Precipitò dal tetto dell’ospedale. Una consulenza può far riaprire tutto

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Potrebbe riaprirsi con un colpo di scena la vicenda processuale scaturita dalla morte Leonardo Riberti, il 21enne ferrarese che – il 21 giugno 2022 – perse tragicamente la vita dopo essere precipitato – mentre era in stato confusionale – da uno dei tetti dell’ospedale Maggiore di Bologna, dove era ricoverato per rimuovere un corpo estraneo dall’esofago.

A distanza di mesi dalla sentenza di non luogo a procedere che il tribunale di Bologna aveva pronunciato per il medico Mauro Righi infatti, inizialmente accusato di omicidio colposo perché quella sera era di guardia nel reparto di Otorinolaringoiatria, una consulenza psichiatrico-forense potrebbe adesso cambiare le carte in tavola.

A eseguirla – indagando le condizioni psichiche della vittima – è stato il dottor Antonio Pellegrino, medico chirurgo specialista in Psichiatria, consulente di parte della famiglia di Leonardo Riberti, assistita dall’avvocato Fabio Anselmo.

La riapertura della vicenda sarà decisa dalla Cassazione, a cui il pm Luca Venturi ha fatto ricorso dopo il diniego che – lo scorso 10 febbraio – aveva ottenuto dal gip Roberta Malavasi, quando – sulla base della consulenza – chiese la revoca della sentenza e la fissazione dell’udienza preliminare per rinviare a giudizio il medico dietro la perizia di un collegio di esperti.

Obiettivo, chiarire se effettivamente doveva essere fatto intervenire uno psichiatra, come avrebbe dovuto comportarsi e se farmaci o altri presidi avrebbero potuto evitare la condotta che ha portato il giovane al decesso

Nelle proprie carte, infatti, Pellegrino evidenzia che Righi “non possedeva le competenze per la valutazione di un paziente psichiatrico in fase acuta di malattia psicotica, ma si limitò a osservare quanto vide in quel momento senza alcuna analisi più approfondita, denotando anche una visione preconcetta e distorta del paziente psichiatrico. Egli si trovava certamente di fronte ad un paziente fragile e a rischio, di questo era consapevole, ma non ha assunto alcuna decisione valida per la sua tutela limitandosi a constatare che fosse tranquillo e non violento, quindi innocuo, senza minimamente porre un pensiero su cosa avrebbe potuto accadere ad un paziente in quelle condizioni”.

Riberti quindi, che proveniva dal Servizio Diagnosi e Cura della Psichiatria Universitaria di Ferrara, per il consulente fu trattato come un “qualsiasi paziente giunto dal domicilio e non come un paziente trasferito da un reparto psichiatrico dove era ricoverato per psicosi acuta. I medici di Bologna lo sanno, lo scrivono meccanicamente ma non mettono in atto alcun provvedimento di sicurezza in proposito né tantomeno chiedono in modo efficace una consulenza specialistica psichiatrica al fine di avere una valutazione attuale delle condizioni psichiche del paziente e degli eventuali presidi terapeutici da attivare”.

Il consulente della famiglia pone un’ulteriore focus “sulla gestione strettamente clinica del paziente che, dopo l’intervento di rimozione del corpo estraneo, viene lasciato in stanza e, non appena terminato l’effetto degli anestetici, si allontana tranquillamente dal reparto senza che nessuno se ne accorga. Nessuna valutazione clinica viene fatta sulla durata dell’effetto degli anestetici e su come, una volta terminato, il paziente fosse privo di qualsiasi copertura farmaco terapeutica per la psicosi di cui soffriva in forma acuta“.

“Gli studi clinici – si legge ancora – hanno acclarato che il suicidio può essere prevedibile ma non prevenibile essendo molteplici gli elementi che vi concorrono ma in questo caso appare evidente come non sia stata messa in opera alcuna azione di prevenzione dell’incidente prima ancora del suicidio. Siamo quindi di fronte a una condizione di chiara e grave confusione che lo porta ad agire in modo privo di logica inseguendo chissà quali fantasie psicotiche fino a condurlo su un tetto e poi alla morte per precipitazione”.

Riberti – sottolinea Pellegrino – “non è stato protetto rispetto alle condizioni di assenza di piena consapevolezza della propria condizione e dei rischi cui si esponeva con il proprio comportamento, la condotta omissiva dei medici dell’ospedale Maggiore di Bologna consiste proprio nel non aver preteso una valutazione specialistica di questa condizione, limitandosi a chiudere delle porte, condotta forse da vigilante non certo portatrice di una valenza clinica che avrebbe invece richiesto la valutazione e l’intervento sul paziente e non solo sull’ambiente”.

“Appare evidente – conclude Pellegrino – che Riberti non sia precipitato al suolo per decisione suicidaria, ma per una condizione di ipovigilanza che lo ha portato su un tetto alla ricerca di una via di fuga immaginaria, lo stato di coscienza compromesso potrebbe averne determinato la caduta nel vuoto e il conseguente decesso. I sanitari che lo avevano in carico in quel momento avevano il dovere di valutare con accuratezza le condizioni psichiche del paziente ricoverato e non lasciarlo libero di muoversi come invece non accade nei reparti di Psichiatria“.

Ora la speranza, per la famiglia, è quella di arrivare a un processo come sottolinea l’avvocato Fabio Anselmo, che attende con ansia la decisione della Cassazione dopo il ricorso del pm titolare del fascicolo di indagine: “Sono davvero molto soddisfatto che la Procura si sia convinta e determinata sulla base della nostra consulenza a garantire un processo per la tragica morte di Leonardo. Adesso pero che il ricorso per Cassazione trovi ragione di un’esigenza di giustizia che abbiamo sempre sentito necessaria per Leo”.

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