Lo Stato Regionale e la legge sull’autonomia differenziata delle Regioni  « ilTamTam.it il giornale online dell’umbria

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La legge n. 86 del giugno ’24 recante disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario  (c.d. legge Calderoli) è una legge-quadro che precede la stipula delle singole intese tra lo Stato e le Regioni interessate e che, pur non essendo espressamente prevista dall’art. 116, comma terzo, Cost., era stata ritenuta opportuna già a partire dal Governo Conte II- c.d. giallo-rosso. Nel mese di luglio ’24 sono state però presentate alla Corte Suprema di Cassazione (con sede in Roma, Piazza Cavour) tre richieste di referendum popolare abrogativo di cui all’art. 75 Cost. trattandosi di una legge ordinaria e non di una legge costituzionale che è disciplinata dall’art. 138 Cost. . La prima richiesta è stata presentata con una dichiarazione resa da 34 cittadini italiani di voler promuovere la raccolta di almeno 500.000 firme di elettori per l’abrogazione totale della legge e di eleggere domicilio  presso la sede di A.L.I. Lega delle Autonomie Locali in via delle Botteghe Oscure di Roma. La seconda con una dichiarazione resa da 13 cittadini italiani di voler promuovere la raccolta di almeno 500.000 firme di elettori per l’abrogazione totale della legge e di eleggere domicilio presso la sede dell’Associazione Monte Peglia per Unesco in via Oberdan di Perugia e la terza con dichiarazione resa da 13 cittadini italiani di voler promuovere la raccolta di almeno 500.000 firme di elettori per l’abrogazione parziale della legge e di eleggere domicilio sempre presso la sede di Associazione Monte Peglia per Unesco. Inoltre anche cinque Consigli regionali (con maggioranze di centro-sinistra) hanno deliberato di richiedere il referendum abrogativo come previsto dall’art. 75, comma primo, Cost. e disciplinato nel Titolo II della legge n. 352 del maggio’70 (Governo Rumor III di centro sinistra “organico) di attuazione del referendum. Il Consiglio della Regione Campania nella seduta dell’8 luglio ’24 ha approvato due deliberazioni di richiesta del referendum, una per l’abrogazione totale e l’altra per l’abrogazione parziale della legge. Analoghe richieste sono state poi approvate dal Consiglio della Regione EmiliaRomagna nella seduta del 10 luglio ’24 con due delibere e da quello della Regione Toscana nella seduta del 16 luglio ’24 sempre con due delibere. Infine le richieste di referendum sono state  approvate anche dai Consigli della Regione Sardegna (a statuto speciale) nella seduta del 17 luglio ’24 con due mozioni e della Regione Puglia nella seduta del 23 luglio ’24 con due deliberazioni. In proposito occorre ricordare che secondo quanto previsto dal comma quarto del citato art. 75 Cost. la proposta abrogativa di una legge ordinaria si intende approvata solo se ha partecipato alla votazione la maggioranza assoluta degli aventi diritto (c.d. quorum) e se è stata raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. 

A fine luglio ’24 invece le Regioni Veneto, Piemonte, Liguria e Lombardia (con maggioranze di centro-destra) hanno inoltrato al Governo le richieste di avvio del negoziato e il Ministro per gli Affari regionali e le Autonomie Calderoli ha svolto in proposito un’informativa nella seduta del Consiglio dei Ministri del 26 luglio e poi ha informato anche la Conferenza Stato-Regioni in una seduta del settembre ’24. Analoga informativa è stata trasmessa alle Camere nelle sedute di fine settembre ’24. I negoziati tra il Governo e queste ultime quattro Regioni per l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni di autonomia sono stati poi avviati a fine ottobre. 

