano questo gioco, perché esalta le loro qualità, anche se devono essere abbastanza in forma perché l’intensità è alta. Dipende molto dai casi, Piqué per esempio fatica con queste modalità, è tutto troppo veloce. Molti di loro amano il concept e condividono la nostra visione tra novità e innovazione per le nuove generazioni. Il 90% delle Leggende con cui abbiamo avuto a che fare ama l’idea della Kings League, averli con noi è molto bello. Ai fan piace vedere calciatori di quel livello che giocano con persone comuni, quelli in cui l’audience si identifica. Quando vedi un calciatore che è una persona come te tirare un rigore a Casillas, e lui accetta il confronto, è molto divertente, i tifosi si sentono connessi. Proprio Casillas mi ha raccontato che gli capita di essere riconosciuto dai più giovani per la Kings League e non per tutto quello che ha fatto in passato, e questa cosa è folle.
Noi creiamo nuovi tipi di stelle. Come Kelvin Oliveira, o Nadir, due ragazzi che erano completamente sconosciuti. Oliveira ha appena siglato un accordo con Nike, e nell’annuncio indossava la maglia del Brasile con Ronaldo il Fenomeno alle sue spalle. E’ una sorta di “Cinderella story”, con persone che sono sconosciute che possono diventare stelle grazie alla Kings League.
D. Ci ha parlato del grande successo che avete ottenuto in Spagna e della decisione di Piqué di attrarre nuovi investitori per la vostra espansione internazionale. In tal senso, come sta proseguendo la vostra avventura in Italia?
R. Molto bene. Sapevamo sarebbe andata bene. L’anno scorso si è tenuta la Coppa del Mondo per Club in Messico e abbiamo dato diverse wild card a delle squadre, invitando una formazione italiana guidata Blur, il principale streamer in Italia. Questa squadra ha partecipato alla Coppa del Mondo e ha creato il primo punto di attrazione attorno alla Kings League, con risultati ottimi.
Anche la prima Coppa del Mondo per Nazioni ha avuto grande successo. Abbiamo giocato le finali a Torino, all’Allianz Stadium, e abbiamo riempito lo stadio: 40mila persone per la finale Brasile-Colombia. Questo ha creato hype, abbiamo un’ottima line-up di streamer e da quando abbiamo iniziato la lega abbiamo tra i 3 e i 3,5 milioni di device connessi ogni lunedì, quando si gioca. Abbiamo avuto qualche problema tecnico all’inizio, ma siamo molto contenti per il risultato che stiamo ottenendo e l’audience.
D. Il successo della Kings League Lottomatica.sport Italy è certificato anche dai grandi sponsor e da importanti broadcaster, oltre alla collaborazione con la Lega Serie A. Come state lavorando con questi partner?
R. Quando abbiamo iniziato questa avventura, molti ci hanno descritto come i killer del mondo del calcio. La gente diceva che questo sarebbe stato il futuro del calcio, che il calcio sarebbe sparito, ma non è mai stato questo il nostro pensiero. Siamo molto ambiziosi, ma ci consideriamo “facilitatori” del calcio. Pensiamo di essere il modo perfetto per trascinare la nuova generazione nel mondo del calcio, anziché farli fuggire verso altri sport. Se lasciamo che altri sport facciano la rivoluzione e stiamo a guardare, è probabile che tra 20 anni questo crei un problema.
Credo che il calcio rimanga il principale sport al mondo, e noi vogliamo lavorare per promuoverlo, come stiamo facendo con la Serie A. E come possiamo farlo? Portando quello che abbiamo dalla nostra parte, un certo know how su come creare contenuti per le nuove generazioni, il format del contenuto. Questo vogliamo portare alla Serie A. E abbiamo gli streamer e le loro community, piene di tifosi che seguono il calcio. Gli streamer sono fondamentali, la nostra audience proviene al 50% da loro e al 50% dai canali della Kings League Lottomatica.sport Italy. Questo è molto importante per noi, perché uno dei principi cardine è che il tifoso sia coinvolto. E il tifoso si sente coinvolto quando commenta sulle piattaforme, lo streamer legge e risponde al commento: così si costruisce un rapporto con il fan.
Questo è il motivo per cui gli streamer sono così strategici all’interno del nostro concept. Loro creano specifiche interazioni e relazioni e i tifosi si sentono parte del progetto. Così, per esempio, abbiamo reso il mercato un vero e proprio gioco, in cui tifosi e streamer interagiscono per decidere se comprare o meno un certo giocatore. Penso che porteremo idee, alcune applicabili al calcio tradizionale e altre no. E poi il nostro è un buon modo per guardare il calcio in maniera diversa, non esiste solo quello dei top player. La Serie A ha capito bene che facciamo parte dell’ecosistema calcistico, nei prossimi mesi ci saranno diversi eventi in collaborazione e insieme cercheremo di promuovere il calcio, specialmente tra le generazioni più giovani.
D. A livello di strutture, siete soddisfatti della Fonzies Arena a Milano o state cercando per qualcosa di diverso, magari più grande?
R. La Fonzies Arena di Milano ci piace molto ed è stata costruita in due o tre mesi, siamo davvero contenti del risultato. L’unico problema è che abbiamo una licenza a breve termine per questo posto. Stiamo discutendo per cercare di estenderla o trovare un altro posto in cui avere una licenza a lungo termine. Non per forza a Milano, ci piace molto anche Torino e abbiamo discusso con entrambe le città per il futuro, cerchiamo il migliore accordo possibile in questo senso. Il nostro team e i nostri uffici sono a Milano, quindi è conveniente. Ma anche Torino ci ha accolti molto bene per la Coppa del Mondo, quindi parliamo con entrambe le città.
La Fonzies Arena, a Milano
D. In Spagna abbiamo visto che avete portato le finali della Kings League in uno stadio iconico come il Camp Nou. Avete già pensato a cosa fare per l’Italia? Magari organizzarle in un impianto storico come San Siro?
R. Stiamo lavorando sulle finali che probabilmente si terranno a maggio, e molto presto sarà annunciata la location. Storicamente abbiamo utilizzato grandi stadi e arene indoor. Ci piacciono molto entrambe, ma ci piace la possibilità di avere un ambiente più scuro nelle arene, per una questione di esperienza che vogliamo offrire. Diciamo che se facciamo delle finali in primavera, le arene indoor sono la cosa migliore per noi, mentre se facciamo le finali in inverno gli stadi all’aperto vanno bene, perché il buio cala prima.
Per esempio, a Torino avevamo giocato alle 18, e abbiamo avuto l’esperienza che cercavamo. Questa volta invece c’è un’alta probabilità che le finali siano in una bella arena al chiuso in Italia.
D. Così come è accaduto con la Lega Serie A, pensa che ci sarà modo di collaborare anche con le istituzioni ai livelli più alti del calcio come FIFA o UEFA?
R. Abbiamo discusso anche con UEFA e FIFA, grandi organizzazioni, ma ci vuole molto tempo per entrare in contatto con loro. Abbiamo un rapporto e alcune discussioni in corso, ma nulla di concreto, vedremo. Penso che per il futuro si possa pensare a qualche forma di cooperazione. Non è un piano, organizzazioni così grandi hanno la loro roadmap e per loro ha senso vedere cosa stiamo diventando e se otteniamo abbastanza successo. Gerard Piquè ha contatti con Infantino e Ceferin, per questo penso che ci potrà essere qualcosa in futuro, ma per ora abbiamo solo rapporti amichevoli.
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