Alzheimer E Disturbo Cognitivo, In Piemonte Oltre 166mila Casi “nuove Prospettive Per La Ricerca E La Cura Tra Tante Difficolta’”

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A Torino la sesta
tappa di una Road Map multiregionale sulle traiettorie da esplorare per affrontare le nuove sfide analizzando best practice e criticità

La provincia della Città della Mole è la più colpita, con oltre 86.500 casi di demenza e disturbo cognitivo: seguono Cuneo (21.400), Alessandria (17.400), Novara (13.400), Asti (8.400), Biella (7.600), Vercelli (6.900) e Vco (6.400)

Il 51% dei casi potrebbe essere evitato riducendo i fattori di rischio come fumo, obesità, diabete e sedentarietà. “Nei prossimi cinque anni, con una politica di prevenzione, sarebbe possibile evitare 28mila casi soltanto in Piemonte”

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Il dramma sociale ed economico dei caregiver, tra rinunce al lavoro e spese che arrivano a 1.800 euro al mese a famiglia

In corso i lavori per un nuovo PDTA che riduca la frammentazione dei servizi di assistenza, diagnosi e cura

Torino, 7 marzo 2025 – Con oltre 166mila casi soltanto in Piemonte, l’Alzheimer e le altre forme di disturbo cognitivo si stanno affermando come una delle principali cause di disabilità, con proiezioni che indicano una progressiva crescita, anche in relazione all’invecchiamento della popolazione. L’Italia, dove le persone con demenza o un disturbo cognitivo lieve sono circa due milioni, dal canto suo, ha messo in campo importanti risorse finanziarie, che ora possono essere investite promuovendo la sinergia tra la sanità pubblica, l’assistenza socio-sanitaria e sociale e la ricerca scientifica che, negli ultimi anni, ha fatto importantissimi passi avanti dal punto di vista diagnostico-terapeutico, dell’innovazione e della tecnologia. Molto, però, resta ancora da fare, anche a livello regionale, per garantire un equo accesso ai servizi di assistenza, diagnosi e cura, che in un futuro prossimo possa includere nuovi farmaci. Di questo, e molto altro, si è parlato a Torino in occasione del convegno “Nuove sfide per il disturbo cognitivo. Traiettorie da esplorare”.

Un incontro, quello organizzato da Motore Sanità con il contributo incondizionato di Lilly e di Project Way, che ha preso spunto dall’azione dell’Intergruppo Parlamentare per le Neuroscienze e l’Alzheimer e rappresenta la sesta tappa di un percorso iniziato a Padova e proseguito a Brescia, Napoli, Bari e Roma per poi continuare in altre Regioni. A Torino, nel convegno realizzato con il patrocinio di Asl CN1, Asl To3, Città della Salute de della Scienza di Torino, Alzheimer Piemonte Odv, Associazione Alzheimer Asti Odv, A.M.A, Fimmg, si sono confrontati clinici, esperti, stakeholders e rappresentanti delle istituzioni, tutti concordi sul fatto che i sistemi regionali siano chiamati a nuove sfide e sia arrivato il momento di dare risposte, traducendo raccomandazioni e suggerimenti in azioni concrete.

PERCORSI UNIFORMI PER DIAGNOSI PRECOCE E PRESA IN CARICO INTERGRATA

La ricerca scientifica – è emerso nell’incontro – ha affrontato numerose sfide nel corso degli anni, con significativi investimenti, perseverando sull’importanza dell’innovazione tecnologica per la diagnosi precoce, per il trattamento delle fasi iniziali della malattia e sull’importanza della riabilitazione cognitiva al fine di contrastare, su molteplici fronti, la progressione della malattia sin dalle sue fasi iniziali. Alla luce di queste considerazioni, emerge come prioritaria la necessità di una collaborazione sinergica tra il Servizio Sanitario Nazionale e i Sistemi Sanitari Regionali per favorire uniformità di percorsi diagnostico-terapeutici e assistenziali dedicati alle persone con Disturbo Neurocognitivo con l’obiettivo di garantire diagnosi precoce e tempestiva per una presa in carico integrata, multidisciplinare e continuativa. In conclusione, solo unendo gli sforzi della ricerca, della sanità pubblica e dell’assistenza sociale, possiamo sperare di migliorare significativamente la vita dei pazienti e delle loro famiglie, affrontando al contempo le sfide organizzative che questa malattia pone alla nostra attenzione.

