Separazione carriere, Felice Lima: ”Il potere vuole ‘razzismo’ della giustizia”. Il sostituto procuratore generale di Messina commenta l’ipotesi di riforma in discussione
Il sostituto procuratore generale di Messina commenta l’ipotesi di riforma in discussione
“Trattare del tema della separazione delle carriere fra giudici e pubblici ministeri è per me difficilissimo, perché si tratta di un argomento inquinato da troppi interessi inconfessabili e da troppi falsi argomenti. Una cosa che mi sento di dire è che da quando ho l’età della ragione pochissime delle grandi riforme della giustizia proposte dalla politica avevano come scopo di migliorarla.
Tanto che a un certo punto della mia carriera di magistrato mi sono convinto che i Ministri non dovrebbero chiamarsi ‘della Giustizia’, ma ‘contro la Giustizia’”.
Lo scrive, su Facebook, il sostituto procuratore generale di Messina Felice Lima, da anni impegnato nella lotta alla mafia e pm di inchieste sui rapporti fra boss, politici e imprenditori.
Il magistrato è intervenuto sul dibattito che si sta generando da tempo sulla riforma della giustizia ed in particolare proprio sul disegno di legge che prevede la “separazione delle carriere” su cui il governo punta forte.
“Mi fa ridere, quando riesco a non piangere, sentire gente che dice di credere che Nordio e i suoi soci stiano facendo tutto questo ammuino per migliorare la giustizia e che non hanno assolutamente come obiettivo il controllo del pubblico ministero e dell’azione penale – aggiunge – Si tratterebbe, in pratica, di persone sincere, animate da un sincero desiderio di giustizia”.
E poi ancora: “C’è un argomento che vorrei proporre (in relazione a una notizia di stampa di oggi che condivido in questo post, che mi sembra nessuno consideri. Il pilastro portante su cui viene fondata l’esigenza di separare le carriere è la tesi che questo serva ad avere ‘un giudice terzo'”.
Quindi aggiunge: “Tutti sembrano credere (anche se non so come facciano) che per avere una giustizia ‘giusta’ sia sufficiente avere ‘un giudice terzo’. Sembra sfuggire a tutti che in un paese razzista, si può rendere razzista la giustizia in due modi: nominando giudici razzisti, oppure nominando giudici onestissimi e ‘terzi’, ma mandando a giudizio solo i neri. I giudici giudicheranno imparzialmente, ma solo le persone che i pubblici ministeri gli manderanno. I bianchi non saranno favoriti dai giudici, saranno favoriti dal sistema che gestisce i rinvii a giudizio. E lo strumento si può migliorare ulteriormente, facendo quello che propone oggi Nordio: togliere ai pubblici ministeri il controllo della polizia giudiziaria, lasciandolo nelle mani del Governo.
Così avremo giudici ‘terzi’ che giudicano solo quelli che i pubblici ministeri mandano a giudizio.
E avremo pubblici ministeri che apriranno procedimenti solo sui fatti che il Governo, tramite la polizia giudiziaria, gli vorrà fare conoscere.
Alla faccia della separazione dei poteri e della buonanima di Montesquieu.
Ma l’Unione delle Camere Penali sarà felicissima perché avrà il suo giudice ‘terzo’ (come se oggi non l’avessimo)”.
“Va detto che questo ‘razzismo’ della giustizia c’è già oggi ed è moltissimo grave.
Solo che il potere vuole un ‘razzismo’ ancora più grande – continua Lima nella sua analisi – Per evitare equivoci, segnalo che uso qui la parola ‘razzismo’ come una metafora, perché il vero ‘razzismo’ in atto nella giustizia italiana non è solo quello fra imputati bianchi e imputati neri, ma è quello fra cittadini qualunque, poveracci e potenti.
Già nella sua struttura formale il sistema penale è ‘razzista’. Per il furto di una mela al supermercato sono previste pene edittali molto più gravi che per la corruzione e, addirittura, per la corruzione non è prevista alcuna pena pecuniaria.
Inoltre, il sistema dei benefici in sede di esecuzione è costruito per evitare a qualsiasi costo il carcere a chi faccia parte dei piani alti della società.
Non è un caso che la stragrande maggioranza della popolazione carceraria in Italia sia costituito da tossicodipendenti ed extracomunitari”.
Lima, dunque, racconta la sua esperienza personale: “Io ho lavorato – come giudice prima e pubblico ministero poi – nel settore penale dal 1987 al 1993. Poi ho fatto il giudice civile per moltissimi anni. E, infine, dal 2017 sono tornato, come pubblico ministero, a lavorare nel settore penale. In occasione di questo ritorno, mi sono reso conto che l’oggetto delle indagini e dei processi è cambiato moltissimo”.
Infine conclude: “Oggi la stragrande maggioranza dei processi riguardano spaccio di droga e violenze contro le donne (e, ovviamente, sono contentissimo che finalmente si combattano gli orrendi crimini di genere).
Ma bisogna interrogarsi sulle ragioni per le quali in un paese come il nostro che sta ai primi posti nelle graduatorie della corruzione, i processi per i reati dei colletti bianchi sono pochissimi e infinitamente meno quelli che producono una pena effettivamente eseguibile.
La polizia ‘produce’ in larga maggioranza indagini verso obiettivi ‘facili’ e ‘condivisi’.
E i giudici ‘terzi’ consumano le loro giornate punendo esemplarmente poveracci.
Quando, ‘per disgrazia’, gli arriva sul tavolo un Presidente di Regione corrotto riscoppia puntuale la ‘guerra fra politica e magistratura’ e si fa una ulteriore riforma della giustizia.
Il problema è che questa già non è ‘giustizia’ e dopo queste altre riforme lo sarà ancora molto di meno.
Il pubblico ministero è già oggi moltissimo ‘addomesticato’ dalla politica. Domani lo sarà ancora molto di più. P.S. – Personalmente, non solo non separerei le carriere, ma prevederei che non si può fare il pubblico ministero senza avere fatto prima per alcuni anni il giudice”.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link