Disuguaglianze tra regioni ricche e povere, iniquità delle cure e (soprattutto) tracollo della medicina digitale. L’editoriale che The Lancet, rivista della British Medical Association (BMA), nella sua sezione europea tratteggia un quadro disastroso della sanità di casa nostra. “Tra le principali debolezze del sistema sanitario italiano – si legge – c’è la frammentazione dell’infrastruttura dei dati: non esiste un sistema unificato e centralizzato per la documentazione e la condivisione delle cartelle cliniche elettroniche, dei dati ospedalieri e delle cartelle dei medici di base”.
E ancora “ospedali e strutture sanitarie si affidano a sistemi di raccolta dei dati incompatibili tra loro e vetusti che rendono irrealizzabile il trasferimento delle informazioni sanitarie utili a curare i pazienti”. Tali difetti strutturali rendono assai improduttivo il Fascicolo sanitario elettronico, che permette di avere un accesso unico alla storia clinica del paziente (patologie, esami e terapie) – fruibile in formato digitale in ogni momento e luogo – attraverso referti, prescrizioni, lettere di dimissioni. Sullo stato dell’arte della sanità digitale in Italia Today.it ha chiesto chiarimenti a Rocco Carbone, presidente del Comitato tecnico scientifico SIT Basilicata e coordinatore Commissione di telemedicina in farmacia della SIT (Società Italiana Telemedicina).
Diffusione a macchia di leopardo
Tra gli obiettivi perseguiti dal Fascicolo sanitario elettronico – di cui è attesa la completa entrata in vigore nel giugno 2026 – c’è proprio quello di rendere più omogenei (e funzionali) i 20 differenti fascicoli gestiti dagli enti locali. Assodata l’autonomia gestionale da parte delle Regioni, tali fascicoli saranno chiamati (inevitabilmente) a “comunicare” tra loro. E bisogna ancora lavorare molto per la completa attuazione e diffusione del Fse. “Anche perché – spiega il coordinatore Commissione di telemedicina in farmacia della SIT – allo stato attuale l’innovazione del Servizio sanitario nazionale non procede in maniera univoca sul territorio, bensì con differenze tra le varie regioni”.
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Quindi Carbone affronta il tema dei finanziamenti previsti dalla Missione 6 salute – che, puntualizza l’Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali), “contiene tutti gli interventi a titolarità del Ministero della Salute suddivisi in due componenti: Reti di prossimità, strutture e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale; Innovazione, ricerca e digitalizzazione del Servizio Sanitario”): “I finanziamenti della Missione 6, in particolare riferiti a quelli delle farmacie rurali sussidiate (sotto i 3000 abitanti) sono in via di definizione ed hanno avuto un’applicazione diffusa sul territorio mettendo in condizione le piccole farmacie rurali di aderire e adeguarsi alla telemedicina“.
La messa a terra della telemedicina in farmacia, che quindi diventa un luogo in cui attivare anche forme di contatto con il sistema sanitario – “ha una buona aderenza e diffusione. Anche perché – prosegue Carbone – già in passato, le farmacie erano collegate col sistema distributivo dei farmaci e usufruivano, per l’esercizio e l’immediatezza di reperimento dei medicinali, di supporti e collegamenti informatici con la distribuzione intermedia”.
Modelli per l’assistenza territoriale
All’interno del DM 77/2022, il decreto del Ministero della Salute che definisce i modelli e gli standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel Servizio sanitario nazionale, l’approccio multi-professionale e multidisciplinare sono concetti chiave. Ciò detto, “l’applicazione del decreto sta rallentando anche perché si sovrappone ad altre iniziative locali e regionali, creando sprechi e conflitti di competenze”, precisa Carbone. “Inoltre – prosegue – la stessa diffusione non avviene in modo uniforme sul territorio nazionale e, a volte, anche nell’ambito dello stesso comprensorio dell’Asl”.
E sul tema della diffusione capillare delle farmacie? “Nel DM77/2022 – replica Carbone – rappresentano dei veri e propri presidi di sanità grazie alla presenza di personale sanitario laureato diffuso sul territorio, costantemente presente nell’arco della giornata e dei giorni festivi, che garantisce una sorta di continuità assistenziale a costo zero per il Servizio sanitario nazionale”.
Al contempo, occorre evidenziare alcune possibili criticità nella tangibile applicazione del decreto. Per fare due esempi: la criticità sia di adeguare le strutture e i servizi sanitari e sociosanitari ai nuovi modelli e standard previsti sia di assicurare la formazione (e l’aggiornamento) dei professionisti sanitari e sociosanitari coinvolti nelle attività di assistenza territoriale.
Percorso di transizione digitale
L’impiego di sistemi digitali sta modificando le modalità del sistema sanitario in ogni sua declinazione, impattando sulla pratica clinica: dal monitoraggio all’attività diagnostica al rapporto medico-paziente. In particolare, la presa di coscienza del cittadino verso l’innovazione tecnologica in sanità è una delle leve fondamentali per gestire, come prevenzione e cura, la propria salute.
Numeri alla mano, da una ricerca dell’Osservatorio Sanità Digitale del Politecnico di Milano emerge che il 73 per cento dei cittadini cerca in rete informazioni sul corretto stile di vita da assumere, il 33 per cento dei pazienti utilizza le app per controllare il proprio benessere psicofisico e una persona su cinque le utilizza come promemoria per assumere farmaci (22 per cento) o per monitorare i propri parametri clinici (21 per cento).
“I cittadini mostrano sempre più interesse nei confronti delle digital skills. Ciò nonostante, sarebbe opportuno incentivare le competenze digitali con una formazione specifica per gli utenti e ad hoc per i professionisti sanitari”, circoscrive Carbone. Le cui conclusioni si concentrano proprio sulle app per la salute e il benessere. “Bisogna ammettere che non sono così sviluppate e propagandate. È dunque necessaria una maggiore diffusione e accessibilità, con un’ulteriore attenzione e nuovi investimenti nel settore”.
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