Luci Cavallero, letture femministe del debito

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«Oggi l’Argentina è un laboratorio dell’estrema destra. Stiamo assistendo al chiaro progetto di controllare i movimenti femministi e la loro capacità di creare alleanze e nuove politiche di resistenza al neoliberalismo», afferma Luci Cavallero, attivista di Ni Una Menos, sociologa, ricercatrice e autrice, tra gli altri, di Una lectura feminista de la deuda (Tinta Limón Edicion, 2019, pubblicato in Italia nel 2020 da ombre corte con il titolo Vive, libere e senza debiti! Una lettura femminista del debito; traduzione dallo spagnolo di Nicolas Martino; postfazione di Federica Giardini) scritto insieme a Veronica Gago. Nei suoi testi Cavallero ha analizzato il concetto di debito secondo una prospettiva femminista, interpretandolo come una forma di violenza economica che colpisce in particolare le donne.

Secondo la ricercatrice, il debito è una costruzione politica che ha radici nelle disuguaglianze e riproduce strutture di potere patriarcali. Si nutre delle politiche neoliberali che costringono a indebitarsi per soddisfare i propri bisogni fondamentali, diventando così una costante nella vita delle persone vulnerabili che tende a controllare e a collocare in una posizione subordinata. Contro «le politiche di austerità», contro «la fame» e contro «la crudeltà» del governo del presidente Javier Milei, Ni Una Menos, e i movimenti femministi e delle donne, scendono in strada l’8 marzo. «Scioperiamo contro i discorsi di odio, contro uno Stato che solletica passioni fasciste, contro l’estrema destra», prosegue Cavallero. «Scioperiamo contro lo smantellamento delle politiche di genere». Nel primo anno alla Casa Rosada, Milei ha distrutto decenni di politiche femministe. Ha chiuso il ministero delle Donne, genere e diversità insieme al Sottosegretariato contro la violenza di genere.

I programmi in sostegno alle donne che subiscono violenza, come la linea telefonica 144, sono stati sospesi e fortemente depotenziati. Milei ha vietato l’uso del linguaggio inclusivo nell’amministrazione nazionale, ha attaccato il diritto all’aborto e l’insegnamento dell’educazione sessuale completa nelle scuole. Lo scorso novembre l’Argentina è stato l’unico Paese a votare contro una risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite volta a prevenire ed eliminare ogni forma di violenza contro le donne e le ragazze.

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Domani, nella Giornata Internazionale dei diritti delle donne, Ni Una Menos sarà in piazza. Lo sciopero è un dispositivo politico nato grazie ai movimenti femministi argentini.
In Argentina lo sciopero femminista è stato un’invenzione politica molto importante: è nato nel 2016, ispirato allo sciopero delle donne che in Polonia stavano protestando per ottenere il diritto all’aborto. Noi abbiamo deciso di indire uno sciopero dopo alcuni brutali femminicidi. Ci siamo riunite in assemblee convocate per la prima volta negli spazi del sindacato delle lavoratrici dell’economia popolare.
Questo ha generato una interessante discussione su come rendere visibili i lavori che fino a quel momento non erano considerati come tali. Lo sciopero ha attivato una riflessione su chi produce la ricchezza nel nostro Paese, su quali sono le forme di lavoro messe ai margini; i lavori delle persone migranti, i lavori domestici e comunitari. Abbiamo messo al centro dell’analisi le violenze economiche e la loro relazione con la violenza di genere. Oggi siamo in una fase in cui lo sciopero è più importante che mai. Manifestiamo contro la fame e la crudeltà del governo di Milei. In Argentina c’è una grave crisi economica. La povertà ha superato il 50% della popolazione. I salari sono sempre più bassi rispetto al costo delle bollette e del cibo. I licenziamenti nel settore pubblico non si fermano.

