La globalizzazione, conosciuta negli ultimi decenni, è finita ed ha fallito.
Il libero flusso di capitali e posti di lavoro verso paesi con manodopera a basso costo ha reso più conveniente la maggior parte delle cose che si comprano nei grandi magazzini, ma i prezzi più bassi non hanno compensato la perdita di posti di lavoro e di reddito, perché sono aumentati i prezzi; alloggi, istruzione e assistenza sanitaria.
La delocalizzazione in diversi paesi avrebbe dovuto rendere le manifatture maggiormente produttive e le attività commerciali più efficienti, invece molte di queste presunte “efficienze” sono crollate di fronte a ogni sorta di stress globale; epidemie, guerre, tsunami, problemi portuali o altri eventi imprevisti.
Le catene di approvvigionamento complesse sono state effettivamente tali, provocando una lunga serie di disastri produttivi, dagli aerei che si schiantavano perché mal costruiti agli interruttori di avviamento delle automobili che non funzionavano.
Il libero scambio che avrebbe dovuto favorire la pace tra le nazioni, è diventato un sistema da sfruttare per i paesi mercantilisti e le autocrazie statali, con la conseguente creazione di profonde spaccature politiche, sia interne che internazionale.
Dobbiamo condividere la ricchezza in maniera più ampia e comprendere che il benessere economico non riguarda solo la crescita internazionale o nazionale, ma la gente reale, gli esseri umani che vivono in comunità specifiche sono le persone e i luoghi che contano.
In forza dei mutamenti demografici, geopolitici e tecnologici, il mondo si sta rasentando, regionalizzazione e localizzazione, qui si baserà il futuro.
I paesi, le città e le singole comunità stanno diventando artefici del proprio avvenire, le catene di approvvigionamento si accorciano, il divario tra capitale e lavoro si riduce, le innovazioni tecnologiche trasferiscono i posti di lavoro e le ricchezza addirittura a casa propria.
Una nuova generazione di lavoratori ed elettori (millennial) sta spingendo i politici e i leader aziendali a riportare le regole dell’economia globale al servizio del benessere collettivo.
L’attenzione si sposta sul locale piuttosto che sul globale, una maggiore attenzione al locale sarà essenziale per preservare il la globalizzazione, il mondo non è un gioco a somma zero e le nazioni potranno collaborare per risolvere i problemi dell’umanità rendendo il pianeta un posto migliore.
Questo genere di cooperazione richiede fiducia nel cambiare la situazione e significherà ristabilire le sorti del capitale e del lavoro, dei cittadini e delle imprese, dei mercati e dello Stato.
La democrazia, la sovranità nazionale e l’integrazione economica globale sono incompatibili tra loro: possiamo combinare due delle tre cose, ma non possiamo averle tutte e tre contemporaneamente e per intero, servirà fare un passo indietro rispetto alla globalizzazione selvaggia e lavorare per ricreare prosperità.
Stiamo entrando in una nuova era di localizzazione, ciò non significa che il globale svanirà, al contrario: via via che l’economia mondiale diventerà sempre più digitale, le idee e le informazioni continueranno a diffondersi oltre i confini, forse più velocemente, così che i capitali saranno mobili, forse non saranno liberi come in passato.
Uno degli aspetti più deleteri della globalizzazione degli ultimi cinquant’anni è stata la capacità del capitale di muoversi ben al di sopra dei lavoratori e dei cittadini.
Non sarà un male se ci saranno più limiti a ciò che le istituzioni finanziarie delle democrazie liberali potranno fare per sovvenzionare governi autocratici o nuocere al benessere economico dei cittadini nei loro paesi d’origine, dovranno essere ripensate le regole commerciali, i diritti del lavoro e il modo di inserire i costi e i benefici della crescita economica all’interno dei dati che i politici utilizzano per plasmare il mondo in cui viviamo.
Gli affari non riguarderanno solo gli azionisti, i frutti della crescita saranno riportati in seno alle comunità di tutto il mondo.
Non si può tornare alle economie nazionali chiuse degli anni Cinquanta e Sessanta, né potremo tornare indietro, se la ricchezza e il potere non saranno più concentrati in poche mani e in pochi luoghi, il mondo sarà migliore, più stabile e più giusto.
Nessuno si augurerebbe una pandemia o un conflitto armato, ma eventi come il coronavirus, o la guerra in Ucraina, hanno messo in evidenza i pericoli insiti nei nostri sistemi energetici, i rischi per l’ambiente, le lacune nelle catene di approvvigionamento, i limiti del nostro sistema sanitario e le sfide a un elemento essenziale quale la sicurezza alimentare.
Tra tante vicende fosche ce ne sono di più radiose, storie di aziende, paesi e cittadini che risolvono problemi complessi, che fanno parte di un discorso più ampio sulle capacità di cui disponiamo per localizzare, anziché concentrare, la ricchezza e il potere.
Per una serie di ragioni; tecnologiche, geopolitiche, demografiche e ambientali, il quadro della prosperità diventerà ben più locale, procederemo verso una nuova era, che sorgerà con le proprie sfide e opportunità, l’importante sarà coglierle.
Alfredo Magnifico
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