le falle nello screening neonatale in Italia

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La Giornata della Malattie Rare, ha offerto l’occasione per un riflessione, spinosa, circa una sanità sempre più a due velocità nel nostro Paese. Prima delle dimissioni di ogni neonato, negli ospedali italiani, dal 1992, con un semplice prelievo di sangue dal tallone, si esegue lo screening neonatale.

Si va così ad indagare la presenza di malattie congenite che non si sono ancora manifestate: se intercettate e trattate con adeguate terapie, prima che nell’organismo creino danni irreversibili, consente di evitare esiti invalidanti per il resto della vita dei pazienti interessati.

E le buone notizie non sono ancora finite. Lo screening attuale si chiama ‘esteso’ perché man mano che la ricerca mette a disposizione nuove terapie è possibile allargare l’elenco delle malattie da inserire. Non è un caso, infatti, che dal ’92 ad oggi, la lista si sia allungata sensibilmente, offrendo la possibilità di vivere una vita normale ai piccoli pazienti e alle loro famiglie grazie ad approcci terapeutici mirati e tempestivi.

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Il problema, allora, dov’è? Nonostante lo screening esteso sia stato già inserito da anni nei LEA (Livelli Essenziali Assistenza) purtroppo non vi è stata una copertura finanziaria adeguata. Motivo per il quale alcune regioni l’hanno attivato, mentre altre hanno atteso un provvedimento nazionale – anche di natura economica – che non è mai arrivato. Tradotto in, dolorose, parole povere: a seconda della Regione in cui si nasce, si avrà la possibilità di ricevere test diagnostici più o meno approfonditi. Con le conseguenti mancate prese in carico precoci di malattie congenite non intercettate e, potenzialmente, risolvibili con un gioco d’anticipo adeguato.

A confermare la situazione a macchia di leopardo nel Paese, è la fotografia scattata dalla Società Italiana di Pediatria (Sip), con il supporto dei presidenti regionali della Sip e della Società Italiana di Neonatologia (Sin). L’indagine è stata resa pubblica nel settembre 2024. Indagando il quadro degli screening neonatali da Regione a Regione, si ha la conferma di un quadro estremamente disomogeneo. Con ovvie ricadute su pazienti e famiglie.

Abbiamo chiesto al professor Giovanni Corsello, presidente della Commissione di Etica Clinica in Neonatologia della Società Italiana in Neonatologia (Sin), di tratteggiare l’attuale situazione, tra luci (molte, grazie ai progressi scientifici) e ombre, figlie di un’iniquità e di ritardi territoriali che, di fatto, determinano situazioni di normalità o cronicità nel futuro adulto dei neonati. Con relativi costi, oltre che umani, anche sul Sistema Sanitario Nazionale.

Il professor Giovanni Corsello

In cosa consiste e a cosa serve lo screening neonatale?

“Lo screening neonatale, dal 1992 è una procedura obbligatoria per tutti. Si tratta di un mezzo di prevenzione per alcune malattie congenite che al momento della nascita non sono ancora manifeste. Spesso vengono diagnosticate dopo settimane, se non mesi, quando nell’organismo si sono già instaurati dei danni irreversibili. Lo screening consente quindi di identificare i soggetti a rischio: a seguito di una diagnosi di conferma si iniziano precocemente i trattamenti che possono evitare danni irreversibili.

Viene qualificato come strumento di ‘prevenzione secondaria’, in realtà è straordinariamente importante a livello sociale perché consente di evitare esiti invalidanti ai pazienti coinvolti, oltre ad incidere positivamente in termini di costi per sul sistema sanitario. Una novità importante risiede nel fatto che non è più confinato a tre malattie (fibrosi cistica, ipotiroidismo congenito, fenilchetonuria); attraverso le nuove tecnologie abbiamo ampliato l’elenco delle malattie identificabili. Siamo a quasi 50 patologie che noi possiamo identificare con lo screening, avviando terapie risolutive. Attraverso il trattamento tempestivo, infatti, possiamo garantire una vita normale ai soggetti colpiti.

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Si tratta, in larga parte, di malattie genetiche – spesso ereditarie – che hanno terapie efficaci di varia natura: enzimatiche, genetiche, in alcuni casi si effettuano trattamenti con le staminali. L’armamentario terapeutico è vasto. Lo screening si chiama “esteso” perché man mano che la ricerca mette a disposizione nuove terapie noi possiamo allargare l’elenco delle malattie da inserire. Ricordo che lo screening può essere proposto, anche per ragioni etiche, esclusivamente per patologie per le quali sappiamo di poter garantire un trattamento. Laddove non abbiamo ancora delle terapie efficaci è inutile, per non dire controproducente, utilizzarlo”.

Esiste però una disparità regionale

“Veniamo all’altra faccia della medaglia: nonostante lo screening esteso sia stato già inserito da anni nei LEA (Livelli Essenziali Assistenza) purtroppo non vi è stata una copertura finanziaria adeguata. Motivo per il quale alcune regioni l’hanno attivato, mentre altre hanno atteso un provvedimento nazionale – anche di natura economica – che non è mai arrivato. Ci si augura che, nel corso del 2025, si possa superare questa distribuzione così eterogenea, che ha generato anche un’ovvia iniquità. Non si può giustificare che per alcune malattie genetiche, per cui esistono trattamenti così efficaci, in una regione sia possibile fruirne e in quella limitrofa non via sia la medesima chance. Noi come società scientifica abbiamo sempre evidenziato questo nodo. Purtroppo il federalismo sanitario ha accentuato queste disparità”.

Quali ulteriori screening dovrebbero essere inseriti, considerando i passi avanti della ricerca?

“Fra le malattie che andrebbero inserite in maniera più urgente nella lista dello screening c’è sicuramente la SMA, che ha un’incidenza maggiore rispetto a quello che si riteneva, un dato che abbiamo estrapolato proprio grazie agli screening neonatali, ovvero 1 caso su 4mila nati. Abbiamo chiesto che l’elenco sia flessibile e aggiornabile ogni due anni. E’ inoltre fondamentale trovare anche un centro adatto per la presa in carico. Non si può fare una diagnosi e poi lasciare la famiglia senza dei centri di riferimento. Che può essere in ambito regionale e interregionale: identificare i centri screening tanto quanto quelli per la presa in carico”. Venendo alle buone notizie, questa pratica è in continua evoluzione? Quali nuovi strumenti remano a favore?

“L’intelligenza artificiale può semplificare e velocizzare le procedure, grazie per esempio agli algoritmi, la diagnosi; è utile inoltre per la condivisione e il confronto dei dati. Minimizzare inoltre anche i già bassi falsi positivi o negativi. Così come, per la presa in carico, è importante la telemedicina, anche per i confronti fra specialisti”.

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