Luci Cavallero (foto di David F. Sabadell)

In un anno, Milei ha smantellato decenni di politiche femministe. Solo pochi mesi fa, ha dichiarato di volere eliminare il femminicidio dal codice penale. È una guerra culturale?
In Argentina l’estrema destra sta chiaramente mettendo in pratica il suo progetto politico di controllare la popolazione, colpendo il movimento femminista che è un movimento che mette in discussione le strutture della disuguaglianza, l’obbedienza, il sacrificio dei corpi e il lavoro non retribuito. Il movimento femminista pone in primo piano la difesa dei territori e dei corpi e l’opposizione alla concentrazione della ricchezza, attraverso forme che vanno oltre l’individualismo autoritario e possessivo: per questo le destre considerano strategico attaccarlo.
Il femminicidio è il riconoscimento giuridico che esistono crimini motivati dall’odio di genere; è la constatazione che ci sono strutture patriarcali profonde e una relazione diseguale tra i generi. Da un lato il governo cerca di attaccare il movimento in quanto tale, dall’altro prova a ricollocare le donne nel silenzio e in una condizione di subordinazione. Così «naturalizza» la violenza contro le donne perché è promossa e sdoganata dallo stesso Stato.
Vuol dire che nei luoghi di lavoro o in casa sarà più difficile denunciare un abuso. Siamo oltre la guerra culturale. Ci troviamo di fronte a una guerra che ha a che fare con la materialità più profonda della nostra società. È un attacco contro le nostre condizioni di vita.

Nei suoi testi sostiene che violenza economica e finanziaria sono legate. In che modo?
Da tempo stiamo analizzando come l’estrema destra, in nome della libertà, produce violenza economica e repressione. È fondamentale comprendere che cosa significa il fatto che è arrivata al governo in modo democratico e appellandosi al concetto di libertà e libertà finanziaria. Un concetto per cui le disuguaglianze e le problematiche sociali si risolvono con strumenti finanziari, quindi secondo una logica individualista. Ciò che emerge è che l’estrema destra sta interpretando un cambiamento nelle classi popolari che, per potere sopravvivere, si ritrovano a fare affidamento su una proliferazione di strumenti finanziari.
All’interno del movimento femminista stiamo discutendo su come l’indebitamento per vivere è una forma di violenza economica. È importante capire che vivere indebitati, e a tassi di interesse altissimi per sopravvivere come accade in Argentina dal 2018, è violenza economica.
È fondamentale riprendere il filo di questo processo, che ha avuto inizio con l’ingresso del Fondo Monetario Internazionale nel Paese e con l’imposizione di politiche di austerità. Molte persone hanno dovuto integrare il loro reddito indebitandosi, modificando drasticamente il rapporto tra reddito e debito che è ormai legato a cibo, farmaci e servizi sanitari, bollette e anche a forme di micro-speculazione tramite strumenti della finanza digitale. La presenza del FMI e delle politiche di austerità ha trasformato il debito in una costante nella vita quotidiana.

Quando il Fondo Monetario internazionale entra in casa? Come colpisce le donne e le dissidenze?
In modo particolare il debito colpisce le donne perché hanno alti indici di informalità lavorativa e sono occupate in lavori non retribuiti molto più degli uomini. Sono centrali nel sostenere l’economia domestica; in un contesto di crisi e austerità, si indebitano di più e in condizioni di maggiore informalità. Quando lo Stato dedica le sue risorse principali al pagamento del debito estero, come sta succedendo in Argentina dal 2018, si ritira da aree fondamentali come la salute e l’educazione.
Da quando lo Stato è nuovamente indebitato con il FMI, sono state sistematicamente ridotte le risorse destinate a permettere alle donne di andare in pensione quando non hanno i contributi necessari a causa degli alti indici di informalità lavorativa. Il debito ostacola la possibilità che le donne e le dissidenze sessuali possano ottenere più diritti: è il nemico principale per il riconoscimento del lavoro non retribuito perché il debito vive di esso e della riproduzione di aree lavorative dove le retribuzioni continuano a peggiorare con livelli di sfruttamento, anche del territorio, sempre più alti.



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