I DATI DEL PIEMONTE

In Piemonte, le persone con demenza, di cui l’Alzheimer rappresenta il 60-70% dei casi, costituiscono una sfida crescente per il sistema sanitario e sociale. Secondo l’ultimo report dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) pubblicato nel 2024, si stimano nella regione oltre 92mila casi di demenza tra le persone con più di 65 anni e più di 1.700 casi di early onset (demenza ad esordio precoce) tra i 35 e i 64 anni. A questi si aggiungono circa 74.500 persone affette da Mild Cognitive Impairment (MCI), una condizione di declino cognitivo lieve che può evolvere in demenza. Le donne risultano maggiormente colpite rispetto agli uomini, con un rapporto di 2,3 nella fascia d’età più avanzata.

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La distribuzione dei casi di demenza nelle province piemontesi evidenzia che quella di Torino è la provincia più colpita, con oltre 47.000 casi tra gli over 65 e più di 880 casi di demenza ad esordio precoce (35-64 anni). Seguono Cuneo e Alessandria, rispettivamente con circa 11.600 e 9.600 casi nella popolazione anziana, mentre nelle province di Novara, Biella e Asti il numero di persone affette supera le 4.000 unità ciascuna. Anche nelle province più piccole, come Vercelli e Verbano-Cusio-Ossola, i numeri restano significativi, con circa 3.800 e 3.500 casi rispettivamente.

Per quanto riguarda il Mild Cognitive Impairment (MCI), che rappresenta una condizione a rischio di evoluzione in demenza, Torino registra il dato più elevato con oltre 38.000 casi stimati, seguita da Cuneo con circa 9.600 e Alessandria con oltre 7.600. Le altre province mostrano valori variabili tra i 3.000 e i 6.000 casi. La distribuzione riflette non solo il numero complessivo di abitanti anziani, ma anche fattori socio-economici e ambientali che possono incidere sul rischio di sviluppare la malattia.

UNA RETE PER LE NUOVE CURE CON 3 O 4 CENTRI DI RIFERIMENTO REGIONALI

“Partire da un discorso di epidemiologia – ha spiegato Piero Secreto, Direttore SC Geriatria U.O. Ospedale Fatebenefratelli di San Maurizio Canavese e membro del Comitato Scientifico dell’Associazione Alzheimer Piemonte – è importante per renderci conto dell’impatto che la malattia ha sulla domanda di salute, che si sta modificando tantissimo”. E, “nell’ottica dell’autorizzazione all’utilizzo degli anticorpi monoclonali, che potrebbe essere imminente, occorre uno sforzo maggiore per intercettare coloro che si trovano nella fase iniziale della malattia”. Secreto sottolinea la necessità di concentrarsi sugli oltre 74mila casi di MCI che le proiezioni epidemologiche stimano per il Piemonte. Casi in cui “la malattia non è ancora tale, ma potrebbe diventarlo”. Perché “è tra questi che andranno individuati coloro che potranno essere trattati con gli anticorpi monoclonali”. Dopo l’approvazione delle nuove cure, “andranno identificate con la massima precisione le persone che con più probabilità convertiranno da MCI a demenza e che potranno trovare giovamento dalle cure in termine di rallentamento della malattia”. Con inevitabili riflessi sui rapporti tra le varie figure professionali, “che dovranno collaborare insieme”, e sull’organizzazione del sistema sanitario nel suo complesso. Secreto ipotizza una rete composta dai CDCD presenti sul territorio regionale che potrebbero avere il compito di individuare i soggetti da inviare a “tre o quattro Centri di riferimento, a cui riservare il compito di individuare le persone a cui somministrare le nuove terapie, seguendone il follow up”.

Altro tema, la presa in carico. Dei 92mila malati di Alzheimer e altre demenze in Piemonte, ha spiegato Secreto, “ventimila sono presi in carico dai Centri per i Disturbi Cognitivi e le Demenze (CDCD) e altri 40mila circa risiedono nelle Rsa”. I restanti 30mila “mancano all’appello”. E allora occorre “intensificare gli sforzi per intercettarli, anche combattendo lo stigma che, purtroppo, accompagna ancora l’Alzheimer”.

Secreto ricorda le difficoltà delle famiglie, “visto che ad essere coinvolte sono almeno due o tre persone per ogni paziente”. E poi sottolinea il ruolo dei medici di medicina generale, “che dovrebbero essere il primo canale per intercettare le persone da mandare nei centri specialistici per la diagnosi”. Con la necessità di investire su “formazione e motivazione, alleggerendo il loro lavoro su altri fronti”. In questi giorni, poi, sta per essere rifinanziando il secondo fondo per le demenze. “Ma la logica dei fondi temporanei va superata, arrivando a un finanziamento strutturale nell’ambito del fondo sanitario nazionale. Riducendo al minimo la dispersione delle risorse”.

