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Due notizie, apparentemente senza connessione, si sono rincorse ieri nei commenti: la prospettiva in Germania di superare la norma costituzionale del “freno al debito”, e il dibattito in Italia su quanto proposto da von der Leyen per “riarmare l’Europa” in contrasto alla minaccia del neo imperialismo russo. Spinge a leggerle in parallelo il fatto che in entrambi i casi siamo davanti a gestioni dei sistemi di partito: nel caso tedesco, partiti che si sono combattuti anche da poco a livello elettorale, i quali mettono da parte le loro divergenze per fronteggiare una emergenza nazionale; nel caso italiano, partiti che nonostante facciano parte di uno stesso “campo” non riescono quantomeno ad avviare un confronto su quale sia l’interesse del Paese di fronte alla svolta storica in corso.
A Berlino il vincitore, per quanto non travolgente, delle elezioni cerca e trova l’accordo del suo rivale storico per rimettere mano ad una norma costituzionale che impedendo in pratica di fare debito ha inchiodato la Germania a non disporre degli strumenti per arginare una recessione che ne compromette la stabilità. Il cancelliere in pectore Friedrich Merz negozia con i vertici della Spd, non solo un futuro governo di coalizione, ma una accelerazione forzata della necessaria riforma costituzionale da fare, coinvolgendo anche i Verdi, prima che entri in carica il nuovo parlamento dove le forze estremiste di destra e di sinistra che hanno ottenuto grande successo nelle urne sarebbero in grado di bloccare il cambiamento.
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L’operazione viene fatta sia per dare una spinta all’economia contro la recessione, sia per trovare le risorse da investire in una politica di difesa senza la quale la Germania non rischia solo il suo confine con gli arrembaggi di Putin, ma anche la riconquista di un ruolo centrale negli equilibri di quella nuova Europa che sta emergendo dopo il cambio di rotta di Trump. Non sappiamo naturalmente se l’operazione avrà pieno successo, ma già l’averla messa in costruzione è il segnale di una maturità del sistema maggiore di quanto si poteva attendersi. In questo caso non ci sono stati problemi nel prendere di petto il dogmatismo retrò dei liberali, che non a caso sono andati male nella prova elettorale. E la ricezione della prospettiva da parte delle borse e del mondo economico mostra già effetti benefici.
La situazione in Italia
Ben diversa la situazione in Italia. Sorvoliamo sull’incapacità di trovare una visione largamente condivisa sul terreno della politica economica, dove sullo stato delle cose scorrazzano liberamente catastrofismi ed interpretazioni entusiastiche. È un freno, non costituzionale ma reale, al favorire politiche di intervento equilibrato capaci sia di affrontare le situazioni critiche, sia di sfruttare i fattori favorevoli che pure ci sono. Vediamo piuttosto il surreale dibattito sul ruolo che l’Italia dovrebbe avere di fronte a quanto a livello europeo va maturando in materia di difesa.
Le politiche pseudo pacifiste sono retaggio di una stagione in cui si era pensato che la guerra, in particolare la “grande guerra”, fosse un fenomeno ormai improponibile, vuoi per la presenza della deterrenza atomica, vuoi per il presunto tramonto degli imperialismi espansivi. La situazione è mutata, come è sotto gli occhi di tutti, e non per un evento eccentrico e imprevedibile, ma per un cambiamento che è in corso da parecchi anni. Pensare di star fuori da questa realtà è più che miope: è cecità incipiente. Chi dice di non voler consegnare ai nostri figli e nipoti un mondo che torni a conoscere la possibilità di conflitti armati, pensa di poter fermare un mutamento che è già in atto.
Chi vuole cavarsela tenendo i piedi nelle classiche due scarpe, si inventa la teoria che non di riarmo delle nazioni europee si debba parlare, ma del varo di un esercito comune a livello Ue (e si tralascia di porsi il problema di come includere in questo schema la Gran Bretagna).
Ora qualsiasi persona che sappia di cosa stiamo parlando, ricorderà che un esercito comune richiede un centro di comando unico, per quanto lo si possa porre sotto il controllo dialettico di un sistema articolato di poteri. Detto in una parola: richiede uno Stato. Non solo la Ue è ben lontana da questa configurazione, ma non si vede una volontà sufficientemente diffusa di arrivarci in tempi brevi. Conclusione: puntare ad una soluzione di questo tipo significa solo posporre il raggiungimento dell’obiettivo in un futuro lontano e nebuloso. Si tratta invece di rafforzare gli eserciti nazionali dei paesi europei, coordinarli, affrontare in modo solidale l’ammodernamento dei sistemi di difesa (si pensi solo agli scudi anti missile, terreno su cui a detta degli esperti siamo molto carenti), puntare a costruire un’industria della difesa capace di autonomia rispetto alle grandi centrali attualmente oligopoliste.
Certo neppure la scelta realistica del riarmo tenendo conto dell’attuale struttura che vede solo forze armate nazionali è semplice: investire in questo campo significa farlo a debito e non tutti possono sopportarlo agevolmente; costruire meccanismi di finanziamento solidale europeo (eurobond o qualcosa del genere) non è una passeggiata viste le tensioni attuali fra i 27 e le non ancora debellate remore sull’inaffidabilità delle cosiddette cicale…
Tuttavia questa è la (non semplice) strada da seguire ed è prevedibile che sarà intrapresa dagli Stati che si sono già mostrati consapevoli della svolta storica che si va delineando. Non è né saggio, né serio che in Italia si tratti questa materia delicatissima come una occasione per guerricciole all’interno tanto della maggioranza quanto dell’opposizione, mostrando una classe dirigente che in buona parte manca dei parametri e delle competenze per affrontare una emergenza davanti ai nostri occhi. Vogliamo sperare siano passati i tempi in cui si faceva politica contando sullo “stellone d’Italia”. Anche allora era una barzelletta da cui si tenevano lontani politici e classi dirigenti responsabili, ma in un contesto di sviluppo pacifico ci poteva anche stare come elemento di coesione alla buona.
Oggi non è più così e non è proprio possibile. La Germania qualche lezione positiva ce la può dare: non perché sia sempre più intelligente di noi, ma perché in questi giorni sta mostrando di avere imparato da alcuni suoi errori.
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