Il 29 giugno 2022 veniva approvata la L. 79/2022, contenente misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). La norma, per dare applicazione alla riforma della carriera dei ricercatori richiesta dalla milestone 4.2 del PNRR, ha modificato la L. 240/2010, la cosiddetta “legge Gelmini”, convertendo in legge il D.L. 36/2022 e recependo in parte l’impianto del D.D.L. 2285. Alle modifiche normative del 2022 si suole fare riferimento con la denominazione di “riforma Messa-Verducci”, dai nomi del relatore in Senato del D.D.L. 2285, Francesco Verducci, e della ministra dell’Università e della Ricerca dell’epoca, Maria Cristina Messa. La riforma Messa-Verducci ha introdotto nella L. 240/2010 tre nuove figure contrattuali:
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Il contratto di ricerca (art. 22), che ha sostituito lo strumento dell’assegno di ricerca;
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Il ricercatore a tempo determinato in tenure track (art. 24), che unifica i profili del ricercatore a tempo determinato di tipo A (RTDa) e B (RTDb);
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Il tecnologo a tempo indeterminato (art. 24-ter), con compiti di revisione, analisi e collaborazione tecnica e professionale all’attività di ricerca.
In questo articolo si parlerà nello specifico del contratto di ricerca (d’ora in avanti CDR), anche in relazione al bando per contrattisti pubblicato dal MUR il 22 febbraio scorso, destinato all’assunzione di ricercatori internazionali post-dottorato (D.D. 47/2025). L’obiettivo è rispondere alla crescenti preoccupazioni relative alla definitiva abrogazione degli assegni e alle incertezze sui contratti di ricerca che, anche a fronte del blocco della discussione parlamentare del D.D.L. A.S. 1240 (cd. “Controriforma Bernini”), si può ritenere che nei prossimi mesi diventeranno operativi.
Il fu assegno di ricerca
L’assegno di ricerca (d’ora in avanti ADR), disciplinato dall’art. 22 delle legge Gelmini (nel testo previgente alle modifiche della riforma Messa-Verducci), è una tipologia contrattuale di tipo parasubordinato e rappresenta una delle forme di impiego più precarie del comparto universitario, nonché un unicum nel panorama europeo. Chi ha usufruito in questi anni, ad esempio, di una MSCA-PF incoming in Italia ha potuto farlo in deroga, solo per concessione dell’European Research Council (ERC): il circuito MSCA prevede infatti esplicitamente per il lavoro di ricerca una serie di tutele giuslavoristiche assenti nel dispositivo dell’ADR. Dal punto di vista retributivo, il D.M. 102/2011 stabilisce per l’ADR un minimo netto mensile di 1.429,00 euro circa, per lordo amministrazione annuale di 23.890,08 euro (aliquota INPS al 35,03%): al pari dei contratti della componente strutturata (RTT, PA, PO ecc.), dunque, il trattamento economico dell’ADR non viene stabilito in sede di Contrattazione Collettiva Nazionale del Lavoro (CCNL). A differenza del personale strutturato, tuttavia, la retribuzione dell’ADR risulta insufficiente a garantire un dignitoso tenore di vita nelle principali città universitarie e, come più volte sottolineato dall’ADI, si caratterizza per l’assenza di adeguate garanzie, sia in relazione al rapporto di lavoro che alle tutele previdenziali, e per una grande intermittenza in termini di rinnovo e retribuzione, con periodi strutturali più o meno lunghi di disoccupazione. Nonostante nelle intenzioni originarie del legislatore gli assegni dovessero essere uno strumento residuale e fosse l’RTDa la via ordinaria per il post-doc, al 31 dicembre 2024, secondo i dati del Ministero dell’Università e Ricerca, erano attivi 23.422 assegni. Negli anni della sua applicazione solo una minima parte di assegniste e assegnisti ha visto soddisfatta la propria aspettativa di essere assunta stabilmente come lavoratore nel sistema della ricerca. Gli assegni non potevano avere durata superiore ai 3 anni ed erano cumulabili fino a un massimo di 6, per un totale di 12 anni di contratti a tempo determinato, secondo quanto disposto dall’art. 22 co. 9 della legge 240/2010 (prima delle modifiche del 2022). Tale limite, nell’attuale situazione normativa è decaduto. Le criticità insite nell’ADR sono state approfondite in varie sedi; si veda – a titolo di esempio – la IX Indagine ADI Abolire l’assegno. Nonostante l’abolizione de iure il 9 giugno 2022, non è più possibile bandire ADR solo dal 1 gennaio 2025. In deroga alla piena applicazione della riforma Messa-Verducci, infatti, l’ADR ha conosciuto tre proroghe, una annuale (1 gennaio 2023-31 dicembre 2023) e due semestrali (1 gennaio-30 giugno 2024; 31 luglio-31 dicembre 2024), secondo quanto disposto dall’ art. 6 co. 1 del D.L. 29 dicembre 2022 n. 198 (cd. “Decreto Milleproroghe 2023”), dall’art. 6 co. 4 del D.L. 30 dicembre 2023 n. 215 (cd. “Decreto Milleproroghe 2024”), e dall’art. 15 del D.L, 31 maggio 2024 n. 71.
