C’è un’inchiesta che va avanti da due anni e mezzo e che ancora fa parlare di sé anche se non accenna a chiudersi. È il cosiddetto Qatargate, aspirante scandalo che coinvolge a vario titolo alcuni europarlamentari per i loro rapporti non limpidissimi con il Qatar (e forse anche con il Marocco). Ieri è trapelata la notizia che la procura federale belga ha chiesto al parlamento europeo la revoca dell’immunità per Alessandra Moretti ed Elisabetta Gualmini, elette con il Pd e iscritte al gruppo dei Socialisti e democratici. La richiesta verrà annunciata durante la seduta di lunedì prossimo e poi passerà al vaglio della commissione Affari giuridici. Se verranno ritenuti sussistenti i motivi della revoca, la decisione finale verrà presa con un voto in assemblea plenaria.
APPRESA la notizia, Moretti e Gualmini si sono autosospese dal loro gruppo, «per essere pienamente a disposizione della magistratura per qualsiasi esigenza istruttoria». Decisione che è stata molto apprezzata in casa Pd. «Le ringraziamo per evitare ogni forma di strumentalizzazione rispetto a una procedura aperta da anni – si legge in una nota firmata dalla delegazione all’europarlamento -. Ci auguriamo che ora si proceda per accertare e fare piena chiarezza sui fatti contestati». Le indagini sono però piuttosto fumose. E lo sono almeno da quando sono state rese pubbliche nel dicembre del 2022. I parlamentari indagati – per primi furono la vicepresidente greca Eva Kaili e l’italiano Antonio Panzeri, nelle cui disponibilità vennero trovate ingenti somme di denaro in contante, ma l’accusa di averlo incassato per fare buona pubblicità al Qatar sul versante del rispetto dei diritti umani e alle mire espansionistiche del Marocco sul Sahara Occidentale non ha mai trovato concretezza. Nel senso che non risultano agli atti provvedimenti assunti in sede Ue in favore del Qatar o del Marocco frutto di corruzione. Da specificare che gli europarlamentari possono ricevere soldi da chiunque purché lo dichiarino: se non lo fanno, però, al massimo si può parlare di evasione fiscale, perché il reato di corruzione va sempre circostanziato. Bisogna insomma collegare le busarelle a degli atti concreti e verificabili, non basta accostarli a prese di posizione più o meno discutibili.
INOLTRE l’inchiesta è stata resa orma fatalmente monca dalla decisione degli inquirenti belgi di non perseguire i presunti corruttori qatarini e marocchini. A tutto questo, infine, bisogna aggiungere che il procuratore che ha istruito il caso, Michael Claise, aveva rinunciato all’incarico lo scorso maggio per candidarsi in patria (senza peraltro essere eletto) e, a dicembre, la decisione di mollare l’ha presa anche la donna che aveva ereditato il fascicolo, Aurélie Déjaiffe.
Ad ogni modo, Moretti è coinvolta perché, nel febbraio del 2020, si recò in Qatar a visitare uno dei cantieri degli stadi che due anni più tardi avrebbero ospitato i mondiali di calcio insieme al belga Marc Tarabella (indagato). Il 14 novembre del 2022, poi, Moretti è intervenuta durante una riunione della commissione diritti umani del parlamento europeo in cui si ascoltava il ministro del lavoro qatarino Ali Bin Samikh Al Marri, uno dei presunti corruttori. In quell’occasione, Moretti aveva fatto domande sulla precedente edizione dei mondiali, quelli che si sono svolti nel 2016 in Russia. Dalle intercettazioni è emerso che appena pochi secondi prima Panzeri stava dando istruzioni sul da farsi al suo ex assistente Francesco Giorgi (compagno di Kaili e anche lui indagato), presente in sala: «Falla intervenire dicendo: “Non ho visto tutto questo interesse quattro anni fa, quando era in Russia”». Poco meno di un anno prima, nel dicembre del 2021, mentre si discuteva della possibilità di produrre una risoluzione contro lo scarso rispetto dei diritti umani in Qatar, un altro assistente di Panzeri scriveva via sms: «Qatar risolto. Il quadriumvirato Cozzolino – Moretti – Arena – Tarabella ha colpito con precisione, attenzione ed efficacia». E se Moretti ancora aspetta di conoscere il suo destino giudiziario, gli altri tre risultano tutti incriminati.
GUALMINI, da parte sua, è finita nel Qatargate perché, il giorno dopo l’audizione del ministro qatarino, si scambiava messaggi con Giorgi e diceva che non si poteva «esporre ulteriormente» sul caso, promettendo però che più avanti sarebbe diventata «più aggressiva col tempo»
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