“Sono arrivata a sentirmi indegna di vivere. Ho trascorso anni di silenzio e di analisi al microscopio dei dettagli dell’inchiesta. Poi mi sono rialzata e riappropriata della mia dignità di professionista: le accuse sono ingiuste, lontane dai miei valori e le respingo con tutta la mia forza”. Tra le lacrime, ha esordito così l’assistente sociale Annalisa Scalabrini, che nel processo sui presunti affidi illeciti di bambini a Bibbiano è accusata in concorso con altri di falso nelle relazioni, tentata violenza privata, frode processuale e falsa perizia. È tra le ultime tre imputate che ieri hanno deciso di rendere dichiarazioni spontanee, poi i giudici ha dichiarato chiusa la corposa fase istruttoria del processo iniziato l’8 giugno 2022. Scalabrini, difesa dagli avvocati Cinzia Bernini ed Elisabetta Strumia, ha raccontato di aver attraversato “una tempesta giudiziaria e mediatica” e vissuto “un incubo”: “Non mi capacitavo del perché, sfogliavo le pagine dell’ordinanza cautelare e piangevo. In caserma incontrai altri indagati: avevano un’espressione affranta. Io ero sotto choc: non ho mangiato e dormito per giorni, venivo insultata per strada. Mi sentivo additata come un mostro”.
Ha poi ripercorso il suo lavoro nei servizi sociali Val d’Enza: “Avevo solo due anni di esperienza pregressa e mi fu chiesto di occuparmi di situazioni complesse. Ero fiduciosa di crescere professionalmente” in una sede “ritenuta un fiore all’occhiello in regione”. Cita un messaggio della responsabile Federica Anghinolfi in cui diceva che Scalabrini si sarebbe occupata di casi complicati: “Io risposi ‘Pietà’”. Ma riferisce comunque di essere stata “felice della scelta”: “Non ho mai lavorato da sola, c’era un approccio integrato e multidisciplinare. Mi confrontai sempre con le responsabili Anghinolfi e Marietta Veltri, senza sacrificare la mia indipendenza professionale”. Ha detto di poter aver fatto al massimo “qualche errore di valutazione dovuto a inesperienza, distrazione, gestione di urgenze o grossi carichi di lavoro, comunque in buona fede”. Ha avuto un pensiero per le parti civili: “È possibile che il mio agire sia stato mal interpretato dai genitori e mi dispiace per le conseguenze del mio lavoro e di quello dell’autorità giudiziaria, ma volevo solo proteggere i bambini”. È poi entrata nel merito delle accuse: ad esempio sulla minore che rappresenta il caso-pilota, “non intimidii mai la madre o tentai di spingerla a denunciare il suo ex compagno: i servizi volevano sapere se lei credeva alla figlia”, sulla quale sospettava un abuso sessuale, “e se voleva davvero tutelarla”. Seppe poi di essere indagata: “Pensai di mollare tutto, ma continuai a seguire il caso: non volevo che la bambina perdesse ogni punto di riferimento”. Su un’accusa di aver anticipato falsamente la data di un episodio, ha riferito di aver capito di aver commesso un “errore” e lo ha spiegato così: “Dalla mia relazione emerge che la consegna del nonno di documenti alla scuola avvenne prima del 9 aprile 2018 e non il 10”, parlando di una possibile confusione “tra la data dell’équipe e quella della consegna del plico”.
Ha ribadito che la decisione di allontanare la bambina, fatto datato 11 aprile 2018, fu presa dal giudice onorario e che poi Anghinolfi scrisse che non andavano coinvolti i nonni, mentre lei le rispose che era in udienza e si sarebbero riaggiornate. Due giorni prima ricorda che vi fu un confronto con l’autorità giudiziaria “perché i nonni facevano azioni non concordate e non protettive”. Parola anche alla neuropsichiatra infantile Valentina Ucchino, responsabile a Montecchio. Sull’impatto dall’inchiesta, ha detto di aver dovuto “sottoporsi a sedute psicologiche per elaborare rabbia e dolore” e di aver “passato anni a temere per ogni firma messa o per ogni parola detta, anche solo con ironia tra i colleghi”. Lei, difesa dall’avvocato Matteo Marchesini, si sofferma sulla relazione da lei controfirmata nel marzo 2018 e redatta dalla psicologa Imelda Bonaretti alla quale chiese nel 2016 di intraprendere un percorso psicologico sulla bambina (caso-pilota): “Ciò che la professionista scrisse era in linea con quanto lei mi riferì nel tempo su quel caso”. Piangendo, aggiunge: “Non avevo alcun motivo per non firmare quella relazione. In questi anni mi sono chiesta ancora se la rifirmerei. E la risposta è sì. È pratica comune, infatti, nei servizi, controfirmare le relazioni scritte da altri professionisti, ognuno riferendosi alla propria parte di competenza”. E aggiunge: “Io mi fidavo di ciò che Bonaretti mi riferiva sulle parole dette in ambulatorio durante le sedute con la minore”.
È stata sentita anche Bonaretti, assistita dall’avvocato Franco Libori e imputata anche per un presunto disegno della bambina falsificato con connotati di un abuso sessuale. La psicologa ha detto di non aver modificato quell’elaborato, di essere ancora oggi convinta che qualcosa di brutto fosse successo alla minore, di aver messo al primo posto la sua tutela, di non aver mai sparlato della famiglia e di non aver responsabilità nel suo allontanamento disposto al tribunale dei Minori.
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