Il sarà contratto di ricerca
Il CDR, sostituendo di fatto l’ADR, ne colma in parte le lacune: si tratta di un contratto di lavoro subordinato, a cui può accedere chi è già in possesso del titolo di PhD (o di specializzazione per l’area medica) e chi è nelle condizione di conseguire il titolo entro sei mesi dalla data di pubblicazione di un bando specifico. Scopo del CDR è «l’esclusivo svolgimento di specifici progetti di ricerca», di durata almeno biennale. In caso di progetti a carattere nazionale o internazionale, per specifiche esigenze, è possibile una proroga per un ulteriore anno, nonché, in ogni caso, un rinnovo biennale. La durata complessiva non può superare, dunque, i 5 anni (2+2+1). Come l’ADR, il contratto di ricerca è cumulabile solo con le borse relative alla mobilità internazionale, e non è compatibile con la frequenza a corsi universitari di qualunque livello, sia in Italia che all’estero. La retribuzione del CDR è stabilita in sede di CCNL e non può essere inferiore per legge a quella iniziale del ricercatore confermato a tempo definito; l’Ipotesi di Contratto relativo alla sequenza contrattuale sul CDR, sottoscritta all’ARAN dalle Organizzazioni e Confederazioni sindacali il 9 ottobre 2024, tuttavia, ha previsto, in senso peggiorativo, che l’importo non possa essere superiore al trattamento iniziale spettante al ricercatore confermato a tempo pieno. La retribuzione prevista varia dunque, secondo il DPCM 1/01/2024, tra €39.547,15 e 53.433,59, con uno stipendio mensile minimo di €1.550,00 circa per tredici mensilità. La Nota ai rettori diffusa dal MUR il 7 luglio 2022 osserva che il profilo giuridico della figura è stabilito per legge e non in sede di CCNL. La definitiva applicazione del CDR necessita ancora di alcuni passaggi formali: il parere della Corte dei Cont sulla sequenza contrattuale, la pubblicazione in Gazzetta ufficiale e l’emanazione dei regolamenti di ateneo, a cui le diverse università stanno già lavorando (cfr. Polimi).
Feudalesimo e Università: il bando per «ricercatori internazionali post-dottorato»
Con la pubblicazione il 20 febbraio scorso del D.D. 47 il MUR apre finalmente le porte alla stipula dei CDR. Il decreto, disponendo le procedure «per l’assunzione di ricercatori internazionali post-dottorato», individua criteri più restrittivi rispetto alla normativa vigente per la stipula dei contratti. L’art. 1 co. 8 (e note) stabilisce che sono beneficiari dell’intervento coloro che
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al 20 febbraio 2025 hanno meno di 41 anni (con una deroga fino ai 46 per chi ha conseguito il PhD dopo il 25 febbraio 2018);
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non hanno mai avuto un contratto a tempo indeterminato come ricercatore o professore di ruolo in ambito accademico;
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non hanno «ancora maturato una consolidata esperienza nella gestione» di gruppi e fondi di ricerca.
Gli artt. 2 co. 2 e 5 co. 1 aggiungono inoltre, come ulteriore requisito, aver svolto durante il PhD almeno un trimestre di formazione o ricerca all’estero. Tale discriminante si dice «in coerenza con la Decisione del Consiglio UE-9399/24 del 14 maggio 2024». La Decisione del Consiglio UE, tuttavia, non fa menzione di questo criterio che, pertanto, non può ritenersi tassativo e rimonta alla precisa volontà ministeriale di confezionare una linea di finanziamento “premiale” molto restrittiva. Nei futuri bandi per CDR, pertanto, sia esterni che d’Ateneo, non verranno richiesti di necessità questi prerequisiti. Il bando per ricercatori internazionali post-doc esclude, dunque, in maniera arbitraria una fetta consistente del corpo precario. Particolarmente discriminatoria, per vari ordini di ragioni, è la richiesta del periodo all’estero dottorale, dal momento che
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per alcuni ambiti l’internazionalizzazione potrebbe non apportare un beneficio significativo alle ricerche: si pensi, ad esempio, alle ricerche su materiali d’archivio integralmente conservati in Italia;
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solo alcune tipologie di PhD prevedono come obbligo il soggiorno all’estero;
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non tutti i cicli di dottorato hanno permesso lo svolgimento di un periodo di ricerca e formazione all’estero, specie durante il periodo pandemico: si pensi ai dottorati dal XXXIII al XXXIX ciclo che, in piena emergenza da coronavirus, hanno dovuto sospendere il periodo all’estero;
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le esperienze internazionali comportano dei costi, solo in parte colmabili con l’aumento temporaneo delle borse, più facilmente sostenibili da parte di chi proviene da famiglie ricche.
