Allarme case di riposo, rette in aumento ovunque: «E il servizio non migliora»

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Nelle 71 strutture ritocchi di 2-3 euro al giorno fino a mille euro l’anno sulle spalle delle famiglie che spendono già oltre ventimila euro

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Case di riposo, aumenti in vista




Case di riposo, aumenti in vista



Case di riposo, aumenti in vista

Da Sommacampagna a Legnago, da Pescantina a Villafranca fino all’Est veronese. Come anticipato a gennaio, le rette nelle case di riposo stanno aumentando. Ma i rincari sono maggiori del previsto perché nel frattempo la Regione ha messo in pratica l’annunciata sperimentazione triennale della «budgetizzazione».

La struttura di Legnago  imporrà un ritocco di 3 euro al giorno. Dal primo marzo ha aumentato anche la Campostrini di Sommacampagna, per 2 euro al giorno, quindi 60 euro in più al mese e oltre 700 l’anno. Qui le rette restano le più basse della provincia (57 euro al giorno) e non erano riviste da anni. Impossibile, tra incrementi dei costi dei fornitori che adeguano i prezzi all’Istat e il rinnovo dei contratti dei dipendenti per un più 1.500 euro l’anno, non aumentare anche nella struttura di Pescantina: 3 euro. E ancora Villafranca ha ritoccato le quote annualmente dal 2022 e da gennaio c’è un euro in più. E così via…

1,2 o 3 euro in più al giorno

Nelle 71 strutture – 52 private e 19 pubbliche – la quota viene rivista al rialzo di 1, 2 o 3 euro al giorno. Ciò comporta, per gli ospiti e le loro famiglie, un aggravio di spesa che va dai 360 ai 1.200 euro annui, che si aggiungono ai 23-27mila euro annui che già pagano, se hanno l’impegnativa.

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È un problema che riguarda un’ampia fetta di persone nel Veronese dove gli ultraottantenni sono 70.166, il 7,5% della popolazione totale. Nelle case di riposo i posti autorizzati e accreditati sono 6.090, di cui 398 per autosufficienti e ben 5.692 per non autosufficienti. Con oltre 1.400 anziani in lista d’ attesa. 

I conti delle famiglie

Nelle strutture, la media della retta mensile è di 2.200 euro, ma può salire a 3.500 se non si ha l’impegnativa per il contributo pubblico e si ricorre, per forza di cose, alla struttura privata. Le rette nelle strutture pubbliche vanno da circa 57-67 euro (a seconda della stanza se a più letti o meno) con impegnativa – quindi con il contributo pubblico – a 80-88 euro al giorno senza impegnativa, quindi con la retta tutta a carico delle famiglie. Nelle private le rette possono essere più alte.

«Le quote ricadono sui familiari, le cui casse, a salari fermi e con l’inflazione che incide su beni energetici e alimentari, vengono prosciugate», commenta Adriano Filice, segretario generale Spi Cgil Verona. Ne sa qualcosa una signora che ha la madre di 94 anni in un’Ipab della provincia da quattro anni e mezzo.

Con i rincari dell’ultimo triennio la retta che paga è di 2.280 euro ammortizzata neppure per la metà dalla pensione minima della madre di 700 euro più 400 di accompagnatoria: «La cifra restante la metto io e sono pensionata e figlia unica», racconta. «Posso capire i motivi dei rincari, ma nel frattempo il servizio peggiora: mia madre ha problemi solo motori, non cognitivi, ma si alza poco dal letto perché non c’è personale che la aiuti. Resta a letto per giorni. E in struttura ci sono anche persone con Alzheimer giovani che possono restare lì per anni».

Braccio di ferro

I rincari sono motivati dal costo dell’energia e dai rinnovi contrattuali del personale. Ma sulla questione è in atto un braccio di ferro tra le strutture, l’Ulss e la Regione soprattutto per la sperimentazione triennale che la Regione e Azienda Zero hanno avviato con la «budgetizzazione»: si è passati dal sistema di erogazione dei fondi per impegnativa a un budget massimo annuale, per acconti, per ogni struttura. Ma nel caso una avesse un aumento di impegnative e finisse il fondo in autunno, dovrebbe coprire i costi in più.

A gennaio, quando le case di riposo hanno ritoccato le quote, quindi, hanno tenuto conto anche di questo. Altro problema è il ritardo dell’Ulss nell’inserire in struttura un anziano non appena si libera un posto: passano giorni – nonostante siano tante le persone in attesa – e per gli enti sono mancati introiti. 

 

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