Nel mese di agosto ’24 quattro Presidenti di Regione (le stesse Regioni che avevano richiesto il referendum abrogativo, tranne l’Emilia-Romagna) hanno anche promosso in via principale, previa deliberazione delle rispettive Giunte regionali, la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte Costituzionale (con sede in Roma, Piazza del Quirinale) della stessa legge statale 86/’24 che definisce i principi generali per l’attribuzione alle Regioni ordinarie di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia. L’impugnativa è stata basata sul nuovo art. 127, comma secondo, Cost. e sull’art. 9, comma 2, della legge n. 131 del giugno ’03 (Governo Berlusconi II– Casa delle Libertà), recante disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla l.c. n. 3 del ’01 di riforma del titolo V. I quattro ricorsi diretti alla Consulta sono stati depositati entro i prescritti sessanta giorni dalla pubblicazione della legge e notificati anche alla Presidente del Consiglio dei ministri. Le tre Regioni a statuto ordinario Puglia, con 12 motivi di ricorso, Toscana, con 12 motivi di ricorso e Campania, con 15 motivi di ricorso, nonché la Regione autonoma Sardegna a statuto speciale con l’impugnazione dell’intero testo e, in subordine, con 22 motivi di ricorso, hanno quindi impugnato la legge statale sull’attuazione dell’autonomia differenziata nella sua totalità e anche con riferimento a specifiche norme. La Corte costituzionale (Presidente A. Barbera e redattore G. Pitruzzella) con la sentenza n. 192 decisa il 14 novembre ’24, depositata il 3 dicembre ’24 e poi pubblicata nella G.U. 1^ Serie Speciale n. 49 del 4 dicembre ’24, riuniti i giudizi, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’intera legge n. 86 del ’24 promossa dalla Regione autonoma Sardegna e anche dalle Regioni Puglia e Toscana. La Corte ha interpretato l’art. 116, terzo comma, Cost. nel senso che, pur facendo riferimento solo alle materie di potestà legislativa di cui all’art. 117 Cost., consente anche un riconoscimento di maggiore autonomia amministrativa purché concernente specifiche funzioni e non intere materie oggetto di devoluzione. Ha anche utilizzato in vari casi la tecnica delle sentenze additive o manipolative che modificano direttamente il testo legislativo (con l’uso delle locuzioni “anziché” oppure “nella parte in cui non prevede” e simili) senza necessità di ulteriori interventi del legislatore e ha interpretato in modo costituzionalmente orientato (o c.d. “interpretazione conforme”ai principi costituzionali) altre norme dello stesso testo legislativo. La Corte inoltre ha dichiarato illegittime altre disposizioni della legge n. 86 che quindi subisce una notevole battuta d’arresto ma non viene bloccata del tutto. Più precisamente la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dei seguenti articoli e commi della legge n. 86 del ’24:

art. 1 (Finalità), comma 2, nella parte in cui prevede «L’attribuzione di funzioni relative alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia […]», anziché «L’attribuzione di specifiche funzioni relative alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia […]»”;

art. 2 (Procedimento di approvazione delle intese fra Stato e Regione), comma 1, primo periodo, nella parte in cui non prescrive che l’iniziativa regionale sia giustificata alla luce del principio di sussidiarietà (anche se richiamato nell’art. 1, comma 1, della legge). Si tratta della c.d. sussidiarietà verticale che consiste nell’attribuire la competenza ad esercitare i poteri pubblici al livello di amministrazione più vicina ai cittadini, consentendone l’esercizio al livello superiore solo per assicurane l’esercizio unitario quando il livello inferiore sia inadeguato a perseguire gli obiettivi. Per la Consulta il principio di “sussidiarietà” (che insieme a quelli di differenziazione e adeguatezza sostituiscono il vecchio principio del “parallelismo” tra competenze legislative e amministrative) viene ora ad avere una portata generale e di sistema in quanto volto a indirizzare sia l’allocazione delle funzioni amministrative e l’esercizio dei poteri sostitutivi di cui agli artt. 118  e 120 Cost. che anche  la ripartizione della potestà legislativa tra Stato e Regioni (art. 117, commi primo e quarto Cost.) con l’attribuzione alla legislazione regionale, più vicina ai cittadini, di tutte le materie non espressamente riservate a quella statale (art. 117, commi secondo e terzo, ultimo periodo). Inoltre ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 1, terzo periodo, nella parte in cui stabilisce che il negoziato, «con riguardo a materie o ambiti di materie riferibili ai livelli essenziali delle prestazioni (Lep) di cui all’articolo 3, è svolto per ciascuna singola materia o ambito di materia», anziché stabilire, «con riguardo a specifiche funzioni riferibili ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 3, è svolto con riferimento a ciascuna funzione o gruppo di funzioni»” e infine l’illegittimità del  comma 2, per intero; 

