Giorgetti frena sul piano von der Leyen: «Un drone non si compra al supermarket»

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Se le uscite di Salvini contro il piano di riarmo dell’Europa, e il suo aperto conflitto con l’altro vicepremier Antonio Tajani, hanno dato l’immagine di un governo e di una maggioranza spaccati, le critiche del ministro leghista dell’Economia Giancarlo Giorgetti hanno confermato ieri la freddezza con la quale è stato accolto l’annuncio della presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen.

«A parte gli aiuti all’Ucraina che non sono in discussione – ha detto Giorgetti a poche ore del Consiglio europeo straordinario sulla guerra che si tiene oggi a Bruxelles – altra cosa è la difesa e sicurezza europea che implica un programma ragionato meditato di investimenti in infrastrutture militari che abbiano un senso, e non fatto in fretta e furia senza una logica. Ricordo che per comprare un drone o un missile supersonico, non si va al supermercato, ci vogliono investimenti pluriennali». Giorgetti ha esortato a «non entrare nella sindrome che in altri momenti ci hanno portato a comprare montagne di vaccini a prezzi incredibili, per poi buttarne una parte, o la stessa cosa con il gas. Questi errori clamorosi fatti da caos e confusione, dobbiamo evitarli». E ha sottolineato la necessità di «investimenti seri, importanti e consapevoli» e che sebbene l’Europa voglia «avere un ruolo, io credo che senza gli Usa diventa molto, ma molto complicato immaginare una forma di soluzione».

Giorgetti si barcamena. Appoggia la posizione critica del suo segretario Salvini e dà ragione a Meloni sulla proposta di un vertice con Trump, la Nato e l’Ue. Il nome del Piano «ReArm Europe» non piace nemmeno a lei perché esplicita le reali intenzioni delle classi dominanti. Tajani preferirebbe tornare alla più ipocrita nomenclatura: «Piano per la sicurezza europea».

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Giorgetti ha dato una chiave ulteriore per comprendere la situazione. Il problema di fondo è che i tempi di produzione delle armi non coincidono con quelli del loro finanziamento né con quelli della loro effettiva realizzazione. Non lo permettono le incertezze della politica: con o senza gli Usa? E la Nato che fine fa? L’Europa farà da sola? Non aiutano le ancora confuse regole proposte da von der Leyen sullo scorporo della spesa militare dal calcolo del debito e del deficit stabilito dal patto di stabilità.

La proposta italiana è stata accettata, ma non ha risolto i problemi. Se si arrivasse a scorporare fino all’1,5% del Pil in spese militari il debito crescerebbe 33 miliardi. E se il governo facesse richiesta di una ventina di miliardi dal fondo europeo finanziato con i bond europei il debito arriverebbe a 50 miliardi. Il problema è però l’impatto che questa spesa avrebbe sulla stentata crescita italiana. In fondo i debiti vanno sempre pagati, o no? Bisogna vedere se un paese può farlo e in che modo. La Germania ieri ha fatto sapere che chiederà di andare oltre i margini annunciati da von der Leyen, ma perché ha un debito molto inferiore all’Italia. Il problema è noto a Giorgetti che il 28 febbraio scorso ha detto: «L’aumento avrà sicuramente un contraccolpo sul bilancio, ma vorrei vedere anche una evidenza di quello che può derivarne in termini di crescita economica».

Le «evidenze» ci sono. Il rapporto «Arming Europe», commissionato da Greenpeace ha sostenuto che un miliardo di euro speso in armi potrebbe generare un aumento della produzione interna di 741 milioni di euro, mentre la stessa cifra investita in welfare e ambiente avrebbe un effetto quasi doppio. Uno scarto maggiore si registra nell’impatto occupazionale: 3 mila nuovi posti di lavoro creati dalla spesa per le armi salirebbero a quasi 14mila se la stessa cifra fosse investita nel settore dell’educazione. Il governatore di Banca d’Italia Fabio Panetta ha confermato di recente: «È la ricerca scientifica a stimolare l’innovazione. La produzione di equipaggiamenti bellici non contribuisce ad aumentare il potenziale di crescita di un paese».

Freddezza anche sull’idea di von der Leyen di usare i fondi per la coesione delle regioni per finanziare i militari. Ieri il vicepresidente della Commissione Ue Raffaele Fitto ha fatto un giro di orizzonti tra l’esecutivo e le Regioni per rassicurare che è solo un’ipotesi. La proposta è: non rendere obbligatorio l’uso militare dei fondi. «Deviarli sul riarmo sarebbe condanna a morte per Sud» per il presidente campano De Luca.



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