Le generazioni precedenti potevano contare su percorsi di vita più prevedibili: studio, lavoro, matrimonio, pensione. Oggi, in un mondo che sembra ogni giorno più incerto, è ancora possibile immaginarsi il proprio domani? Prova a rispondere Fabiana Andreani, una delle massime esperte italiane in orientamento e carriera, seguitissima sui social
“Non riescono a vedere oltre.” “Si annoiano facilmente.” “Vogliono arrivare subito alle conclusioni.” “Sono digitali, ma non si proiettano mai nel futuro.” Queste sono le risposte che manager e dirigenti hanno dato alla domanda: “Quali problemi riscontrate nel gestire le risorse più giovani?” durante una formazione che ho tenuto in un’azienda qualche giorno fa.
Non voglio entrare nei soliti cliché su GenZ, GenX, Millennial, Boomer, ecc., perché non siamo etichette, ma persone. Tuttavia, quando è successo che abbiamo perso la percezione del futuro, concentrandoci esclusivamente su un presente che, anziché essere stabile, è in continua evoluzione?
Dal Covid. Risposta unanime e abbastanza prevedibile. A proposito, ogni tanto lo ricordo: sono già passati cinque anni da quando nessuno pensava che avrebbero chiuso tutto. Qui, da dove scrivo, si diceva ancora “#MilanoNonSiFerma”. Ti pare? Come per l’Expo: sono già dieci anni. Certamente, la pandemia ha reso chiaro a molti come l’imprevedibile possa diventare realtà. Ma l’incertezza nei confronti del futuro ha radici ben più profonde.
Immagini dal futuro
Alvin Toffler (1928-2016) è stato uno dei pionieri della futurologia. Nel suo libro Future Shock (1970), analizza come il rapido cambiamento tecnologico e sociale generi un senso di disorientamento e ansia. Il concetto di “shock del futuro” è ancora oggi attuale per comprendere come le nuove generazioni affrontino l’incertezza.
Toffler collega questa incertezza alla diffusione dei nuovi media: maggiore accesso all’informazione significa più conoscenza, ma anche una consapevolezza più acuta dei propri limiti.
Ancora prima della pandemia, Ulrich Beck (1944-2015) ha analizzato la “società del rischio“, sottolineando come la nostra epoca sia segnata da minacce globali (cambiamenti climatici, crisi economiche, pandemie) che influenzano profondamente la percezione del futuro, specialmente tra i giovani.
Nemmeno Zygmunt Bauman (1925-2017) ha vissuto il Covide anche se è spesso citato tra gli autori che meglio descrivono il senso di precarietà della società attuale. Il concetto di “modernità liquida” descrive un mondo in cui il futuro è sempre più imprevedibile e i punti di riferimento cambiano continuamente. Le generazioni precedenti potevano contare su percorsi di vita più prevedibili: studio, lavoro, matrimonio, pensione.
Oggi, invece, i giovani affrontano un mondo in continua evoluzione:
– Il lavoro è sempre più precario;
– Le relazioni sociali e affettive sono più instabili;
– Le competenze richieste cambiano rapidamente con le nuove tecnologie;
– Le crisi globali rendono difficile pianificare il lungo termine.
Perché i giovani faticano a immaginare il futuro?
Bauman sostiene che, nella modernità liquida, il futuro diventa impalpabile e sfuggente. Questo porta a una società sempre più concentrata sul presente, dominata dal consumo immediato e dall’ansia di non perdere opportunità (FOMO – Fear of Missing Out).
Molti giovani oggi non riescono a immaginare il proprio futuro perché:
– Sono immersi in una cultura del “qui e ora”, dove tutto cambia rapidamente;
– Hanno visto crollare le certezze dei loro genitori (crisi finanziarie, precarietà lavorativa, instabilità politica);
– Vivono in un mondo in cui il futuro è spesso dipinto a tinte catastrofiche (crisi climatica, guerre, pandemie).
Fred Polak (1907-1985), nel suo libro The Image of the Future(1955), ha studiato come le rappresentazioni del futuro influenzino le civiltà. Le società che immaginano un futuro positivo tendono a prosperare, mentre quelle che lo vedono in modo negativo spesso decadono.
Dove ti vedi tra cinque anni?
Oggi, questa è forse la domanda più inutile durante un colloquio di lavoro.
“Viva”, rispondo a volte con una battuta. Ma il punto è che è davvero difficile avere un quadro chiaro del futuro.
Già prima del COVID, l’OCSE, nel report Retaining Talents at All Ages (2019), aveva evidenziato che nei 30 Paesi analizzati i giovani lavoratori (15-29 anni) restavano in un impiego per una media di due anni e cinque mesi. Per confronto:
– I lavoratori tra i 30 e i 54 anni restavano in media dieci anni e un mese;
– I lavoratori tra i 55 e i 64 anni restavano in media diciotto anni e dieci mesi.
Anche se, come sottolinea il Randstad Institute, il job hopping non è un fenomeno nuovo, tra il 2012 e il 2019 la durata media del lavoro è comunque diminuita:
– Del 9,5% per i giovani;
– Del 7,2% per i lavoratori di mezza età;
– Del 5,7% per i lavoratori più anziani.
La moneta di scambio: la formazione
“Dobbiamo rassegnarci al fatto che non possiamo trattenerli a lungo”: è una frase che sento sempre più spesso dai dirigenti HR. Ma quello che cerco di spiegare nelle mie formazioni è che la moneta di scambio più forte è la formazione.
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Può essere usata per attrarre candidati (e-learning, webinar, risorse online), come leva di negoziazione nei colloqui e per motivare i collaboratori, offrendo aggiornamenti continui e tempo per la crescita personale. Il reskilling è cruciale per mantenere le persone attive ed efficienti più a lungo.
Non vedo il futuro, ma conosco me stesso
E se per anni ci fossimo illusi di poter prevedere il futuro, mentre la realtà ci dimostra che non c’è nessun destino già scritto? Negli anni ’60, il futuro era sinonimo di progresso. Oggi, tra luci e ombre, nulla è più scontato. Ma la nostalgia non è un metro di valutazione.
L’invito, oggi più che mai, è a conoscere noi stessi: capire le nostre potenzialità e il contesto che ci circonda. Non siamo monoliti, ma un insieme di competenze che possono essere trasferite da un ambito all’altro.
A tal proposito, ho apprezzato questo post di Silvia Zanella che, citando Gary A. Bolles, ricorda come non siano i titoli o il CV a definirci, ma “skills, interessi, motivazioni e molto di più”. Perché ci ricorda che siamo noi a dare un senso alle nostre e alla carriera. Anche se le incertezze non ce le togliamo, il futuro lo stiamo già costruendo ora.
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