art. 3 (Delega al Governo per la determinazione dei LEP ai fini dell’attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione), comma 3, nella parte in cui prevede che «i LEP sono determinati nelle materie o negli ambiti di materie seguenti», anziché «i LEP sono determinati per le specifiche funzioni concernenti le materie seguenti» che sono elencate nello stesso comma 3 in numero di 14 come di seguito: “a) norme generali sull’istruzione; b) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali; c) tutela e sicurezza del lavoro; d) istruzione; e) ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; f) tutela della salute; g) alimentazione; h) ordinamento sportivo; i) governo del territorio; l) porti e aeroporti civili; m) grandi reti di trasporto e di navigazione; n) ordinamento della comunicazione; o) produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; p) valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali. Le prime due funzioni concernono materie di legislazione esclusiva dello Stato e le altre dodici riguardano materie di legislazione concorrente (art 117, commi secondo e terzo, Cost.). La sentenza ha anche dichiarato l’illegittimità costituzionale dei commi 1, 7 e 9, per intero;

art. 4 (Trasferimento di funzioni), comma 1, primo periodo nella parte in cui menziona «materie o ambiti di materie riferibili ai LEP», anziché «specifiche funzioni riferibili ai LEP» per le quali il trasferimento delle funzioni e delle risorse potrà essere effettuato solo dopo la determinazione degli stessi LEP e dei relativi costi e fabbisogni standard, nei limiti delle risorse rese disponibili nella legge di bilancio;

art. 8 (Monitoraggio), comma 2, per intero;

art. 9 (Clausole finanziarie), comma 4, nella parte in cui prevede “la possibilità” e quindi la facoltatività del concorso delle regioni differenziate agli obiettivi di finanza pubblica, anziché “la doverosità” su un piano di parità rispetto alle altre regioni; 

art. 11 (Disposizioni transitorie e finali), comma 2, per intero.

La Consulta ha inoltre dichiarato in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 87/’53 (si tratta dell’illegittimità di norme diverse da quelle impugnate che deriva come conseguenza della decisione adottata), l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, commi 2, 4, 5, 6, 8 e 10 per intero. Con successiva ordinanza del 13-27 gennaio ’25, pubblicata nella G. U. n. 5 del 29 gennaio ’25, la  Corte costituzionale (Nuovo Presidente G. Amoroso) ha disposto la correzione di un errore materiale nella sentenza n. 192 sostituendo le parole di cui sopra con le seguenti “l’illegittimità costituzionale dell’art. 3,  commi 2, 4, 5, 6, 8 – in relazione all’inciso “secondo le modalità di cui all’articolo 1, commi 793 e 796, della legge 29 dicembre 2022, n. 197,” – e 10 della legge n. 86 del 2024″. La legge 197/’22 (Governo Meloni di destra-centro) era la legge di bilancio ’23 e il comma 793 riguardava la ricognizione, da parte della Cabina di regia per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP), delle funzioni esercitate dallo Stato e dalle Regioni a statuto ordinario in ciascuna materia di cui all’art. 116, comma terzo Cost., la ricognizione della spesa storica sostenuta dallo Stato in ciascuna Regione nell’ultimo triennio, l’individuazione delle materie o degli ambiti di materie che sono riferibili ai LEP e la determinazione dei LEP sulla base delle ipotesi tecniche formulate dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard. Il comma 796 sanciva che ciascun decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) con cui venivano determinati i LEP doveva essere adottato su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie di concerto con il Ministro dell’economia e finanze e previa delibera del CdM dopo aver acquisito l‘intesa con la Conferenza unificata. Inoltre la Consulta ha dichiarato in via consequenziale l’illegittimità, sopravvenuta a partire dall’entrata in vigore della legge n. 86 del ’24, dell’art. 1, commi da 791 a 801-bis, della  medesima legge di bilancio dello Stato 197/ ’22. Tali commi erano relativi alla determinazione dei LEP concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. m), Cost. La sentenza n. 192 del novembre ’24 ha infine dichiarato inammissibili tredici e non fondate venticinque questioni di legittimità costituzionale dei vari articoli della medesima legge n. 86. 

