Ben 32 miliardi di fatturato e 86mila addetti nella filiera italiana delle tecnologie per la transizione

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Sulle tecnologie green l’Italia può contare su un articolato tessuto industriale, che smentisce la principale critica rivolta al settore, secondo la quale l’industria green non avvantaggerebbe il Paese. È quanto emerso dallo studio Althesys ”Decarbonizzazione e competitività, dalle politiche europee all’industria italiana. Strategie per una transizione energetica sostenibile e volta alla crescita” presentato durante il Key energy summit, che si è tenuto alla Fiera di Rimini, nella prima giornata di Key – The Energy Transition Expo.

La ricerca ha analizzato le relazioni tra le politiche di decarbonizzazione e la competitività del sistema industriale europeo e italiano, individuando rischi e opportunità per le filiere industriali nazionali green, quali energie rinnovabili, efficienza, idrogeno, infrastrutture per reti e accumuli. 

La manifattura italiana delle rinnovabili e della transizione energetica presente in alcune catene del valore coinvolge quasi 1.000 imprese, di cui 655 con un alto livello di specializzazione, per un valore di 32 miliardi di fatturato e 86.000 addetti. Le sole imprese specializzate valgono l’1,5% del Pil. In un quinquennio (2018-2023) il fatturato è cresciuto del 70%, gli investimenti del 50% e gli addetti del 16%. 

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«Lo studio – ha spiegato l’economista Alessandro Marangoni – evidenzia le condizioni necessarie per sviluppare una filiera nazionale dell’industria manifatturiera nella transizione energetica robusta e competitiva, in grado di creare un ambiente favorevole all’innovazione e alla crescita. Per rafforzare il percorso verso la decarbonizzazione l’Italia può dunque fare leva su una solida base di competenze tecnologiche e industriali, ma per mantenere e rafforzare la competitività globale è necessario un impegno deciso in ricerca e sviluppo, così come un supporto strategico alle filiere industriali emergenti».

Il comparto rinnovabili, tra specializzati e multi-business, è costituito da un totale di 526 aziende, di queste il 36% svolge attività manifatturiera tra produzione di componenti e infrastrutture di rete, ambiti in cui ha una solida capacità produttiva che permette di servire il mercato domestico e realizzare esportazioni significative.

Le aziende che producono componenti solo per le fonti rinnovabili sono 55 e fatturano 2,1 miliardi mentre nel comparto efficienza energetica vi sono complessivamente 327 aziende, di cui 154 che producono componenti.  Il comparto infrastrutture e accumuli è costituito da un totale di 468 aziende. Di queste, 340 hanno un alto livello di specializzazione. Il comparto reti comprende 190 aziende altamente specializzate nella fabbricazione di componenti. Si tratta di aziende di dimensioni significative, con un valore medio della produzione di circa 85 milioni di euro e una forza lavoro media di 219 dipendenti. Quello degli accumuli comprende un numero più limitato di aziende (34), specializzate nella realizzazione di componenti. Hanno un valore medio della produzione di circa 100 milioni di euro, leggermente più alto degli altri segmenti, e una forza lavoro media di 181 dipendenti. Quanto, infine, ai componenti per la mobilità elettrica, questo comparto conta circa 55 aziende specializzate e attive nella manifattura e non solo nei servizi, con un valore della produzione medio di circa 115 milioni e 395 dipendenti in media per azienda. Tali dati derivano soprattutto da grandi aziende di componentistica per le colonnine, wallbox o comunque utili ai sistemi di ricarica (inverter, connettori, soluzioni smart, ecc.) che però sono attivi in molti segmenti della filiera, oltre che assemblatori di sistemi di ricarica.

Lo studio presentato a Rimini evidenzia la necessità di disegnare una strategia nazionale che superi burocrazia e vincoli e che unisca investimenti, incentivi e strategie di tutela del sistema produttivo: spazio dunque, tra l’altro, a politiche di sostegno alla manifattura nazionale, con incentivi fiscali per le imprese che investono nella transizione digitale e verde; al rafforzamento dell’Industria 5.0 semplificata nelle procedure di accesso; maggiore controllo delle materie prime critiche, con un rafforzamento della sicurezza negli approvvigionamenti; sostegno all’innovazione, attraverso maggiori investimenti in ricerca e sviluppo per rendere le tecnologie italiane competitive.

La transizione energetica può essere dunque un’opportunità senza precedenti per il rilancio dell’industria italiana, ma solo se accompagnata da una strategia industriale chiara e coordinata con il contesto europeo e globale. L’Italia ha le capacità per essere protagonista di questa trasformazione: il successo dipenderà dalla capacità di coniugare innovazione, investimenti e tutela del proprio tessuto industriale.



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