Il 51% DEI CASI SI POTREBBE EVITARE RIDUCENDO I FATTORI DI RISCHIO

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Sul fronte della prevenzione, secondo il report dell’Iss, in Piemonte, il 51,7% dei casi di demenza può essere attribuito a fattori di rischio modificabili, tra cui inattività fisica, isolamento sociale, ipertensione, obesità, diabete e inquinamento. Il Piano Regionale della Prevenzione del Piemonte prevede diverse azioni mirate, tra cui programmi per promuovere l’attività fisica e il coinvolgimento sociale. Tuttavia, l’analisi della qualità di queste iniziative ha portato l’Istituto Superiore di Sanità ad assegnare al Piano un punteggio di 14 su 63, indicando ampi margini di miglioramento. Molto si è fatto su isolamento sociale e su inattività fisica. Il professor Secreto ha ricordato come riducendo tutti i fattori di rischio “con una politica di prevenzione, si stima che, in Piemonte, nei prossimi cinque anni, si possano evitare 28mila casi di disturbo neurocognitivo”.

IL PIEMONTE LAVORA A UN NUOVO PDTA PER RIDURRE LA FRAMMENTAZIONE

Dal punto di vista normativo e organizzativo, il Piemonte ha recepito il Piano Nazionale Demenze nel 2016 e ha avviato un processo di riordino della rete assistenziale, trasformando le Unità Valutative Alzheimer in Centri per i Disturbi Cognitivi e le Demenze (CDCD), che sono 22. Tuttavia, il Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale regionale risale al 2013, e dunque a un’epoca precedente alle Linee di indirizzo sui PDTA per le demenze del 2017, e va aggiornato, in modo da stabilire un percorso valido per tutti e ovunque, superando l’attuale frammentazione. Per comprendere quanto sia necessario uniformare le linee guida, basta pensare che risultano presenti tre PDTA aziendali: ASL TO5 (2017), ASL Vercelli (2016), ASL Verbano-Cusio-Ossola (VCO) (2023). Con i documenti delle prime due che sono antecedenti alle Linee di indirizzo nazionali, mentre il PDTA dell’Azienda VCO (redatto nel 2023) ha ottenuto dall’Istituto Superiore di Sanità un punteggio complessivo di 20/43, mostrando una bassa conformità rispetto alle Linee di indirizzo stesse. Il Piemonte, però, si sta organizzando. E, come ha spiegato il professor Piero Secreto, “sono in corso i lavori per la predisposizione di un nuovo Pdta regionale”.

IL DRAMMA DEI CAREGIVER TRA RINUNCIA AL LAVORO E SPESE CHE ARRIVANO A 1.800 EURO AL MESE

La demenza rappresenta una sfida non solo sanitaria, ma anche sociale ed economica per le famiglie dei pazienti, come emerge da un’indagine riportata nel report dell’Istituto Superiore di Sanità che in Piemonte ha coinvolto 169 caregiver di persone affette da demenza, evidenziando l’impatto profondo di questa patologia. Il caregiver, nella maggior parte dei casi (72,8%), è una donna con un’età media di 57,9 anni, spesso figlio/a (67,5%) o coniuge (24,9%) del malato. Circa la metà dei caregiver vive con il paziente e il 61,5% lavora, dovendo bilanciare l’impegno lavorativo con una media di 8,5 ore di assistenza quotidiana. Il supporto esterno è presente, ma non sempre sufficiente: il 44,4% delle famiglie si avvale di un caregiver formale o badante, prevalentemente donne (92%) con un’età media di 51,2 anni. Tra questi, il 58,7% è di nazionalità straniera. Il peso economico della demenza è elevato: il costo medio per famiglia in Piemonte è di 1.404 euro al mese, superiore rispetto alla media nazionale. Se il paziente è assistito a casa, la spesa si aggira intorno ai 1.333 euro mensili, mentre per chi è istituzionalizzato si arriva a 1.896 euro. Questi costi gravano enormemente sui bilanci familiari, rendendo ancora più complessa la gestione della malattia. Anche la percezione dei servizi dedicati alla demenza è critica: il 37% dei caregiver piemontesi esprime un giudizio negativo o molto negativo, sebbene questa percentuale sia inferiore rispetto alla media italiana (43%).

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