Per quanto riguarda invece il referendum abrogativo richiesto dalle cinque Regioni sopraindicate l’Ufficio Centrale per il referendum (Presidente R.M. Di Virgilio) costituito presso la Corte suprema di Cassazione e che ai sensi dell’art. 32, comma secondo, della legge n. 352 del ’70 deve accertare con ordinanza che le richieste depositate siano conformi alle norme di legge e quindi dichiararne la legittimità, tramite un comunicato stampa ha reso noto che con un’unica ordinanza, depositata il 12 dicembre ’24, ha dichiarato conformi a legge le richieste di referendum relative all’abrogazione totale della legge n. 86 del ’24 sull’autonomia differenziata e invece non conforme a legge la richiesta relativa all’abrogazione parziale della stessa legge n. 86. La cognizione  dell’ammissibilità del referendum di cui al secondo comma dell’art. 75 Cost. è invece demandata dall’art. 33, comma quarto, della legge n. 352 alla Corte Costituzionale che la decide con sentenza. La Consulta, con un comunicato stampa ha reso noto di aver concluso il 20 gennaio ’25  in Camera di Consiglio il giudizio sull’ammissibilità e di aver ritenuto inammissibile il quesito referendario sulla legge n. 86 del ’24 nel testo risultante all’esito della sentenza n. 192 della stessa Corte. Tale sentenza ha infatti eliminato gran parte del disposto normativo della legge lasciando in essere un contenuto minimo di difficile individuazione con i derivanti riflessi sulle comprensibilità del quesito referendario da parte del corpo elettorale e su una sua scelta consapevole. Da ciò dovrebbe discendere che se la legge ordinaria n. 86 sarà reintegrata o riscritta in modo conforme alla Costituzione la richiesta di referendum abrogativo di cui all’art. 75 Cost. potrà essere di nuovo avanzata e dovrebbe essere ammessa non rientrando nei casi di inammissibilità di cui al comma secondo dello stesso art. 75 Cost. . La sentenza della Consulta è arrivata ad affermare che il fine ultimo della richiesta di referendum sarebbe“non già su una legge ordinaria modificata da una sentenza di questa Corte, ma a favore o contro il regionalismo differenziato“. La Corte ha motivato la decisione con la considerazione che “Se si ammettesse la richiesta in esame, si avrebbe una radicale polarizzazione identitaria sull’autonomia differenziata come tale, e in definitiva sull’art. 116, terzo comma, Cost.” e ha concluso che tale articolo “non può essere oggetto di referendum abrogativo, ma solo di revisione costituzionale“. La sentenza con le motivazioni è stata depositata in Cancelleria il 7 febbraio ’25 con il n. 10 (Presidente G. Amoroso e redattore M. D’Alberti) e poi pubblicata nella G.U. 1^ Serie Speciale n. 7 del 12 febbraio ’25 dichiarando inammissibile la richiesta di referendum abrogativo della legge n. 86 che è stato così cancellato. 

Un’eventuale legge  di revisione costituzionale (art. 138 Cost.) come indicata dalla Consulta che, in un’ottica politica diversa rispetto alla scelta fatta con la riforma del titolo V, abroghi il comma terzo dell’art. 116 Cost. appare però di difficile approvazione in questa XIX legislatura della Repubblica iniziata nel settembre ’22. Occorre anche tenere presente l’avvenuta firma nel febbraio ’18 (Governo Gentiloni di centro-sinistra) di tre pre-intese con le regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna (Presidenti rispettivamente  R. Maroni, L. Zaia II, S. Bonaccini I) per  il riconoscimento di forme e condizioni particolari di autonomia di cui all’art. 116, comma terzo, Cost. . Resta altresì rilevante il fatto che sempre nell’anno ’18 anche le sei Regioni Umbria, Toscana, Marche, Campania, Piemonte e Liguria, tutte allora con Presidenti e Giunte regionali di centro-sinistra tranne la Liguria (Presidenti rispettivamente C. Marini II, E. Rossi II , L. Ceriscioli, V. De Luca I, S. Chiamparino e G. Toti I), avevano espresso al  Governo (Conte I c.d. giallo-verde) la volontà  di iniziare il percorso per ottenere ulteriori forme particolari di autonomia inviandogli le richieste di avvio dei negoziati. Sulla possibilità di avviare subito i trasferimenti di alcune specifiche funzioni la sentenza n. 192 sembra però escludere tale  eventualità. Quindi la reintegrazione della legge-quadro n. 86 per l’attuazione dell’autonomia differenziata con norme costituzionalmente conformi appare possibile e anche probabile, perché la Consulta ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge, facendo esultare il Ministro Calderoli e accogliere con favore la decisione da parte della maggioranza, anche se la forma di Stato regionale e il decentramento non sembrano confacenti per almeno una forza politica di Governo.

Fine parte terza e ultima



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