Il sostegno all’Ucraina e la difesa comune europea. Sono questi i due temi cardine al centro del Consiglio europeo convocato per oggi a Bruxelles, con unico ospite il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (LE NEWS IN DIRETTA SUL CONFLITTO). I 27 in sostanza devono concordare la loro posizione sul conflitto e le eventuali garanzie di sicurezza che possono fornire per accompagnare l’accordo di pace, anche per venire incontro alle richieste degli Stati Uniti. Un confronto che parte dalle proposte avanzate dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen nel suo piano ReArm Europe: il prestito congiunto da 150 miliardi; la sospensione del Patto di stabilità per permettere agli Stati di investire nella difesa; la possibilità di utilizzare i fondi di Coesione per il riarmo; il maggiore impegno della Banca europea per gli investimenti e, infine, l’aumento dei fondi privati. Venerdì poi il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, con Ursula von der Leyen e l’Alta rappresentante Kaja Kallas, farà un ‘debriefing’ ai leader extra-Ue che negli ultimi giorni sono diventati partner fondamentali, Regno Unito, Norvegia e Turchia in primis.
Lo spettro del veto di Ungheria e Slovacchia
La proposta di Ursula von der Leyen viene vista solo come l’inizio della discussione e già diversi Stati membri, oltre a voler capire i dettagli del piano, chiedono più coraggio. La Germania, in particolare, ha ipotizzato deroghe maggiori al Patto di stabilità rispetto a quanto avanzato dalla Commissione. “La consapevolezza che l’Europa debba diventare più autonoma nella gestione della propria sicurezza è ormai condivisa da (quasi) tutti i leader europei. Il cambiamento nella posizione della nuova amministrazione statunitense e il suo dialogo con la Russia hanno creato una nuova dinamica che rende urgente una risposta chiara e coordinata da parte dell’Ue”, spiega un alto funzionario dell’Unione. Ungheria e Slovacchia però minacciano di usare il veto per bloccare la parte di conclusioni del vertice che vuole esprimere sostegno, anche militare, a Kiev: il premier ungherese, Viktor Orban, e quello slovacco, Robert Fico, hanno già fatto sapere che non condividono le conclusioni sull’Ucraina in cui viene delineato il principio di ‘pace con la forza’. L’alto rappresentante Kaja Kallas ha ad esempio immaginato un piano per fornire in fretta munizioni e missili alle forze armate ucraine con contributi calcolati sulla base del Pil dei vari Paesi: al momento in 16 su 27 si sono detti favorevoli.Â
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l nodo dei peacekeeper
L’altro tema è quello delle garanzie di sicurezza. Il tema dell’invio dei peacekeeper sarà dunque dibattuto dai leader, senza naturalmente entrare nei dettagli proprio perché al momento è “prematuro”, nel quadro di quanto “è realmente possibile ottenere”. Poi s’inizierà a discutere di quale potrà essere il ruolo dell’Ue – “finanziario, politico o altro” – nel caso si arrivi davvero alla “tregua e alla missione con gli scarponi sul terreno”.
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Difesa: Patto di stabilità e prestiti
Poi c’è il tema della difesa: per armare l’Ucraina, gli Stati europei devono prima armare se stessi. Berlino, per quanto riguarda l’attivazione della deroga al Patto di stabilità fino all’1,5% per quattro anni, ha detto – a quanto si apprende – che si potrebbe fare di più e per più tempo. I frugali guidati da Paesi Bassi e Austria sono però di un’altra idea: si può spendere di più rispettando le regole attuali. Lo strumento da 150 miliardi di prestiti viene definito poi come “solo l’inizio” e, se avrà successo, potrà essere rimpolpato con nuovi fondi, tanto che non è nemmeno escluso che si possa arrivare ai sussidi, come per il Covid, invece dei prestiti. I frugali – felici comunque che non si tratti di grants – chiedono garanzie sulla destinazione di quei fondi e la possibilità che siano almeno in parte trasferiti all’Ucraina, così come vorrebbero il coinvolgimento anche di Paesi partner extra-Ue. La Francia insiste invece sulla componente ‘Made in Europe’ per evitare che una buona percentuale di questi soldi finisca nelle tasche di imprese americane.
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