Gli ultimi suicidi di studenti rivelano il fallimento delle università

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Con cadenza quasi mensile, notizie tragiche emergono dalle università italiane, segnalando casi di suicidio tra giovani studenti schiacciati dal peso di pressioni impossibili da reggere. Sono gli effetti di un sistema che costringe persone giovanissime a combattere una battaglia quotidiana contro aspettative inumane, creando un ambiente in cui la sofferenza mentale è spesso invisibile, ignorata o, peggio, considerata una debolezza da nascondere

Nell’analizzare il fenomeno dei sempre più frequenti suicidi tra studenti, partiamo da un importante presupposto: la società in cui viviamo non ammette la vulnerabilità. L’obiettivo, a qualsiasi costo, è l’eccellenza. Da una parte, l’eccellenza viene presentata come la chiave per un futuro migliore, un’idea che si lega indissolubilmente al successo professionale, al benessere materiale e alla realizzazione personale. Dall’altra, però, questa stessa eccellenza è diventata una trappola che mina la salute mentale di chi non è in grado di mantenere il passo.

La perfezione, un obiettivo impossibile da raggiungere

Il fallimento è stigmatizzato e la perfezione è l’unico obiettivo accettabile, il peso di ogni errore, di ogni piccola frustrazione, diventa insostenibile. Questo è ciò che leggiamo tra le righe dei numerosi articoli che raccontano dell’ultimo suicidio, all’Università degli studi di Salerno, e di tutti i casi simili, che tragicamente non tendono a diminuire. Questa pressione si fa sentire in modo crescente durante tutti gli anni di scuola, arrivando al suo culmine durante l’università, quando le e gli studenti si trovano ad affrontare un sistema educativo che non sembra fatto per accogliere la fragilità, ma per premiare solo i più forti, i più preparati, i più competitivi, quelli pronti a tutto pur di rispettare quello standard. Le università italiane, purtroppo, non sono esenti da questa dinamica. Le borse di studio destinate alle “eccellenze” e gli studentati gratuiti per chi vanta una media alta sono segnali tangibili di un sistema che premia il prototipo dello studente perfetto, disposto a sacrificare la propria salute mentale in nome del risultato.

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La diretta conseguenza di questo sistema di merito è un aumento delle persone costrette a scegliere tra il benessere psicologico e la possibilità di accedere a opportunità concrete di supporto, anche economico, che restano una sorta di privilegio per pochi. Prendersi cura della salute mentale è, in molti casi, un lusso: la psicoterapia, i servizi di consulenza, i percorsi di counseling, sono spesso inaccessibili per chi non può permetterseli. Figuriamoci se devi pagare anche le tasse universitarie e un affitto.

Le logiche performative delle università italiane

Lo stigma sociale che circonda le difficoltà emotive e psicologiche non fa che aggravare questa situazione. In un contesto accademico dove l’ambizione è l’unico valore che conta, chi fatica a mantenere un ritmo serrato di esami e ottimi voti, finisce per sentirsi inadeguato, spesso invisibile. O meglio invisibilizzato dalle logiche performative che impongono agli individui di misurarsi continuamente con standard elevatissimi, senza contemplare la possibilità che qualcuno possa non raggiungerli.  In questo perverso sistema, che più che istruzione sembra un gioco a premi, ogni passo falso, ogni inciampo, ogni momento di stanchezza diventa una colpa da nascondere, una vulnerabilità da cancellare. Non possiamo più ignorare che il sistema educativo, in particolare quello universitario, contribuisce in modo significativo a questa dinamica. Non è sufficiente offrire borse di studio e benefit per chi è “eccellente”, quando non vengono messi in campo gli strumenti per affrontare le difficoltà psicologiche che il percorso accademico comporta.

Le università dovrebbero essere luoghi di formazione e crescita, ma la loro gestione, concentrata esclusivamente sull’aspetto meritocratico, rischia di trasformarle in istituzioni che alimentano il malessere e la solitudine

L’accademia deve smettere di ignorare la realtà del disagio psicologico che vivono tanti studenti e deve impegnarsi a promuovere una cultura che, prima di tutto, riconosca l’importanza del benessere emotivo. In un mondo che ci dice che “chi non riesce a tenere il passo non merita di farne parte”, la vera sfida è cambiare la mentalità che premia solo i più forti, senza dare valore a chi ha bisogno di un sostegno, o di più tempo.

Ciò che ci troviamo di fronte non è una crisi personale dei singoli giovani, ma un fallimento di sistema: una comunità che non sa proteggere i più fragili, forse, non merita nemmeno di essere chiamata comunità

I suicidi giovanili in ambito universitario, purtroppo, non sono solo una tragica realtà o una statistica da analizzare, ma un grido d’allarme, una chiamata alla riflessione.

Finché non daremo il giusto valore alla salute mentale e finché non costruiremo un sistema che non premi solo l’eccellenza a ogni costo, continueremo a vivere in un mondo in cui la perfezione non lascia spazio alla vita reale, quella fatta di difficoltà, fallimenti, pause e vulnerabilità. Non possiamo più ignorare questa verità, che delinea un problema collettivo, politico. Dobbiamo, come società, iniziare ad ascoltare anche i silenzi che ci raccontano, purtroppo, troppe storie di dolore e perdita.



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