In risposta all’incremento dei casi di leishmaniosi umana è necessario adottare l’approccio One Health anche in Italia, dove la malattia è endemica e aumentare la cultura del sospetto diagnostico. A suggerirlo sono i relatori del corso di formazione, “Leishmaniosi in Toscana. Approccio multidisciplinare in ottica One Health”, tenutosi il 20 febbraio nell’Aula Magna dell’azienda ospedaliera universitaria Careggi di Firenze e realizzato da HPS-AboutPharma, con il contributo non condizionante di Msd Animal Health.
Trend in crescita
Fra il 2018 e il 2023, secondo lo studio retrospettivo multicentrico, “Tosmania”, promosso dal Centro di riferimento per le malattie tropicali della Toscana e pubblicato a settembre 2024 sulla rivista scientifica Microorganisms, è stato registrato un significativo incremento dell’incidenza di casi autoctoni di leishmaniosi umana, passando da 0,22 casi a a 1,81 ogni 100 mila abitanti. La maggior parte dei casi (72,7%) ha riguardato la forma viscerale (VL) e solo una minoranza (26,7%) quella cutanea (CL), contando nel complesso 202 casi, di cui 26 recidive. il 92,2% dei casi di VL e l’85,1% dei casi di CL erano autoctoni, sottolineando un crescente rischio di trasmissione locale.
Raccolta capillare e ritardo diagnostico
“Abbiamo cercato di raccogliere le informazioni in maniera capillare tramite le schede di dimissione ospedaliera, i registri di notifica e anatomopatologici”, spiega Lorenzo Zammarchi, professore associato e direttore della scuola di malattie infettive e tropicali dell’Università di Firenze e dell’azienda ospedaliera universitaria Careggi.
La distribuzione dei casi è risultata soprattutto intorno a Firenze, Grosseto e Isola d’Elba, ma ciò che si osserva in particolare è il ritardo diagnostico: “la mediana – prosegue – è di 28 giorni per la forma viscerale e di 174 giorni per quella cutanea. Anche se la cutanea è più benigna, il 27% dei pazienti non risponde al trattamento”. In base ai dati preliminari relativi al 2024, “forse – osserva il professor Zammarchi – abbiamo una leggera flessione dei casi”.
Gli attori coinvolti
Per limitare la diffusione della malattia, è necessario adottare un approccio One Health da parte di tutti gli attori coinvolti, favorendo quindi dialogo e scambio di informazioni tra specialisti infettivologi, pediatri, medici di medicina generale e ovviamente medici veterinari. “I danni non sono solo per la salute delle persone, ma riguardano anche i bilanci gravati dalle ospedalizzazioni”, afferma il responsabile scientifico dell’evento, Alessandro Bartoloni, professore ordinario di Malattie infettive del dipartimento di medicina sperimentale e clinica dell’Università degli studi di Firenze, direttore del SOD di malattie infettive e tropicali dell’Azienda ospedaliera universitaria Careggi.
Un piccolo insetto notturno
La patologia viene trasmessa dal flebotomo, un insetto ematofago di piccole dimensioni, comunemente definito “pappatacio”, che, a differenza delle zanzare, non necessita di raccolte d’acqua per completare il suo ciclo di sviluppo. Le femmine depongono le uova in vari siti come tane di roditori, nella corteccia di alberi secolari, in edifici in rovina, nelle fessure dei muri di casa, in ricoveri di animali e nei pressi di rifiuti domestici, in cui le larve possono trovare la materia organica, il calore e l’umidità necessari per il loro sviluppo.
Gli adulti sono attivi tra maggio e ottobre e con il pasto di sangue inoculano nell’ospite un microscopico parassita chiamato Leishmania infantum. Il periodo di incubazione tra l’infezione e la comparsa della malattia è di 2-8 mesi, per cui spesso l’associazione dalla possibile puntura alla comparsa dei sintomi non è immediata.
“Stiamo conducendo uno studio per individuare i focolai larvali dei flebotomi”, spiega Claudio De Liberato, dirigente entomologo della Uoc Diagnostica Generale presso l’Istituto zooprofilattico sperimentale del Lazio e della Toscana. “Sono insetti crepuscolari e notturni e hanno un picco di attività al tramonto perciò per prevenire le punture può essere utile mantenere in casa il cane fino all’alba. Come IZS abbiamo allertato le due Regioni, Lazio e Toscana, per l’aumento del numero di infezioni favorito anche dalle estati calde e secche, favorevoli per la sopravvivenza di questi insetti vettori”.
