L’ira e gli insulti del governo. La Corte: «È inaccettabile»

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La risposta del governo alla sentenza della Cassazione sul caso Diciotti è unanime. E durissima. Attacca la premier Meloni che su X parla di decisione «frustrante» e aggiunge: «Non credo siano queste le decisioni che avvicinano i cittadini alle istituzioni». Insistono poi i due vicepremier. Prima Tajani: «Se ogni migrante clandestino che non entra in Italia fa una causa al governo italiano e il governo italiano deve pagarlo, faremmo saltare i conti pubblici perché tutti cercheranno di venire in Italia per speculare da questo punto di vista». E poi Salvini: «Mi sembra un’altra invasione di campo indebita. Se c’è qualche giudice che ama così tanto i clandestini, li accolga un po’ a casa sua e li mantenga».

NELLA SETTIMANA dell’infruttuoso incontro tra i vertici del governo e quelli dell’Anm, lo scontro sulla giustizia produce una fiammata talmente alta che la prima presidente della Cassazione Margherita Cassano si è sentita in dovere di rispondere di suo pugno. «Le decisioni della Corte di Cassazione, al pari di quelle degli altri giudici, possono essere oggetto di critica – si legge in una breve nota -. Sono, invece, inaccettabili gli insulti che mettono in discussione la divisione dei poteri su cui si fonda lo Stato di diritto». Non è la prima volta che Cassano fa sentire la sua voce nel dibattito: già a gennaio, all’apertura dell’anno giudiziario, aveva espresso il suo parere, pacato ma fermamente contrario, alla separazione delle carriere. Cioè alla madre di tutti gli scontri tra esecutivo e toghe, situazione che non appare destinata a migliorare perché la premier non ha alcuna intenzione di fare marcia indietro sul punto e più passerà il tempo più i toni si faranno sempre più aspri. Fino all’inevitabile referendum costituzionale, la cui campagna già si annuncia come battaglia campale senza esclusione di colpi. Che il momento sia pesante, ad ogni buon conto, lo confermano anche i comunicati usciti in serie dal Csm, dalla giunta e dalla sezione Cassazione dell’Anm. I concetti sono sempre gli stessi. Le decisioni della Suprema corte, scrivono i togati del Csm insieme ai consiglieri laici di centrosinistra, «devono essere rispettate perché a presidio del principio di eguaglianza e manifestazione del diritto di ricevere tutela giurisdizionale sancito dall’articolo 113 della Costituzione». E ancora: «La Costituzione è un bene comune dei cittadini italiani e deve essere tutelata da tutti gli attori istituzionali». Per l’Anm, poi, quelli del governo sono da leggere come «attacchi irrispettosi per la separazione dei poteri». E pensare che, dopo l’incontro avvenuto mercoledì a palazzo Chigi, si pensava che almeno per qualche tempo il clima sarebbe stato vagamente meno teso .

«L’IMPEGNO di non attaccare i magistrati per sentenze non gradite è durato il tempo di un tramonto», è il commento sarcastico del segretario dell’Anm Rocco Maruotti, che si aspetta di assistere a breve al consueto massacro mediatico con le vite dei giudici della Cassazione passate al setaccio alla ricerca di simpatie progressiste o idee non allineate a quelle dell’estrema destra di governo. Intanto, per una volta, le opposizioni reagiscono compatte. «Meloni continua ad alimentare lo scontro con la magistratura per coprire i fallimenti del suo governo – dice la segretaria del Pd Elly Schlein -. Ma la Cassazione è l’ultimo grado di giudizio, come stabilito dalla Costituzione, che non cambia in base al suo umore». Sulla stessa linea anche le altre forze, da Avs al M5s, passando pure per Italia Viva. Renzi ci va giù durissimo: «Penso che l’influencer (cioè la premier, ndr) stia sbarellando. In questo caso non è la Magistratura che prende il posto della politica. Stavolta è il governo che dopo aver esautorato il parlamento vuole zittire anche il potere giudiziario. Meloni sta volutamente esagerando per creare il caos».

IN TUTTO QUESTO, stamattina, l’Anm si vedrà nella sua saletta all’ultimo piano della Cassazione per la prima riunione del comitato direttivo centrale sotto la presidenza di Cesare Parodi. Tra i punti all’ordine del giorno, oltre a molte faccende tecniche e alla «individuazione dei mezzi finanziari per garantire lo svolgimento delle prossime iniziative» da mettere in atto contro la riforma, ce n’è uno così intitolato: «Regolamentazione della partecipazione dei magistrati alle iniziative organizzate dai partiti politici». La proposta viene da Magistratura indipendente, la corrente di destra, maggioranza relativa del parlamentino. Il tema di fondo è quello dell’imparzialità, declinato secondo un refrain molto in voga dalle parti del governo: un giudice deve essere come la moglie di Cesare e, oltre ad esserlo, deve anche sembrare imparziale. Per molti la bella frase, molto evocativa, serve solo a impedire che i magistrati intervengano nel dibattito civile del paese. Un problema che di certo non riguarda Mi, i cui interventi pubblici riguardano quasi esclusivamente faccende sindacali come le ferie e gli stipendi, ma soprattutto le correnti «di sinistra», all’interno delle quali è invece diffusa la convinzione che i giudici non si sottraggano al confronto sui temi della giustizia.



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