L’art. 3 del D. D. 47 definisce poi la dotazione economica dell’intervento, che è pari a 37,5 milioni di euro per il finanziamento di almeno 250 posizioni, con contributi pro capite fino a 150.000 euro, a copertura esclusiva dei costi del personale (art. 11), e durata massima di 24 mesi (art. 10). Considerato il costo minimo dei CDR, si potrebbero finanziare in astratto fino a 474 progetti. Almeno il 40% dei CDR dovrà essere bandito nel Mezzogiorno.
Le risorse stanziate rappresentano una quota dei 210 milioni previsti per l’investimento 1.2. Finanziamento di progetti presentati da Giovani Ricercatori della Missione 4.2. del PNRR. Insistono sullo stesso investimento le misure previste dal D. D. 201/2024, che stanziava il 3 luglio 2024 30 milioni per Marie Curie e 37,5 milioni per Seal of Excellence. Pertanto, dovrebbero essere attualmente disponibili ulteriori 105 milioni del PNRR per il finanziamento di CDR. L’art. 3 co. 5, infatti, prevede che si possano «destinare eventuali risorse aggiuntive» al bando per giovani ricercatori internazionali. Se così fosse, non si comprende il motivo per investire inizialmente una cifra tanto risibile e non stanziare tutte le risorse a budget per i CDR, particolarmente in un momento di transizione verso una nuova forma contrattuale, che non è adeguatamente finanziata.
Le criticità si acuiscono se si guarda alle modalità pratiche del bando. Non saranno infatti i singoli PhD a presentare le manifestazioni di interesse, ma le c.d. Host Institutions, cioè le 61 Università statali, i 20 Atenei non statali, i 20 Enti pubblici di ricerca, le 11 Università telematiche e gli 8 Istituti universitari a ordinamento speciale (art. 1 co. 4 e 29), per un totale di 120 istituti. Questi dovranno predisporre una singola «scheda […] contenente gli elementi relativi all’assunzione» (art. 1 co. 10): dipartimento ospitante, settore scientifico disciplinare, durata (max. 24 mesi), entità del finanziamento (max. 150.000 euro), profilo richiesto (in 500 battute), progetto di ricerca (in 1500 battute; cfr. art. 6 co. 2 e allegato A).
Ogni Ateneo ed Ente, indipendentemente dalle proprie dimensioni, potrà richiedere un finanziamento per un massimo di 20 CDR (art. 6 co. 1), che verranno ordinati per priorità: sarà tale ordine – e non una valutazione scientifica delle singole proposte – il discrimine per l’assegnazione delle risorse (art. 6 co. 3). Se tutte le Host Institutions dovessero presentare manifestazioni per 20 posizioni, quindi, ciascuna avrà la certezza di poterne finanziare almeno 2 delle 250 minime: in questo quadro, quindi, le telematiche con le peggiori valutazioni ANVUR saranno sullo stesso piano dei mega-atenei statali. Le posizioni residue verranno quindi distribuite facendo prevalere «l’ordine cronologico di presentazione» delle manifestazioni di interesse (art. 8 co. 5). Tutta la procedura si svolgerà in tempi eccessivamente brevi: entro il 10 marzo dovranno essere inviate le manifestazioni in interesse e in tempi ancora più concitati, entro il 15 maggio, dovranno essersi conclusi i concorsi per l’assunzione dei CDR.
All’atto pratico, dunque, quando come metro di giudizio non si porrà il caso prevarrà l’arbitrio. Lo scenario più probabile – e che in parte si sta già verificando – sarà una lotta feudale per l’individuazione dei settori su cui bandire i CDR all’interno dei dipartimenti e una guerra senza quartiere tra questi per definire l’ordine di priorità, in cui a farne le spese saranno la ricerca di base e i settori meno “attrattivi”. Visti i tempi concitatissimi, l’assenza di qualsivoglia valutazione scientifica da parte del MUR e una certa premialità da dito più veloce nell’invio delle candidature, ci chiediamo come sia possibile garantire la trasparenza della procedura, analizzare le candidature sulla base di criteri scientifici scelti dalla stessa Host Institution e valorizzare i “giovani ricercatori internazionali”: non si può escludere, infatti, che i concorsi – ora più che mai – si trasformeranno in conferimenti diretti di CDR su progetti disegnati ad personam. Come ADI, abbiamo sollecitato delle interrogazioni parlamentari sul tema.
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