A rischio i più fragili
“Nel 95% dei casi – ricorda Bartoloni – la risposta immunitaria nell’uomo è adeguata per controllare l’infezione, ma nei soggetti più vulnerabili, come bambini, anziani e immunodepressi, può essere necessario il ricovero. Noi clinici dobbiamo essere pronti a fare la diagnosi precocemente”. La forma viscerale della malattia, in particolare, “ha un esordio subdolo”, sottolinea il docente che aggiunge: “per arrivare a un outcome fausto, bisogna avere un sospetto di diagnosi in tempi precoci. Il trattamento e la gestione degli ammalati richiedono molte risorse perciò prima si interviene e meglio è”.
L’aiuto dei medici veterinari
Nel mondo animale, sono i cani i principali serbatoi della malattia, seguiti dai gatti e da alcune specie di mammiferi selvatici (es. conigli, lepri, ratti etc.). “Nei cani i casi di malattia sono in diminuzione grazie all’impiego della vaccinazione e all’utilizzo su larga scala dei presidi repellenti in cani sani per proteggerli dall’infezione e nei cani infetti/ammalati per ridurre l’infettività dei flebotomi e quindi la trasmissione dell’infezione” , sostiene Gaetano Oliva, professore di clinica medica veterinaria dell’Università degli studi di Napoli Federico II. L’evidenza è confermata anche da Marco Melosi, medico veterinario clinico di Cecina (Livorno) e presidente dell’Associazione medici veterinari italiani (Anmvi). “Aumentando la protezione del cane – evidenzia l’esperto – si protegge indirettamente anche la salute dell’uomo”. Dello stesso avviso è anche Ezio Ferroglio, direttore del dipartimento di Scienze veterinarie dell’università degli studi di Torino. “Salvaguardare la salute dei nostri animali serve a salvaguardare quella degli uomini ma occorre unire gli sforzi”, ribadisce il professore che ha ricordato il focolaio di leishmaniosi umana nella comunità autonoma di Madrid, Fuenlabrada, tra luglio del 2009 e dicembre del 2011 che ha registrato oltre 175 casi. In questo caso la prevalenza di L. Infantum nella popolazione canina locale non giustificava l’elevata circolazione del patogeno, tant’è che si scoprì che i responsabili di questo outbreak erano i leporidi, lepri e conigli, che abitavano il sistema di parchi urbani nel cuore dell’area interessata e che hanno costituito un attivo reservoir per il patogeno.
La spinta a proteggere i propri cani per diminuire la diffusione dell’infezione e a promuovere la collaborazione e il dialogo tra professionisti, istituzioni, proprietari di animali e ogni possibile stakeholder, è la conclusione di Paolo Sani, General Manager MSD AH Italia, Grecia, Malta e Cipro, gruppo farmaceutico che per primo in Italia ha iniziato a declinare il concetto di One Health oggi universamente affermato.
L’esperienza in Sicilia
Un monitoraggio costante della patologia nei cani ricoverati in canile viene compiuto da anni in Sicilia. “Ho sempre visto nella leishmaniosi il paradigma dell’approccio One Health”, dice Fabrizio Vitale, direttore del Centro di referenza nazionale per la leishmaniosi dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della Sicilia (Crenal) che aggiunge: “non si può andare avanti senza un Piano di sorveglianza integrato tra medicina umana e veterinaria”
Piano di monitoraggio in Toscana
Sulla base della competenza raggiunta in Regioni come Emilia-Romagna e Sicilia, anche la Toscana sta elaborando un piano di monitoraggio e sorveglianza della leishmaniosi. “Il piano – spiega Margherita Cacini della Prevenzione, salute e sicurezza veterinaria della Regione – prevederà una parte di controllo sierologico su un campione rappresentativo della popolazione canina, che in Toscana è di circa 930 mila cani e una di sorveglianza entomologica. Il Piano di sorveglianza prevederà anche un’indagine di biologia molecolare sui flebotomi catturati al fine di evidenziare la presenza di Leishmania spp .
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