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Per dire quanto è serio il problema: di recente, la segretaria USA all’Agricoltura Brooke Rollins si è spinta a consigliare ai consumatori statunitensi di tenere una o più galline nel cortile di casa. Un suggerimento saggio, eccentrico, creativo, forse anche un po’ rischioso? Ognuno valuterà da sé. Fatto sta che è la spia di un problema: quello della disponibilità (insufficiente) e del costo (ormai quasi proibitivo) delle uova negli Stati Uniti d’America.
Sì, esatto: le uova. Sta diventando sempre più dispendioso – laddove ancora possibile – mangiare una buona omelette negli States. Vediamo perché. E, soprattutto, quali effetti ha tutto questo sul potere d’acquisto e sull’inflazione.
L’impennata delle uova: cosa sta succedendo?
Immagina di andare al supermercato, raggiungere lo scaffale dove le uova di gallina sono ordinatamente inscatolate in confezioni da quattro, da sei o da dieci, e scoprire che quella da dieci costa qualcosa come 5 euro. Hai fatto un sobbalzo? Ci sta: attualmente, in Italia una confezione da sei uova costa all’incirca 1,50 euro (la dozzina ne costa tendenzialmente 3, al massimo 4, a seconda del marchio e del tipo di prodotto). Pensa allora ai consumatori USA, che per dodici uova (la famosa “dozzina”) oggi possono arrivare a spendere 5 o 6 dollari (in alcune aree, anche 10 o più).
Come mai? Tolta una brevissima parentesi in piena pandemia Covid, negli Stati Uniti i prezzi delle uova sono rimasti sotto i 2 dollari la dozzina dal 2016 fino a quando hanno iniziato a salire, nel 2022. Il problema ha avuto inizio sotto la presidenza Biden, quindi, e l’attuale amministrazione Trump ha promesso di risolverlo. Certo, la sfida non è di poco conto.
Il rialzo non è dipeso solo dalla generale fiammata inflazionistica che ha preso slancio dopo la pandemia di Covid-19: gran parte dei rialzi è dovuta ai focolai di influenza aviaria (la H5N1), che ha cominciato a diffondersi negli allevamenti USA dal 2023 sterminando milioni di polli e galline e costringendo i produttori a eliminarne altri milioni per bloccare la diffusione dell’infezione. Tutto ciò ha ridotto il numero degli esemplari. E, di riflesso, la quantità di uova disponibili per il mercato.
L’offerta scarseggia e i prezzi delle uova volano
Tieni conto che il problema non si risolve eliminando gli animali infetti: soppressi i polli e le galline, ci vogliono mesi per smaltire le carcasse, ripulire e sanificare i pollai e poi allevare altre galline fino al momento in cui sono abbastanza mature da poter deporre uova. Gli allevatori devono inoltre investire in interventi di biosicurezza, implementando misure più stringenti per prevenire il contagio (i lavoratori, per dire, devono usare tute apposite e cambiarsele scrupolosamente prima di andare in un altro pollaio). L’amministrazione Trump ha recentemente promesso di investire un miliardo di dollari per fronteggiare la situazione: una cifra destinata principalmente a coprire le spese degli allevatori.
Insomma, non è facile per gli allevatori. E per i consumatori? Se ci segui da tempo, sai che i prezzi si determinano dall’incontro tra domanda e offerta:
- se la domanda è anemica e l’offerta è vivace, i prezzi scendono per stimolare la richiesta;
- se invece la domanda è consistente e l’offerta insufficiente, quel poco che è disponibile lo si fa pagare di più.
L’incremento dei prezzi limita l’accesso a un bene (le uova) numericamente contenuto. Ma non è solo un problema di costo della materia prima: gli scaffali nei supermercati sono spesso vuoti o semivuoti; anche quando sono riforniti, è sovente previsto un limite alla quantità di uova che ognuno può comprare; i ristoranti che ancora servono omelette le fanno pagare di più (va detto, per maggior completezza, che molti stanno adottando ingredienti alternativi).
Tutto questo ci ricorda che l’inflazione non è alle spalle
La scarsità delle uova e i costi di quelle disponibili ci ricordano che l’inflazione non è una sfida del tutto superata. Anzi. A gennaio, l’indice dei prezzi al consumo degli Stati Uniti ha segnato un +3% dal precedente +2,9%, mentre il dato di fondo è salito dal +3,1% al +3,3%. Questo per quanto riguarda la variazione annua: su mese, il dato principale è salito del +0,5% (dal +0,4% di dicembre), il core del +0,4% (dal +0,2%). Per avere un’idea: nel corso del mese, l’indice delle uova è aumentato del +15,2%.
I prezzi sono gli osservati speciali delle banche centrali. Il quesito, quindi, è: quanto tutto questo romperà le uova nel paniere alla Federal Reserve, l’autorità monetaria degli Stati Uniti d’America che si riunisce il 18 e 19 marzo? Sicuramente, la Fed terrà conto che c’è ancora fibrillazione sul fronte dei prezzi. E che i dazi incrociati cui stiamo assistendo potrebbero acuire tale fibrillazione. Al momento, il mercato prevede tassi fermi anche nella riunione di marzo. Più avanti, si vedrà.
Intanto, come sempre, per essere certo di leggere correttamente il quadro generale, senza lasciarsi andare ad ansie e timori, continua a confrontarti con fiducia con il tuo consulente finanziario.
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