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Aleksandar Trifunović (Buka)


“La situazione in BiH non è mai stata così pericolosa dalla firma degli Accordi di pace di Dayton. La pace in Bosnia Erzegovina ormai non dipende più dal sistema, dallo stato, dal parlamento, dalle potenze internazionali, dall’Onu, dall’UE, e men che meno dall’America.” Il commento del direttore del magazine Buka

(Originariamente pubblicato da Buka , il 6 marzo 2025)

La prima volta che Milorad Dodik fu ospite di una mia trasmissione fu poco dopo la sua sconfitta nella corsa per un secondo mandato come premier della Republika Srpska. Al termine di una seduta dell’Assemblea popolare della RS raggiunse direttamente lo studio dove stavamo registrando il programma “BUKA”, che realizzai al Teatro per bambini di Banja Luka in collaborazione con l’emittente Alternativna TV.

Teneva molto а partecipare alla trasmissione perché in quel periodo, essendo ormai passato all’opposizione, le sue apparizioni in tv erano diventate rare e confinate ai “media di Sarajevo”, come li definisce lui stesso. Il tema della trasmissione era: “Esiste la Bosnia Erzegovina?

Al programma, insieme a Dodik, partecipò anche Josip Pejaković, il cui monodramma “On meni nema Bosne” [E lui mi dice che la Bosnia non esiste] fu uno dei motivi principali per cui in quel momento decisi di occuparmi di questo tema, per poi realizzare una serie di interviste incentrate sullo stesso interrogativo: esiste la Bosnia?

Aprivo ogni intervista con questa domanda, per nulla casuale, ma nessuno dei miei interlocutori sapeva darmi una risposta diretta. Tutti si dilungavano cercando di argomentare, spiegare, trovare le parole giuste, poco convinti della saldezza delle proprie posizioni. Ma ne parleremo un’altra volta.

Il motivo per cui scrivo queste righe è un testo pubblicato da Dodik all’alba [di giovedì 6 marzo].

Milorad Dodik ci ha regalato un’opera letteraria che potrebbe essere intitolata “La Bosnia Erzegovina esiste, qualunque cosa sia”. Il suo stile di scrittura in un certo senso rievoca la sua fase riformista degli anni Novanta quando, da membro del parlamento della Bosnia Erzegovina, sosteneva che non ci sarebbe stata alcuna guerra e che bisognava concentrarsi sulla comprensione e sul lavoro, guardando all’Europa e al mondo. Mantenne questa retorica riformista fino a quando, quasi vent’anni fa, non conquistò un consenso plebiscitario in Republika Srpska.

Da allora, Dodik ha sempre utilizzato questo consenso come scudo e scusa, invocando la volontà del popolo per giustificare le proprie azioni.

Il problema è che nei suoi “annunci di nuove azioni”, difese dalla maggioranza, da tempo ormai si è persa ogni traccia dell’Europa, del mondo e del progresso. Oggi Dodik è ben lontano dall’essere quel riformista sorridente, che lui stesso ricorda malvolentieri. Oggi Milorad è molto ricco, arrabbiato, furioso e non risparmia parole. I suoi insulti ed esternazioni volgari ormai denotano banalità e maleducazione, riuscendo a far ridere solo Zmaj od Šipova [un pastore bosniaco diventato famoso per la partecipazione ad alcuni realty].

Tutti gli altri temono Dodik.

Ogni essere umano, per natura, teme i bulli.

Nel suo testo Dodik afferma che nessuno deve temere la guerra e la Republika Srpska, abbiamo sempre vissuto in questa terra, ci amiamo e ci odiamo allo stesso tempo, però ci capiamo, quindi dobbiamo restare qui, accettare le differenze e andare avanti.

Auspicabilmente, dice lui, senza armi…

Parole diametralmente opposte a quello che Dodik ha firmato la sera precedente. In contrasto con la retorica minacciosa con cui spiega le sue decisioni. In contrasto con le sue azioni.

Un giorno Dodik accusa i ritornanti di cospirazione, poi subito offre loro protezione, taccia gli esponenti dell’opposizione di essere traditori, poi li invita al dialogo. Annuncia di voler andare a Sarajevo a dialogare, per poi affermare che nessun politico di Sarajevo vuole venire a Banja Luka.

Nel suo testo di ieri mattina, una vita pacifica in Bosnia Erzegovina sembra possibile. Tuttavia, nei suoi discorsi, nelle sue minacce e nelle sue azioni politiche, non ci sono né pace né convivenza, non sono possibili.

Questo è il nocciolo della questione.

Milorad Dodik è ancora capace di dire una cosa e intenderne un’altra.

Può fingere di essere un uomo del popolo e, al contempo, nella tranquillità dei ristoranti raffinati, stringere patti con i suoi simili “dall’altra parte”, quegli stessi da cui ci proteggerebbe.

Può anche scrivere di pace, ma se ci sarà o meno la pace – è una questione ormai fuori dal suo controllo.

Per questo l’attuale momento è così pericoloso. La situazione in BiH non è mai stata così pericolosa dalla firma degli Accordi di pace di Dayton.

La pace in Bosnia Erzegovina ormai non dipende più dal sistema, dallo stato, dal parlamento, dalle potenze internazionali, dall’Onu, dall’UE, e men che meno dall’America.

Milorad Dodik ha oltrepassato quella linea.

Linea che forse ancora lasciava la possibilità di risolvere problemi alla solita maniera, con qualche concessione politica o un affare festeggiato con un bicchierino di grappa.

Ora la pace dipende dal caso.

Dalle circostanze.

Dalla capacità della maggioranza, per decenni rimasta in silenzio e connivente, di capire che questa volta non deve rendersi complice di una dinamica che possa sfociare in un nuovo conflitto – perché non ci siamo ancora ripresi dall’ultima guerra.

La guerra è orrore, umiliazione e morte.

Oggi basta un piccolo incidente per provocare un effetto domino e distruggere quel poco di pace e di vita che ci è rimasto.

Ormai dovrebbe essere chiaro – nulla è più prezioso della pace e della vita. Ecco perché vale sempre la pena battersi per la pace e per la vita, soprattutto quando la battaglia sembra persa.

È in questi momenti che dobbiamo lottare con maggiore tenacia.

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