Una serie di imboscate tese in maniera inaspettata alle truppe governative di stanza in posti di blocco e quartieri generali di diverse città della costa nordoccidentale della Siria. Ad agire, gruppi armati afferenti al segmento etnico-religioso degli alauiti, una componente della popolazione siriana fortemente presente nelle città costiere, fedele e connessa politicamente e religiosamente al vecchio regime siriano di Assad, capitolato nel dicembre del 2024 per fare spazio ai ribelli che in Siria hanno conquistato il potere portando al governo il leader del fronte islamista Hayat Tahrir al-Sham (HTS) rinominato al-Sharaa.
È questo, secondo la ricostruzione della Bbc e altri media e osservatori internazionali, il caso che ha riacceso le rivalità e l’odio intra-etnico, mai del tutto sopito anche con l’abbandono del potere da parte di Assad, del mosaico siriano, portando a feroci scontri definiti come i più brutali da quando il Paese ha vissuto lo storico cambio di regime ormai quattro mesi fa. Una carneficina fatta di ritorsioni e attacchi alla popolazione, che nelle ultime ore hanno causato, secondo notizie da confermare, almeno 800 vittime fra civili e gruppi armati, stando ai numeri forniti dall’Osservatorio siriano per i diritti umani.
Secondo la ricostruzione della fazione islamista al potere, i principali disordini sono cominciati nella regione costiera di Jableh, situata fra le città di Latakia e Tartus, tramite un attacco definito come “ben pianificato” e condotto da alcuni “resti delle milizie” di Assad. L’operazione di risposta, messa in campo dalle forze di sicurezza del governo di Damasco, è stato un primo vero e proprio banco di prova e di dimostrazione di forza e controllo del paese per Sharaa. Gli scontri si sono poi spostati anche in altri contesti urbani della costa occidentale, una zona densamente popolata dalla minoranza alauita dove sono evidentemente ancora presenti delle fazioni militari fedeli alla figura dell’ex presidente scappato in Russia Bashar al-Assad.
Il potere degli alauiti
Il legame territoriale fra la zona nordoccidentale della Siria e il gruppo religioso degli alauiti è molto forte. Nella Siria moderna gli alauiti costituiscono circa il 20% della popolazione per un totale di 6 milioni di cittadini circa. Da sempre minoranza relegata alla periferia del dibattito e della dialettica politica interna, nonché al margine nella determinazione del futuro del paese, con la svolta di potere che nel 1970 portò al governo Hafez al-Assad, esponente alauita e padre dell’ex presidente siriano che gli è succeduto nel 2000, gli alauiti siriani divennero l’unico gruppo minoritario del Medioriente ad essere rappresentato al potere di uno stato sovrano.
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Negli anni del regime poi, oltre ai metodi repressivi e violenti di soppressione del dissenso che hanno caratterizzato il periodo degli Assad, si è affermato un sistema di potere su base pseudo-famigliare, dove la stragrande maggioranza delle posizioni amministrative e politiche erano occupate di fatto da una minoranza responsabile della sottorappresentazione degli ulteriori e più numerosi gruppi e religiosi che caratterizzano l’eterogeneità etnica siriana. Nel corso degli anni , questo aspetto ha senza dubbio esacerbato le tensioni sociali e incrementato il livello di mal sopportazione e diffidenza che la maggioranza della popolazione siriana ha coltivato e coltiva tuttora nei confronti di quella che aveva assunto le caratteristiche di un’élite politica fortemente aperta alle influenze straniere come quelle iraniana e russa anche per rimanere salda al potere.
La reazione della Turchia
Oggi, dopo quattordici lunghi anni di guerra civile, l’attivismo militare e politico alauita ancora vivo nel Paese viene percepito dal nuovo Governo di Damasco come uno dei tanti ostacoli che sul piano politico possono frapporsi nel percorso verso una Siria unitaria. Negli ultimi mesi, erano stati infatti spesso segnalati episodi di violenza indiscriminata da parte delle forze HTS contro la minoranza alauita che hanno coinvolto anche la popolazione civile. D’altronde il passato della formazione militare HTS si è contraddistinto per le sistematiche e frequenti violazioni di diritti umani che l’hanno portata ad essere riconosciuta internazionalmente come un’organizzazione terroristica dall’Onu.
Mentre risulta ancora poco chiaro quali soggetti possano aver tratto vantaggio da questa insurrezione, se ci sia stato un canale di rifornimento militare che ha permesso l’organizzazione di tale operazione, di cui è ancora difficile prevedere gli esiti, l’unica reazione internazionale pervenuta alle cronache è per ora quella della Turchia, principale alleato del fronte governativo HTS che intravede nella stabilizzazione della Siria anche un compiacimento dei propri interessi regionali. Il ministro degli esteri Hakan Fidan ha insistito sulla condanna di azioni “provocatorie” che minacciano gli sforzi per il raggiungimento di pace, unità e solidarietà in uno stato tormentato come quello siriano.
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